Letteratura e vita, arte e poesia. La natura umana trova forma nelle espressioni più arcaiche e intrinseche di istintualità: la danza ha, in questo senso, un posto privilegiato, ma la gestualità del teatro ha un'importanza altrettanto decisiva nella manifestazione di un sentire che è insieme corale e individuale.
Lo storytelling che ci affascina da tempi primordiali (trovate QUI un approfondimento su questo argomento) parla di noi: "ogni lettore, quando legge, legge se stesso". E la poesia, che comunque ha avuto anche un ruolo sociale, politico, critico, è lo specchio più limpido delle emozioni, delle gioie e delle paure - di nuovo - universali e personali. Facciamo parte della stessa razza umana e quindi proviamo le stesse cose da migliaia di anni, esprimendole con gli stessi mezzi, alcuni dei quali considerati ormai desueti. C'è bisogno di ritrovare contatto ed empatia con l' "altro"; di ritornare a vivere di quegli strumenti catartici che una volta coinvolgevano la comunità e che rendevano la letteratura un modo di conoscere, prima che se stessi, l'alterità. Ora, come si è accennato in passato, si fanno strada altre forme. Ma c'è chi insiste, a ragione, sulla sopravvivenza della poesia, data per lo più per morta anche da un sistema editoriale che non le concede spazio. Per questo motivo, a Frascati nel mese di maggio si organizza ormai da quattro anni "La forza della poesia", una serie di convegni che celebrano ogni volta un autore diverso. Dopo Leopardi, Dante e Omero, l'edizione 2014 si è concentrata su Emily Dickinson: numerosi e diversissimi gli interventi avvicendatisi nelle piazze di Frascati, che hanno coinvolto adulti e bambini e hanno fatto risuonare le vie dei versi di questa magistrale poetessa.
Un esperimento interessante è poi stato condotto da Laura Tedesco, che, sotto la regia di Tommaso Capodanno, ha dato vita a monologhi teatrali di forte impatto ricavati da testi appositamente selezionati e tradotti di Emily Dickinson. Interpretazioni lontane dal teatro di prosa a cui i tempi moderni ci hanno abituato, e dove viene ridata voce a un'autrice che faceva del suo universo intimo un'esplosione di delicatezza e sensibilità.
Abbiamo avuto il piacere di intervistare Laura, che si è prestata con grande competenza e professionalità alle nostre domande.
Laura Tedesco in "Il ritmo del desiderio"
Interview with...
Laura Tedesco
Laura, la forma teatrale da lei scelta è abbastanza originale, perché coniuga l'arte della recitazione alla poesia. L'idea è nata in funzione della manifestazione “La forza della poesia” o la sua genesi è precedente?
Innanzitutto voglio premettere che considerare la recitazione e la poesia due arti separate e distinte è un’idea piuttosto moderna: se si da un’occhiata alla storia del teatro ci si rende immediatamente conto che la maggior parte dei drammaturghi ha scritto delle opere in versi. Shakespeare scriveva in versi e, per andare addirittura alle origini, Euripide, Sofocle ed Eschilo utilizzavano il trimetro giambico. Questo per dire che, almeno da questo punto di vista, non mi sono inventata nulla di nuovo, anzi forse sono semplicemente tornata alle origini. Detto ciò, sono anni (quindi da molto prima de “La forza della Poesia”) che mi interrogo su i modi per realizzare una comunicazione artistica a tutto tondo dove parola, corpo, voce ed emozioni si uniscano in modo da dialogare efficacemente con lo spettatore. Probabilmente, dunque, è per questo che sono spesso “incappata” nella poesia (e nelle poetesse): tra tutte le forme d’arte, infatti, essa è quella che parla più direttamente al cuore della gente e avendo io stessa il medesimo scopo non potevo non utilizzarla.
La Dickinson è un'autrice molto intimistica, che parla al cuore. Quali sono state le difficoltà nel dare voce ai suoi sentimenti, dovendosi basare esclusivamente sull'uso di monologhi e cambiando il modus operandi in base al componimento?
Credo che proprio il fatto che Emily Dickinson sia un’autrice che parla direttamente al cuore di chi la legge, abbia facilitato il mio lavoro attoriale: le sue poesie sono così intense, dirette e, allo stesso tempo, universali che spesso erano loro stesse a guidare la mia interpretazione. Credo che non averla pensata semplicemente come autrice ma, soprattutto, come personaggio di cui vale la pena parlare perché spesso frainteso e maltrattato da innumerevoli pregiudizi mi abbia aiutato a individuare la strada corretta da seguire per riuscire a comunicare la sua storia.
Con quale criterio sono state scelte le poesie da tradurre e interpretare?
La selezione delle poesie adatte a costruire la drammaturgia dello spettacolo è stato un lavoro lungo e articolato che io e Tommaso Capodanno, il meraviglioso regista de “Il Ritmo del desiderio”, abbiamo affrontato con estrema scientificità: abbiamo letto, diviso per temi, stagioni e momenti del giorno, ogni singola poesia o lettera che la Dickinson ha scritto fino al 1866, quando all’età di 36 anni decise di rinchiudersi in casa. Fin dall’inizio ci era ben chiaro che la domanda a cui avremmo tentato di rispondere era perché Emily, così piena di passione e di vitalità, avesse preso una tale decisione, dopo di che sono state le sue stesse parole e la sua stessa storia a guidarci verso una selezione che potesse costituire una drammaturgia forte e rispondere alla nostra domanda.
Dopo la selezione c’è stato il mio lavoro di traduzione che, devo ammettere, è stato un bellissimo e inconsueto modo di entrare nel personaggio e viverlo attraverso la comprensione del suo modo di articolare il pensiero.
Nel 1975 Montale, durante un discorso tenuto all'Accademia di Svezia in occasione dell'assegnazione del Premio Nobel, si chiedeva un po' retoricamente quale sarebbe stato il posto della “più discreta delle arti” nel paesaggio di esibizionismo isterico creato dai mass media. A distanza di quarant'anni le prospettive della poesia sembrano essersi notevolmente ridotte, tornando in auge solo grazie ad eventi occasionali come la premiazione di un'altra autrice, Wisława Szymborska, nel 1996. Tirando le somme, quale possiamo dire che sia il futuro della poesia in una società ormai sempre più veloce e restia alla riflessione? Si sente pessimista come Montale?
Io credo, e Montale probabilmente sarebbe d’accordo, che la poesia intesa come “ buona poesia”, cioè come arte che parla al cuore, non sia destinata a morire. La nostra società si è trasformata e, per quanto in molte cose il cambiamento sia scioccante e in peggio, trovo sia anche giusto prenderne atto e andare incontro alle sue nuove necessità. Da sempre la poesia è lo spazio che accoglie “lampi” di pensiero e riflessione sul mondo che ci circonda, proprio per questo la sua morte in un epoca così sfaccettata e in continuo sommovimento è da considerarsi impossibile: anche se la gente spesso ne è totalmente ignara, c’è sempre bisogno di uno spazio per pensare e dare respiro alle emozioni che la vita quotidiana sembra voler annientare. Non a caso, il nostro tempo è quello della psicanalisi, dello yoga e del buddismo in pillole: tutte attività che, nella loro banalizzazione mediatica, testimoniano un bisogno di interpretare e spiegare il proprio stare nel mondo. Da questo può nascere una certa speranza per le sorti della “vera” poesia, nel momento stesso in cui si posiziona con onestà come specchio del mondo e delle sue contraddizioni e non come semplice artificio letterario.
Abbiamo parlato poco tempo fa del destino della letteratura, e quindi non solo della poesia. In particolare, del ritorno a una cultura orale che vede nelle serie tv la più potente delle sue espressioni – persino più del cinema, a mio avviso, perché maggiormente capace di fidelizzare il lettore – e che forse soppianterà definitivamente quella scritta. Serie tv e opere teatrali hanno in comune l'uso recitato della parola, seppur con metodi molto diversi. Se le serie tv saranno il nuovo veicolo della letteratura, crede che anche la poesia, attraverso il teatro, riuscirà a sopravvivere?
Non credo che il paragone possa reggere: le serie tv sono un mezzo di comunicazione estremamente contemporaneo, mentre il teatro è una delle forme artistiche più antiche, coetanea della stessa poesia che dovrebbe salvare. Detto ciò, se il teatro e la poesia imparassero a misurarsi con quei cambiamenti sociali di cui abbiamo parlato pocanzi, sicuramente avrebbero la forza e la capacità non solo di sopravvivere ma di dare il proprio apporto alla crescita e allo sviluppo dell’uomo contemporaneo. Proprio il fatto che adesso le serie tv sono così famose dovrebbe farci rendere conto che gli uomini e le donne, seppur avviluppati in un tran tran quotidiano svilente e omologante, hanno ancora bisogno di sentirsi raccontare. Questo può portarci a fare delle riflessioni: sebbene bisogna ammettere che il teatro e la poesia, ma anche tutte le arti più antiche, sono in un momento di grave difficoltà, è evidente che l’uomo sente ancora la necessità di avere uno specchio artistico che lo rappresenti e si lascia ancora attrarre da quelle storie che gli permettono di affrontare catarticamente il proprio presente. Ecco che allora, forse, bisognerebbe che le arti si interrogassero, mantenendo le proprio peculiarità e i propri valori, su come poter fare fronte a queste esigenze, che a ben vedere, si ripetono ciclicamente per tutta la storia dell’umanità.
Cosa pensa che sia, oggi, la letteratura? Cosa è sempre stata per lei e cosa invece sarà un giorno?
Le sembrerà una risposta sciocca, ma non mi sono mai interrogata su cosa sia stata ieri e neanche su cosa sia oggi la letteratura. Probabilmente perché per me la letteratura è vita e, dunque, ho sempre affrontato la pagina scritta con la curiosità e l’istintualità con cui affronto tutti gli aspetti della realtà che mi circonda. Detto ciò, secondo il vocabolario Treccani la definizione di Letteratura sarebbe “in origine, l’arte di leggere e scrivere; poi, la conoscenza di ciò che è stato affidato alla scrittura, quindi in genere cultura, dottrina”. Ma questa definizione non credo contraddica il mio pensiero perché se per letteratura si intende la capacità di scrivere e di conoscere cosa si è scritto in passato, la deduzione semplificata ma alquanto logica è che l’argomento di cui si scrive resta, in qualunque sua sfaccettatura e declinazione, la vita. Dunque la letteratura è il modo in cui l’uomo ‘ferma’ e lascia in eredità le sue riflessioni sul mondo, ecco perché, andando oltre le svilenti definizioni scolastiche e pseudo didattiche, è di vitale importanza per noi conoscere sia quella passata che quella contemporanea: bisogna essere consapevoli di cosa c’è stato e di cosa c’è intorno a noi. Non credo di poterle dire cosa sarà in futuro, perché penso che nessuna arte, come la letteratura, è più strettamente interconnessa con le contingenze spazio-temporali in cui si trova a esistere. Posso dirle che spero che il nostro futuro non insegni l’oblio alle nuove generazioni e che mai si smetta di riflettere sull’esistenza. Ma questa appunto è solo una speranza; dal canto mio, mi impegno ogni giorno affinché, attraverso la mia ricerca artistica, non si perda memoria della naturalezza con cui da sempre si è svolta questa strana attività umana che è il pensiero. L’arte, il teatro, la poesia etc. sono il mio modo di affrontare la realtà e condividerla con chi mi circonda: al di là delle difficoltà contingenti, credo sia mio dovere trovare sempre il modo di esprimermi e arrivare al cuore dell’attenzione dello spettatore.
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