venerdì 8 aprile 2011

Il tempio degli Otaku... Unidicesimo appuntamento "Pluto"




Scritto da Surymae Rossweisse.

Ciao a tutti! Eccoci qui per la nuova puntata de “Il tempio degli Otaku”. Oggi parliamo di una specie di remake. Sapete che cosa sono i remake? In ambito cinematografico è quando un'opera precedente viene rifatta (appunto...) con nuovo regista, nuovo cast, ecc. Lo scopo è quello di creare qualcosa apprezzabile sia dai vecchi fan dell'opera sia da gente che non aveva mai sentito parlare prima, o quasi, dell'originale. Per ottenere questo risultato, perciò, bisogna mantenersi quanto più possibile fedeli alla prima versione cambiando però qualcosa. Capirete da soli che non è facile raggiungere questo equilibrio. Il termine remake, nel caso di oggi, è un po' azzardato, o forse no. In fondo, parliamo sempre di una vecchia storia riarrangiata in una nuova veste, anche se il tocco del nuovo regista è piuttosto prominente. L'originale è una storia fatta da uno dei più grandi mangaka mai esistiti, Osamu Tezuka: “Il più grande robot del mondo”, con protagonista uno dei suoi eroi più famosi, il robot- bambino Astro Boy. Il remake invece è fatto da un autore moderno che in questi anni si è fatto un nome in ambito seinen - Naoki Urasawa - ed è la serie di cui parliamo oggi nello specifico: “Pluto”.



Dopo essere usati come armi per anni ed anni, si prospetta un bel periodo per i robot. Hanno dei cervelli capaci di provare stimoli ed emozioni complesse, possono formare delle famiglie – seppure adottive – svolgono lavori variegati che scelgono in prima persona, godono persino di diritti civili. Sono ormai identici agli esseri umani, tanto che un occhio poco attento li vede uguali. Una bella situazione, insomma: peccato che, come sempre, questa situazione sia destinata a finire. Nel più tragico dei modi. Qualcuno – o qualcosa – comincia ad uccidere degli umani che avevano lavorato duramente nel creare questo clima sereno e, soprattutto, i sette robot più potenti del mondo. Come già detto, adesso non vengono più impiegati in guerre, ma le loro caratteristiche sono tali che un utilizzo in un conflitto darebbe risultati spaventosi. Uno di questi, il cui nome è Gesicht, è chiamato ad indagare, come detective per l'Europol. Ad un primo sguardo, quello che si può notare della scena del delitto è che sulla testa delle vittime sono poggiate due corna. Questo darà all'assassino il nome di Pluto, ossia il dio della morte romano che aveva come segno particolare proprio le corna. Come già detto, questo è quanto emerge solo superficialmente. Guardando meglio, Gesicht scopre un indizio ben più importante: Pluto è un robot. Era da ben otto anni che non si verificava uno scenario del genere. Perché proprio adesso è successo di nuovo? Il movente sembra già più chiaro, ma tante altre domande si affacciano alla mente del nostro detective bionico. Chi ha interesse nell'uccidere i sette androidi più potenti del mondo? Come possono questi sfuggire al loro destino, che appare già segnato? Pluto agisce di propria volontà oppure qualcun altro, forse un umano, ne controlla le mosse? Dalle risposte a queste domande dipende la stabilità politica e sociale del mondo intero...

La prima cosa che si nota in un manga è, in genere, il tratto. Quello di Naoki Urasawa si fa particolarmente notare, ed in positivo. E' pulito e realistico, nella migliore tradizione dell'autore. Le forme sono morbide, eppure sembrano naturali; i retini sono usati in maniera sapiente, né troppo né troppo poco; le inquadrature sono adatte alle scene; le (rare) pagine a colori hanno tinte gradevoli e allo stesso tempo riposanti, caratteristica che ahimè non si vede molto spesso. E' piuttosto diverso dallo stile di Osamu Tezuka, forse addirittura antitetico, ma anche i personaggi presenti nella vecchia storia, come ad esempio Astro Boy, non sfigurano accanto agli altri. Inoltre, il disegno è anche funzionale alla storia, così tanto da non riuscire ad immaginare altro tratto per la narrazione. In particolare è adatto quando si tratta di sottolineare le similitudini tra i robot e gli umani: a volte non si riescono a distinguere gli uni dagli altri. Quelli di “Pluto” non sono semplici androidi, sia come disegno che come personaggi. I robot protagonisti della vicenda hanno una personalità che Urasawa tratteggia egregiamente. I loro caratteri sono tridimensionali, ed ognuno diverso dagli altri. La loro psicologia è uguale a quella umana; può capitare, come ad esempio nel caso di Gesicht, che il lettore addirittura si dimentichi di trovarsi di fronte ad esseri bionici. Come i migliori personaggi, inoltre, i robot “bucano lo schermo” (e potrebbero farlo davvero, visto la trasparenza della carta nell'edizione italiana...) e si fanno ricordare anche a distanza di mesi dalla lettura. E' piuttosto difficile, ad esempio, dimenticarsi di Gesicht, quello che potremmo definire il protagonista, ma non solo: c'è anche Brando, ad esempio, con la sua umanissima famiglia; oppure l'efebico Epsilon, che decide di dedicarsi agli orfani di guerra invece di combattere; e ancora la piccola Uran, sorella di Astro Boy, capace di sentire le emozioni di chi la circonda. E potrei anche continuare, ma come dico sempre: altrimenti che ve lo leggete a fare, il manga? Dal punto di vista della trama, però, il lato più importante di “Pluto” è un altro: il lato thriller. E qui sono costretta a dire che non è reso così bene come gli altri aspetti sopraccitati. Per più della metà degli otto volumetti della serie, regge bene: viene sempre aggiunta carne al fuoco, perciò la tensione rimane sempre alta. Ma al culmine di questa, poco prima di arrivare alla naturale distensione, ecco che il mangaka si impappina, proprio nell'ultimo volume. La carne aggiunta al fuoco nei precedenti volumi diventa troppa, e così Urasawa – forse anche per far quadrare i conti con la storia originale? - è costretto a ripescare vecchie situazioni creando così un deus ex machina in piena regola.

Risultato? Ancora adesso – eppure l'ho letto quasi un anno fa! - non ho ben capito alcune cose. Di sicuro dovrò rileggermi l'opera una seconda volta per captare tutto, forse addirittura una terza. Anche se, forse, questa non è una cosa negativa. Non sempre il non capire qualcosa è un difetto... e poi, parliamoci chiaro: quanti remake si fanno vedere/leggere più di una volta? Arrivederci alla prossima settimana con “Il tempio degli Otaku”, quindi!

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