domenica 10 aprile 2011

By the Keyhole... (6) La fiera della vanità


E' già passato un mese dall'ultima puntata di By the keyhole... , la rubrica dedicata ai classici, ed è quindi giunto il momento di rinnovare l'appuntamento :) Questo mese parliamo di un classico meno conosciuto, ma il cui titolo (soprattutto quello inglese) non potrà non esservi familiare. Becky e Amelia sono due ragazze cresciute nello stesso educandato: la prima è povera e ambiziosa, la seconda è benestante ma troppo ingenua e delicata. A colpire è soprattutto il carattere di Becky, una vera arrivista che pur di raggiungere una posizione sfrutta tutte le sue qualità di commediante, abilissima a fingere di essere una dolce e mite ragazza... esattamente tutto l'opposto di ciò che è in realtà! Gli intrighi orditi per convolare a nozze sono spaventosamente divertenti e disarmanti... ma la nostra eroina riuscirà davvero a raggiungere lo status sociale di lady? Di contro Amelia, da buona e tenera ragazza quale è, è perdutamente innamorata (come è giusto sia) di un piccolo farabutto egoista e preso di sé... George è effettivamente indeciso se la ama o no, tuttavia i due sono da tempo fidanzati e niente sembra poter impedire il matrimonio... Almeno fin quando il padre di Amelia non va in bancarotta... 
Ma insomma, di quale libro stiamo parlando? Se non lo avete riconosciuto, vi dico subito che si tratta de...

La fiera della vanità

Progettato e iniziato intorno al 1844-45, pubblicato a puntate nel 1847, in volume l'anno successivo, "La fiera delle vanità" è il romanzo più noto di Thackeray. In queste pagine si narrano le vicende parallele di due donne molto diverse: Becky Sharp, tanto coraggiosa e intelligente quanto astuta, arrivista e priva di scrupoli, e la sua compagna di scuola Amelia Sedley, emblema di virtù ma anche terribilmente ingenua e un po' sciocca. Dominato da un garbato sarcasmo che a tratti si trasforma in un'ironia più feroce, "La fiera delle vanità" sconvolse la società letteraria vittoriana per la schietta descrizione della realtà sociale dell'epoca, che sia l'ambiente mondano londinese, quello esotico dell'India colonizzata, quello militare, rozzo e primitivo, oppure quello ipocrita e perbenista della Chiesa. Su questo molteplice sfondo si snoda con incredibile fluidità una narrazione dominata da molteplici personaggi. Manca, in questo romanzo, un eroe completamente positivo: al suo posto, per la prima volta, si muovono sulla pagina figure che non sono semplici manichini, ma uomini in carne e ossa. 

William Thackeray 
William Makepeace Thackeray nasce a Calcutta nel 1811. Rimasto orfano a 4 anni del padre, un alto funzionario della Compagnia delle Indie Orientali, studia Londra e a Cambridge, senza però completare gli studi universitari. Dopo alcuni viaggi sul continente tenta la carriera forense ma continua a preferire la compagnia di letterati e artisti. Nel 1832 e' a Parigi dove studia disegno e inizia la sua attivita' di giornalista e dove sposa Isabella Shawe. Tornato in Inghilterra nel 1837, inizia a pubblicare articoli e romanzi su diversi giornali utilizzando degli pseudonimi. Intanto la moglie si ammala e nel 1840 una grave forma di malattia mentale che la porta, per il resto della vita, in manicomio. La drammatica fine del suo matrimonio, e la morte della madre, costituiscono l'episodio fondamentale della sua vita. Muore a Londra nel 1863.
Tra i suoi lavori ricordiamo " Il libro degli snob", raccolta di articoli e scritti satirici che rappresentano una spietata e minuziosa denuncia delle menzogne sociali e dei difetti umani; il romanzo "Le memorie di Barry Lyndon" (1844-1856) e il romanzo "La fiera delle vanita'", l'opera legata alla sua fama. 
[Fonte: www.parodos.it

Il primo aggettivo che mi sento di attribuire a La fiera della vanità (Vanity Fair in inglese, pubblicato a puntate in 20 episodi su una rivista)  è "piacevole". Un fiume inarrestabile piacevolissimo e copioso, un ritratto vivissimo chiazzato di colori intensi, una storia che rimarca alcuni topos, ma che risulta davvero troppo ben scritta per non adorarne ogni singola parola. La narrazione in particolare è quella che mi fa letteralmente andare su di giri! Thackeray, in puro stile vittoriano, richiama spesso l'attenzione del lettore facendolo entrare direttamente nel romanzo, gli pone dei quesiti, fa delle osservazioni ironiche o sarcastiche. Lo stile è irresistibile, le descrizioni scintillanti, e i personaggi...! Vivi e forti, mai sbiaditi ma finemente descritti, tanto da sentirli dentro... Come non ammirare la risolutezza di Becky, la sua capacità di riemergere anche dalle situazioni più disastrose e impensabili, nonostante sia un personaggio chiaramente negativo? Come non immedesimarsi nell'ingenuità sentimentale di Amelia, tipica del primo amore? Come non odiare George Osborne e non amare da subito il suo migliore amico, il maggiore Dobbin? E Joseph, fratello di Amelia, incostante e pusillanime? E Rawdon, sciocco e senza cervello, ma innamorato di moglie e figlio? E Miss Crawley, emblema di un'aristocrazia spocchiosa e ridicola? 
Insomma, una gamma di personaggi che rispecchiano così tanto i difetti del genere umano da non lasciare nemmeno un po' di spazio ai pregi! La fiera della vanità mette in mostra le peggiori qualità della società, che si esibisce in un caleidoscopio di maschere e farebbe di tutto pur di mettersi in mostra... Nemmeno le creature più docili hanno scampo.

Il brano.
Ci sono tantissimi brani che sarebbero degni di nota, ma sono tutti collegati tra di loro e rischierei soltanto di fare spoiler. Quindi ho deciso di proporvi il prologo, il "manifesto" di tutta l'opera, in cui l'autore, nei panni di un regista, sta imbandendo la sua messinscena...


Welcome to the jungle*


Il Regista che siede sul palcoscenico davanti al sipario a contemplare la Fiera, si sente pervadere dal sentimento di profonda malinconia che gli ispira quel luogo brulicante di folla. Non si fa che mangiare e bere, amoreggiare e piantarsi, ridere e piangere; non si fa che fumare, imbrogliare il prossimo, altercare, ballare e strimpellare. Ci sono smargiassi che si aprono un varco a spintoni, bellimbusti che fanno l'occhio dolce alle donne, ladruncoli pronti a svuotar le tasche, poliziotti all'erta, imbonitori (altri imbonitori, che il diavolo se li porti!) che strepitano davanti ai loro baracconi, zotici col naso all'aria a guardare i ballerini in vesti multicolori, i poveri acrobati dal viso impiastricciato di belletto, mentre individui dalle dita agili e leggere armeggiano con le loro tasche posteriori. Sì, questa è la FIERA DELLA VANITÀ: non è certo un luogo morale, e nemmeno allegro, ad onta di tanto chiasso. Guardate la faccia degli attori e dei pagliacci quando fanno ritorno tra le quinte: Tom il Tonto che si lava le guance spalmate di trucco prima di sedere a cena dietro il fondale di tela insieme con la moglie e col piccolo Jack Budino. Tra qualche istante si alzerà il sipario, e lui sarà lì a saltare e a sgambettare strillando: «Buongiorno a tutti!»
Camminando in mezzo a una siffatta compagine umana, una persona incline alla riflessione non si sentirà oppressa, ritengo, dalla propria o dall'altrui ilarità. Una scenetta amena o gentile può saltuariamente commuoverla o divertirla: un grazioso bimbetto che sosti davanti a un banco di pan pepato; una bella ragazza che arrossisce mentre il suo innamorato le parla e le compra un regaluccio. Tov il Tonto, poveraccio che se ne sta laggiù dietro il carro a rosicchiare le sue ossa insieme con la famiglia che sbarca il lunario con le capriole. Ma l'impressione generale tende alla malinconia più che all'allegrezza. Tornati a casa, vi ponete a sedere indugiando a uno stato d'animo pacato, contemplativo, non esente da spirito di carità, e vi dedicate ai vostri libri o ai vostri affari.
Non vedo, al di fuori di questa, altra morale applicabile alla presente storia della Fiera della vanità. C'è chi giudica le fiere affatto immorali, e le evita, come le evitano i suoi domestici e i suoi familiari. Molto probabilmente costoro hanno ragione. Ma le persone che la pensano altrimenti, e sono indolenti benevole o portate al sarcasmo, possono forse compiacersi di trascorrervi una mezz'ora e dare un'occhiata agli spettacoli. Ce ne sono per tutti i gusti; accanite contese, nobili e solenni cavalcate, scene di vita aristocratica, altre di vita decisamente meschina; un certo sentimentalismo e qua e là qualche sprazzo di comicità. Il tutto fruisce di uno scenario acconcio illuminato a giorno dalle candele fornite dallo stesso Autore.
Che altro può aggiungere il Regista? Dare atto della lusinghiera accoglienza che hanno salutato lo spettacolo in tutte le principali città dell'Inghilterra in cui è stato presentato, e dove è stato valutato positivamente dai rappresentanti della pubblica Stampa e del pari dalle persone ragguardevoli per censo e per ceto. È fiero di constatare che le sue marionette hanno incontrato i gusti della miglior società dell'Impero. La vezzosa, piccola marionetta di nome Becky è stata giudicata straordinariamente flessibile nelle giunture e agilissima sotto i fili. A sua volta la bambola Amelia, sebbene abbia avuto una cerchia più esigua di estimatori, è stata scolpita e vestita dall'artista con la massima cura. Dobbin, sebbene goffo nella figura, balla peraltro in modo molto spontaneo e naturale. Qualcuno ha mostrato di apprezzare la Danza dei Bambini. Si prega infine di osservare attentamente il personaggio fastosamente abbigliato del Perfido Nobiluomo, per il quale non si è badato a spese, e che Belzebù si porterà via al termine di questa singolare rappresentazione.
Ciò detto, e non senza un profondo inchino ai suoi sovvenzionatori, il Regista s'inchina e il sipario si alza.

*Il titolo del brano è ovviamente arbitrario.

Filmografia.

Su La fiera della vanità - o, alternativamente, La fiera delle vanità - sono state prodotte le seguenti trasposizioni cinematografiche:
Vanity Fair, film muto del 1911 per la regia di Charles Kent
La fiera delle vanità, film del 1923 per la regia di Hugo Ballin
La fiera della vanità, sceneggiato televisivo del 1967 per la regia di Anton Giulio Majano
La fiera della vanità, film del 2004 per la regia di Mira Nair

2 commenti:

  1. L'ho acquistato poco dopo averlo studiato, ma non l'ho ancora letto. Ciò che distingue Thackeray dai suoi contemporanei è l'ironia e la compiacenza con cui tratteggia una protagonista come Becky (assolutamente immorale nel contesto della Londra vittoriana) senza criticarla moralisticamente. Anche nell'altro suo romanzo più famoso, Barry Lyndon, è lo stesso: lui è un arrampicatore sociale, un giocatore d'azzardo, eppure Thackeray non lo condanna.

    Lo leggerò presto, Vanity Fair!

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  2. L'ho letto due anni fa... in un tour de force, visto che gli è seguito "Guerra e Pace". Ho amato molto questo volume. Il sarcasmo di Thackeray è assolutamente delizioso, tanto che le pagine scorrono una dietro l'altra senza che tu te ne accorga. Mi piacciono molto gli spunti di riflessione che l'autore schizza qui e lì, nonchè i titoli dei vari capitoli... nulla è buttato lì a caso. Insomma, una lettura godibile, divertente, anche se a tratti drammatica.

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