mercoledì 18 luglio 2012

Recensione: La casa sul fiume di Penny Hancock



La casa sul fiume - Penny Hancock
Greenwich, Londra. In un freddo pomeriggio di febbraio Sonia, 43 anni, apre la porta di casa (una vecchia, splendida magione che si affaccia sul Tamigi e che lei ama definire, da sempre, “the River House”) e lasciando entrare Jez, 15 anni, amico del figlio e nipote di una sua cara amica. Il ragazzo viene per un motivo qualsiasi (vorrebbe vedere un raro disco di vinile del marito di Sonia, Greg, che al momento non è in casa), ha intenzione di restare in casa una mezzora o poco più. Non ne uscirà più. Con una progressione geometrica, un passo dopo l’altro, senza che ci sia nulla di prestabilito, Sonia inizia a far sì che il momento in cui il ragazzo lascerà the River House venga via via rimandato: inizialmente è una piccola sbornia innocente che si prendono insieme, poi diverrà una pratica quotidiana fatta di sonniferi sciolti nelle bevande, di una lunga reclusione nel garage (evidentemente, semi abbandonato) nel cortile antistante, di legacci che tengono Jez stretto alla spalliera del letto. Il ragazzo non sa cosa pensare: Sonia nutre per lui un’attrazione fisica che è ha una forte componente materna; sostiene di volerlo proteggere, lo coccola, lo nutre con delizie sempre nuove, continua ad affermare che presto lo lascerà andare, che il tutto è una specie di gioco a termine. Il ragazzo non ha tuttavia alcuna voglia di partecipare: ma non ha scelta, Sonia ha fatto sparire il suo cellulare, lui non ha modo di contattare nessuno, quando il marito e il figlio della donna sono in casa si ritrova recluso nel freddo e nel buio del garage. Si ammala, rischia di morire; poi, grazie alle amorevoli (ma ossessive, asfissianti) cure della protagonista, il suo stato di salute migliorerà. Nel frattempo, le indagini sulla scomparsa del ragazza si serrano in cerchio intorno alla River House: ma sarà Helen, la zia di Jez, la sola a pagare per una verità che la donna non ha ancora messo a fuoco. Un giorno va a trovare Sonia e trova una t-shirt del ragazzo, realizza cosa sta accadendo, e paga con la vita. Sonia uccide Helen, e ne fa scomparire il corpo tra le gelide correnti del fiume (un fiume che conosce bene, che è stato il leitmotiv della sua infanzia lì, in quella casa che si affaccia sull’argine); ma le indagini continuano, e il cerchio si fa ancora più serrato.
Timecrime - Pagine 368 - 10 euro

A cura di Surymae Rossweisse

Voto:

Secondo me, gli esordienti sono una ricchezza per il mercato letterario. Tanto per cominciare, ne ingrossano le fila, creando una piacevole varietà rispetto ai grandi nomi. Ovviamente non tutti gli autori alle prime armi sono bravi ma... alcuni lo sono, ed anzi sembrano avere davanti a sé un buon futuro. Sono loro le vere ricchezze, che giustificano il parziale rischio di ingolfare il settore. Ripeto, tutti pareri personali.
Per quanto riguarda la categoria di esordienti ad un buon livello, mi si consenta di includere nella lista la scrittrice Penny Hancock con il suo thriller “La casa sul fiume”, pubblicato nella nuova collana “Timecrime” di Fanucci.

Jez è un adolescente che nonostante la sua dislessia conduce una vita serena: estremamente bravo alla chitarra, è adorato in famiglia e attorniato da amici, sia a Londra che a Parigi, dove vive con la madre.
Poco prima di tornare nella capitale francese, fa un salto nella casa sul fiume di Sonia, un'amica di famiglia; la missione è ricercare un disco piuttosto raro. Una commissione che non dovrebbe prendergli molto tempo, nei suoi piani... e che invece si protrarrà in maniera inquietante. Sonia, infatti, decide di prenderlo con sé, facendo rimandare la sua partenza con le buone e con le cattive. Un vero e proprio sequestro.
Passano i giorni, e la famiglia denuncia alla polizia la scomparsa di Jez. Da subito i sospetti si concentrano su Helen, zia del ragazzo e una delle migliori amiche di Sonia. Riusciranno le persone coinvolte a venire a capo del mistero e liberare l'adolescente dalla casa sul fiume?

La trama del romanzo non è esattamente originale, ma non per questo priva di fascino. Ad esempio, un intreccio simile aveva anche un libro di Stephen King; “Misery”, avete presente? Lungi da me paragonare i due autori, visto che Penny Hancock ne ha ancora di esperienze da fare.
In ogni caso, gli intrecci sono simili. Se però in “Misery” il punto di vista era soltanto del povero scrittore sequestrato, qui i riflettori vengono puntati sulla rapitrice e su una parente dell'ostaggio, anche se propende più la prima. Entriamo quindi nella mente di Sonia, veniamo a conoscenza dei suoi meccanismi, delle intime ragioni che l'hanno portata a quel gesto, e persino le sue autogiustificazioni. Con l'altro punto di vista, introdotto da una terza persona limitata, parliamo della famiglia di Jez, approfondendo in particolare le sue dinamiche. Per ovvi motivi coinvolge di più Sonia, ma anche l'altra parte è importante per l'economia del romanzo.
Rispetto alla maggior parte dei thriller, manca quasi del tutto la parte dedicata alle indagini, un must del genere: i pochi accenni che vengono fatti non sono, diciamo, lusinghieri per i poliziotti che se ne occupano. Anche il ritmo della narrazione è piuttosto pacato, ed i (pochi) colpi di scena impattano con sobrietà: la scrittura non fa più del necessario per trasmettere le sensazioni al lettore. Difficile dire se è una scelta precisa o si tratta di incapacità tecnica dell'autrice, così come se sia un vero e proprio pregio.

Come già accennato, l'introspezione psicologica è abbastanza soddisfacente, anche se non perfetta. A volte Penny Hancock vuole “forzare la mano” al lettore, descrivendogli lei stessa il carattere del personaggio di turno ma senza poi fornire delle prove di quanto dice. Jez è senza dubbio quello che ne risente di più: tutto il cast fa a gara per incensarne le lodi – intelligente, carismatico, educato – ma non sempre queste cose risaltano, soprattutto in rapporto a quanto viene ripetuto.
Per fortuna, questo quadro non proprio roseo viene contrastato dalla caratterizzazione dei protagonisti, quella sì buona. Ho già parlato brevemente di Sonia: ma la sua pazzia (perché di questo si tratta) è approfondita con grande cura e perizia, anche sul passato che l'ha portata poi al sequestro del ragazzo.
Discorso analogo si può fare per Helen: una mai sopita gelosia per la sorella, un matrimonio in crisi, la certezza che i suoi figli non concluderanno molto nella vita. Risultato? Un atteggiamento al limite dell'alcolismo. E tutto questo mentre colei che si professa la sua migliore amica – Sonia – le prepara, anche se inavvertitamente, il colpo di grazia.
I personaggi secondari si dividono in due categorie: quelli che hanno lo stesso problema di Jez e quelli che, invece, hanno una buona caratterizzazione. Nella seconda categoria appartengono di diritto i mariti delle protagoniste, Greg e Mick – anche se nel caso del primo non si capisce quanto dei suoi lati negativi siano frutto della mente malata di sua moglie, oppure la madre di Sonia. Stupiscono, in questo senso, anche semplici comparse come i due agenti che si occupano della scomparsa del ragazzo, in particolare quello più giovane. Un po' più di uniformità ed un'uguale attenzione a tutti sarebbe stata gradita, ma per essere un romanzo d'esordio non c'è affatto male.

Lo stile di Penny Hancock non ha ancora la personalità necessaria per fare davvero la differenza, ma non ha particolari carenze tecniche. E' piuttosto semplice, soprattutto da leggere: nei vocaboli, nella punteggiatura e nella scelta delle figure retoriche, molto diradate. E' comunque evidente che l'autrice abbia riflettuto a lungo su “La casa sul fiume” e la sua trama, perché la storia ha una precisa collocazione temporale, i flashback vengono dosati con precisione all'intreccio principale, e i punti di vista vengono gestiti con efficienza. Su questi ultimi, funziona la scelta di usare due persone diverse: non è proprio originale, ma così si evita che le protagoniste abbiano la stessa voce.

“La casa sul fiume” non cambierà la vita di chi lo legge, ed è difficile dire se resisterà alla prova del tempo, però... Nessuno ha la strada in discesa quando si tratta di scrittura, e non si arriva a metà dell'opera per il semplice motivo che la strada non finisce mai, ma sicuramente Penny Hancock è partita con il piede giusto.

Nessun commento:

Posta un commento

Grazie per aver condiviso la tua opinione!

LinkWithin

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...