Scritto da Surymae Rossweisse
Salve a tutti, e bentornati ad un'altra puntata de “Il tempio degli Otaku”. Di cosa parliamo oggi? Beh... senza mezzi termini, di storia dei manga. Questa settimana i nostri riflettori si puntano su colui che viene chiamato il “Dio del manga”: Osamu Tezuka. Se attualmente i fumetti giapponesi sono come sono, infatti, lo dobbiamo a lui, che per primo ha usato delle inquadrature simili al cinema, è andato oltre il classico formato della striscia da quattro vignette e la cui prolifica carriera ha dato un grosso contributo alla nascita del settore. Andando più nello specifico, poi, ha spaziato diversi generi e target, dagli adattamenti dei più famosi libri occidentali a storie più mature che, pur avendo una certa età, combattono ad armi pari per spietatezza e crudeltà con i più moderni seinen, il tutto passando per opere per bambini con chiare influenze disneyane. Pensate che nella sua vita ha realizzato più di settecento serie, e se non fosse morto a sessant'anni nel 1989 questo numero sarebbe cresciuto ancora di più. Certamente una singola recensione non rende giustizia ad un simile artista, sia per la quantità di lavori fatti, sia per la sua poliedricità; però da qualche parte bisogna pur cominciare. I suoi lavori più famosi sono quelli con target più “infantile”, come Astro Boy (ricordate che qualche tempo fa avevamo parlato di un suo remake?) o “La principessa Zaffiro”, mentre tra i più maturi spiccano la versione romanzata della vita di Buddha o “La storia dei tre Adolf” (“Vuoi dire quel vecchio personaggio storico?” cit.). Tutte serie notevoli, ma di cui oggi non parleremo. Questa settimana trattiamo di una sua opera minore: non certo per qualità, si intende, ma soltanto per popolarità. Signore e signori, ecco a voi “MW” di Osamu Tezuka.
M – W. Potrebbero sembrare due
lettere messe insieme senza significato, ma non per Padre Garai e Michio Yuki.
MW, infatti, è il nome di un'arma batteriologica che, quindici anni prima
dell'inizio della nostra storia, per un incidente aveva cancellato la vita
della popolazione di un'intera isola, Okino Mafune. All'insaputa delle
autorità, che avevano subito provveduto ad insabbiare la spinosa faccenda, due
persone erano sopravvissute alla calamità:
l'allora teppistello Garai e il dolce Yuki, appunto.
Il primo adesso è, come si evince
dal nome, un prete, sebbene si potrebbe avere da ridire sulla moralità della
sua condotta. La causa di ciò è Michio, a cui è legato da una relazione che col
passare del tempo gli è sfuggita di mano. Quest'ultimo, infatti, ha subito dei
danni a causa dell'esposizione al gas: il suo fisico si è indebolito, ma
soprattutto da allora la sua mente è deragliata, facendogli sviluppare un
comportamento insano, crudele e totalmente amorale. Insospettabile e rinomato
banchiere di giorno, di notte Michio diventa un assassino, che non si fa
scrupoli nell'utilizzare il suo fisico androgino e l'abilità nei travestimenti
per torturare quanto possibile le sue prede. Garai questo lo sa bene, perché
Yuki va abitualmente nella sua chiesa a confessare le sue malefatte; e se
volesse, al prete basterebbe un attimo per destinare per sempre il suo amante
alla giustizia terrena. Sarebbe anche la cosa giusta da fare, ma i vincoli che
lo legano a lui sono troppo forti per essere spezzati.
Il troppo stroppia, però, e con
tutto l'amore che prova per Michio anche il religioso è costretto a porsi delle
domande. Prima cosa: come sceglie le sue vittime? Apparentemente non si vede
alcun nesso tra di loro. O forse...
Tutte le famiglie dei defunti
sembrano collegate, chi più o meno alla lontana, con l'incidente del MW. Si
tratta quindi di vendetta? Sì, anche se la lista di Michio è così lunga da
includere l'umanità intera...
Se dovessi scegliere tre
aggettivi per descrivere “MW” direi crudele, complesso ed ambiguo. Partiamo dal
primo. Ovviamente si riferisce principalmente a Michio, che personalmente è il
personaggio più spietato che abbia mai incontrato in un manga. Pensate ad una
qualsiasi nefandezza: lui l'avrà sicuramente fatta, con immenso piacere e senza
preoccuparsi di nascondere più dello stretto necessario – nello specifico, con
la polizia e con coloro che possono tornargli utili – le sue devianze. Le
parole “rimorso”, “pietà” e “moralità” non significano assolutamente nulla per
lui, a tal punto che Garai lo accusa più volte di essere stato posseduto dal
demonio. Spiegazione fin troppo semplicistica: è vero che Michio è diabolico,
ma ha fatto praticamente tutto da solo, dopo essere impazzito per colpa delle
esalazioni del terribile gas. Questa però non viene usata come scusa per giustificare
le sue malefatte. Quante volte abbiamo letto/visto la solfa de “XYZ è cattivo
per una ragione, e per questo non è totalmente da biasimare”? Quella del gas è
soltanto una spiegazione, ma la situazione non cambia: Michio è totalmente
abietto. E il lettore non può che essere stupito da tanta energia, considerando
che stiamo parlando di un manga pubblicato nel 1976 e fatto da un autore che in
passato aveva scritto opere molto diverse.
Altro giro, altro aggettivo:
complesso. La serie si compone di soli tre volumi, ma non bisogna farsi
ingannare dalla sua brevità. Sono tre volumi piuttosto corposi e, soprattutto,
densi di avvenimenti. Il ritmo della narrazione è piuttosto veloce, come tutti
i thriller che si rispettano, e la carne al fuoco è sempre tanta. In
particolare per quanto riguarda la storia del MW, e tutte le persone che hanno
avuto un ruolo nella tragedia di Okino Mafune, può essere un po' difficile
seguire l'infinita lista della gente che è stata responsabile di ciò, e perché.
A volte anche i piani di Michio danno un po' di problemi – anche a causa dei
disegni di Tezuka – ma niente di serio, visto che spesso li spiattella dritto
filato a Padre Garai, il punto di vista principale dell'opera. Tutto ciò non
rende “MW” un manga di facile lettura, assolutamente: ma il gioco vale la
candela.
Se prima ho dedicato un aggettivo
a Michio, adesso è il turno di Garai: ambiguo. Non si può definire in altro
modo la sua condotta per gran parte della storia. Non mi riferisco soltanto
alla sua relazione, che pure certamente non è adatta ad una persona della sua
caratura, ma al controllo mentale che Yuki ha su di lui, e che proprio a causa
del suo ruolo di uomo di chiesa è anche più straziante. Garai è ben cosciente
della pericolosità del suo partner, ma l'incapacità di stare senza di lui gli
impedisce di fare la cosa giusta. Anche lui, quindi, non è un personaggio buono
al cento per cento: non sa controllare la sua libidine, e a causa di ciò Michio
è libero di far danno a persone il cui unico peccato è avere conoscenti che
hanno avuto a che fare con l'MW – e a volte, neanche quello. Anche per il
finale dell'opera, poi, ambiguo è la parola giusta: e per finale mi riferisco
all'ultimissima vignetta, che stravolge le carte in tavola e che (sempre a
parere di chi scrive) è da sola un'ottima ragione per leggere tutti i
volumetti.
… Dopo tutta questa pappardella
credo non ci sia bisogno di dilungarsi molto sull'introspezione psicologica:
penso sia evidente da come parlo dell'opera che è piuttosto accurata.
Probabilmente la carta vincente è il cast ridotto, che pone soltanto due
personaggi primari e pochi altri secondari, in modo tale che tutti possano
avere la propria attenzione. Ed effettivamente, è così: tutti quanti sono
caratterizzati molto bene, a partire da una fedele di Padre Garai, Sumiko, alla
figura di un banchiere la cui famiglia – e vita – viene rovinata dalla condotta
di Michio, passando per il famoso fratello di quest'ultimo.
Adesso parliamo di cose più
leggere: lo stile di Osamu Tezuka. Il tratto è piuttosto morbido e
semplicistico, quasi da cartone animato occidentale – ricordate le influenze di
Walt Disney a cui ho accennato prima? - quantomeno per quanto riguarda le
persone. I fondali, invece, hanno uno stile molto più accurato, in cui spiccano
un elevato uso dei retini, che tuttavia non vengono utilizzati troppo. Una cosa
è certa, comunque: lo stile fa contrasto con la cupezza della storia. E,
nonostante l'apparenza, l'effetto finale non è per niente male.
Per oggi è tutto, cari amici.
Arrivederci alla prossima settimana, con “Il tempio degli Otaku”!
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