Scritto da Surymae Rossweisse
Salve a tutti, e benvenuti alla
ventitreesima puntata de “Il tempio degli Otaku”. Per una volta tanto oggi non dobbiamo andare molto indietro nel tempo: ci basta andare nel 2001, quando un
giovane mangaka, Makoto Yukimura, pubblicava la sua opera di debutto, appunto
quella di cui parleremo stavolta. In Giappone fece un discreto successo,
arrivando a vincere per ben due volte un prestigioso premio di fantascienza
giapponese, e venne anche adattato in anime, cosa che capita in genere a titoli
popolari o comunque aventi una certa presa sul pubblico.
E in Italia? Stendiamo un velo
pietoso. Di quel successo abbiamo avuto solo echi lontani, e l'anime è stato sì
acquistato, ma soltanto per essere trasmesso su un canale di nicchia disperso
da qualche parte nella piattaforma Sky. Il motivo di questo trattamento?
Chissà. A volte capita che ci siano alcune opere un po' sfortunate, vuoi perché
il pubblico non è attirato, vuoi perché – come in questo caso – chi di dovere
non ha fatto proprio tutto il possibile per promuoverle. Ma è anche a questo
che servono rubriche come la mia, no? Quindi ecco a voi “Planetes” di Makoto
Yukimura.
Il manga è formato da quattro
volumi costituiti da capitoli conclusivi, che raccontano le vicende di alcuni
astronauti. Siamo nel 2075, e la colonizzazione spaziale è ormai diventata una
pratica consolidata. Tutti questi viaggi, però, lasciano detriti che se
accumulati potrebbero creare danni a navi e satelliti. Di conseguenza, qualcuno
deve per forza raccoglierli.
A questo pensa una multinazionale,
la Technora Corporation, e la sua Sezione Debris. A farne parte, in
particolare, sono Hachirota “Hachimaki” Hoshino, il principale protagonista del
manga e figlio a sua volta di un astronauta; il russo Yuri Mihalkov,
interessato ai detriti per ragioni personali; la leader del gruppo Fee
Carmicheal – quando non è occupata a cercare posti dove poter fumare – e in
seguito la dolce Ai Tanabe. Il manga li segue svolgerli con dedizione il loro
lavoro; ammesso che problemi personali e minacce terroristiche glielo
permettano...
Personalmente, il formato a
storie conclusive non mi attira molto. La trama principale – sempre labile, in
questi casi – è così labile che lasciare il passo ai filler è un gioco da
ragazzi. La conseguenza? La fine della storia si allontana sempre di più, con
il rischio di rovinare quello che sarebbe potuto essere un buon manga. La
libertà di manovra del mangaka, quindi, si rivela un'arma a doppio taglio.
Per fortuna questo non è il caso
di Planetes. Il formato autoconclusivo non si estende a macchia d'olio su ogni
minima sfaccettatura della vicenda principale, ma seleziona pochi temi e
personaggi su cui concentrarsi. Fate ciao con la manina, quindi, a tutte quelle
vagonate di filler riguardanti personaggi più-che-secondari alle prese con
vicende talmente noiose da poter essere consigliate agli insonni. E menomale!
Per quanto riguarda
l'ambientazione fantascientifica del manga, è piuttosto credibile e realistica,
rendendo così evidente il fatto che Yukimura si è documentato sull'argomento.
Le parti più fantastiche non stridono con quelle più scientifiche, al punto che
è quasi impossibile notare la differenza. Ad esempio, mi ricordo un anime degli
anni '90 in cui si spendevano minuti e minuti a mostrare i sistemi ultra
tecnologici di un'organizzazione paramilitare – era ambientato nel 2015 - ma il
protagonista ascoltava musica attraverso un arretrato mangianastri. E questa
serie è molto, molto, molto più famosa di Planetes...
… Un proverbio dice “pochi ma
buoni”. Si potrebbe applicare anche a questo manga, visto che il cast è
piuttosto ridotto. Per qualcuno potrebbe essere un demerito, e potrebbe anche
pensare che molti dei manga più famosi di sempre hanno tonnellate di
personaggi. Vero. Però più personaggi vuol dire dividere lo spazio per tutti
loro per caratterizzarli al meglio. Si crea così un fragile equilibrio tra il
dare a tutti la propria vetrina e non favorire nessuno. I personaggi principali
di Planetes sono solo quattro. In realtà, come già detto, il protagonista è
Hachimaki, ma le storie per gli altri personaggi non mancheranno. Tra un
episodio e l'altro, inoltre, quest'ultimo maturerà non poco. Vediamo nei primi
capitoli un ragazzo infantile, che fa il suo lavoro solamente per il vanesio
desiderio di avere una navicella spaziale tutta per sé, che non sa controllare
i propri istinti, arrabbiato con tutto e tutti ma senza un motivo ben preciso.
Un protagonista ben lontano dallo stereotipo del buono-perché-sì e
dall'idealista, ma una persona molto più vicina al lettore di quanto si possa
pensare. Vari incontri ed incidenti, però, lo porteranno a confrontarsi con
l'ombra del suo famoso padre, a trovare l'amore, a chiedersi – come tutti
coloro che si trovano in mezzo allo spazio infinito, ma soprattutto come tutti
noi – del senso della vita e di Dio, arrivando finalmente ad una persona
matura. Lo stesso discorso in scala minore vale anche per gli altri membri
dell'equipaggio raccogli detriti, a cui viene comunque dedicato parecchio
spazio. Ci sono diversi capitoli, ad esempio, sull'infanzia di Tanabe, oppure
sulla vita sulla terra di Fee. A Yuri, poi, viene dedicata la prima storia in
assoluto, un ottimo biglietto da visita. Anche i personaggi minori, comunque,
non si fanno certo mettere in un angolo, comprese alcune comparse come un
vecchio astronauta gravemente malato, un terrorista e una ragazza nata e
cresciuta sulla luna. Sebbene i momenti comici non manchino, inoltre, non
mancano nemmeno temi più seri, come i pro e i contro della colonizzazione
spaziale, le malattie fisiche e psichiche degli astronauti, l'inquinamento e la
propaganda fatta dai potenti che non si sporcano mai le mani nei confronti di
coloro che, invece, si spezzano la schiena ogni giorno senza che vengano mai
riconosciuti i loro meriti.
Parliamo adesso del tratto di
Yukimura. Personalmente l'ho seguito anche nella sua opera attualmente in corso
– preparatevi: non appena finisce (?), avrà il suo venerdì tutta per sé – e
devo dire che soltanto in questa il suo stile sboccia completamente. Questo
però non vuol dire che in Planetes faccia un pessimo lavoro, anzi. La cura
maniacale per i dettagli era presente anche allora, così come l'uso sapiente
dei retini – più spesso sostituiti da tratteggi o disegni a mano – il rispetto
delle proporzioni, e un gusto nelle inquadrature che doveva ancora maturare, ma
che era già più che discreto. Si vedeva, insomma, che le premesse erano buone,
sia in campo narrativo che in campo stilistico.
Per oggi è tutto, gente.
Arrivederci alla prossima settimana con “Il tempio degli Otaku”!
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