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All'inizio quasi non te ne accorgi: non percepisci la stonatura di una situazione così palesemente normale. In Easter Parade, due sorelle, Sarah e Emily, vivono vite parallele. Una casalinga e destinata al matrimonio sin da giovane, l'altra emancipata e sentimentalmente incostante, accomunate dall'ammirazione e dalla competizione per l'affetto del padre - che divorzia dalla loro madre, una donna vanesia, all'inizio della vicenda. La drammaticità della storia sta nella sua paradossale ordinarietà: la vita di Sarah, e soprattutto di Emily, viene descritta nel suo patetico svolgersi, tra una verginità rubata e l'aspirazione a una intellettualità che lascia intravedere un'esigenza identitaria.
Anche le apparenti felicità si rivelano un fuoco fatuo, soprattutto nella vita matrimoniale di Sarah: in quella di Emily, invece, le difficoltà affettive/sentimentali e quelle lavorative corrodono un animo profondamente solo e a volte egoista. Sembra in realtà che quella di Emily sia solo una parvenza di amore - ha storie di qualche anno al massimo, e tra l'una e l'altra cambia frequentemente partner - e che lei non sia in grado di darne. Analogo e addirittura peggiore è il destino di Sarah, schiacciata per tutta la vita dalla stessa assenza di amore, ammantata di uno strato di ipocrisia e perbenismo che rende impossibile la comunicazione sincera con la sorella. L'ipocrisia è, infatti, l'altro tema del libro: la vita e le parole di tutti i personaggi sono dense di sottintesi e di egotismi. Con pochissimi elementi Yates racconta di una famiglia normale, di una vita normale in cui tragicamente potresti riconoscerti. Il risultato sembra scivolarti addosso. Almeno fino a quando, nel profondo, non ti chiedi se pure tu potresti essere una protagonista di Yates.
"Però smise bruscamente di piangere quando si rese conto che anche quella era una menzogna: quelle lacrime, come sempre finora nella sua vita, erano per se stessa."
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