Il
Signore degli Anelli e il Silmarillion tra contaminazione e purificazione
di Lavinia Scolari
- Prima puntata: Divinità e personaggi guaritori
- Seconda puntata: Gandalf
- Terza puntata: Aragorn
- Quarta puntata: Divinità e personaggi contaminatori
2. Divinità e personaggi contaminatori
Il
Capo dei Nazgûl e il Sovrintendente di Gondor
Nel romanzo epico-mitologico di Tolkien,
il Capo dei Nazgûl è il più potente fra gli schiavi di Sauron e conduce gli
eserciti di Mordor alla guerra disseminando paura e smarrimento. Egli è il capo dei Nove, un
flagello di morte e disperazione, contagioso come la peste e oscuro come il suo
Padrone.
«Eppure il più terribile di tutti i
capitani al servizio del Signore di Barad-dûr è ormai padrone della cinta
esterna delle tue mura», disse Gandalf. «Re di Angmar in tempi che furono,
Negromante, Schiavo dell’Anello, Signore dei Nazgûl, arma di terrore nelle mani
di Sauron, ombra di disperazione». (Il
Signore degli Anelli, Rizzoli, p. 983)
Sebbene investito dall’Oscuro Signore di
una forma di sovranità corrotta e malsana, è nello stesso tempo schiavo e
capitano di eserciti, servitore e asservitore. Un nemico temibile sottomesso al
potere dell’Anello e dal quale deriva la sua potenza. Destinato a crollare, di
lui non rimarrà altro che il fiele sulle brulle pianure del Pelennor. Il capo
dei Nazgûl, come tutte le altre creature dell’Oscuro Signore, mescola
un’apparente formidabile potenza alla totale dipendenza da Sauron.
Quest’ultimo – ormai privo di forma corporea e ridotto ad un Occhio senza ciglia – non si espone alla guerra e al rischio, manda avanti i suoi servi. Eppure proprio in questo Denethor, il Sovrintendente di Gondor, ravvisa il senso stesso della sovranità.
Quest’ultimo – ormai privo di forma corporea e ridotto ad un Occhio senza ciglia – non si espone alla guerra e al rischio, manda avanti i suoi servi. Eppure proprio in questo Denethor, il Sovrintendente di Gondor, ravvisa il senso stesso della sovranità.
«Egli verrà soltanto per celebrare il suo trionfo su di me, quando sarà riuscito a far soccombere tutti. Adopera gli altri come sue armi. È così che agiscono tutti i grandi sovrani, se sono saggi, Messer Mezzuomo. Altrimenti perché rimarrei qui seduto nella mia torre a pensare, osservare e attendere, sacrificando persino i miei figli? Perché ho ancora un’arma».(cit. , p. 983)
Attendere, ordire nuovi disegni e
manipolare i servitori usando le armi a propria disposizione: ecco lo specchio
del potere regio nella mente del padre di Faramir. Un’immagine distorta
dell’idea di sovranità secondo la quale l’esercizio del potere si
rappresenterebbe nello lontananza e non nella prossimità, nel chiuso di una
torre e non nel contatto diretto con la propria terra e i propri sudditi. Se
Denethor cadrà prima di Gondor[1] ciò accadrà poiché egli in
realtà è solo un custode, incapace di adempiere compiutamente alla sua funzione
di difesa della città e di salvaguardia del regno, accecato da una visione
travisata della realtà per le arti e la volontà di Sauron.
E così Denethor vagheggia di uccidersi,
portando con sé nel rogo l’unico figlio rimasto.I personaggi di Tolkien,
secondo MONDA e SIMONELLI, sembrano mescolare i tratti dell’eroe pagano
(classico e nordico, sfiorato per lo più da una fatalità esiziale) e di quello
cristiano.
Tra essi spicca il personaggio di Denethor: “Simile agli eroi del Silmarillion (e ai loro antecedenti germanici) è il personaggio di Denethor, all’interno del Signore degli Anelli. Questo nobile e fiero Sovrintendente dell’antico regno di Gondor, convinto dell’ormai inevitabile e definitiva sconfitta, allestisce per sé e per il figlio Faramir, moribondo, una pira funebre su cui immolarsi solennemente. Un fuoco sostanzialmente pagano. Denethor, eroe antico e pagano, è un uomo che si trova a vivere un’epoca di transizione di cui non riesce, chiuso come è negli angusti schemi del passato, a cogliere tutta la complessità. L’incomprensione della realtà lo porterà al rifiuto di viverla e alla follia suicida.” (cfr. MONDA A., SIMONELLI S., Tolkien. Il signore della fantasia, Milano, 2002, p. 27) La figura di Denethor viene brevemente accostata a quella di Beorhtnoth, condottiero anglosassone protagonista del poema antico inglese La battaglia di Maldon, e a quella di Beowulf per quel tratto di eroismo che Tolkien definiva “sportivo” e che era tipico dei condottieri che sacrificavano la propria vita o accettavano condizioni sfavorevoli in battaglia dimostrando il loro ardimento, ma mettendo così a rischio l’incolumità e la salvezza dei loro sudditi. Il compito del guardiano è quello di proteggere ciò che è gli è stato affidato. Ma Denethor non è più in possesso delle proprie facoltà, non segue più il suo volere, bensì quello più potente e trascinante del Padrone dell’Anello. Una libido moriendi si impossessa di lui riversandosi anche nell’ignaro figlio esanime.
Tra essi spicca il personaggio di Denethor: “Simile agli eroi del Silmarillion (e ai loro antecedenti germanici) è il personaggio di Denethor, all’interno del Signore degli Anelli. Questo nobile e fiero Sovrintendente dell’antico regno di Gondor, convinto dell’ormai inevitabile e definitiva sconfitta, allestisce per sé e per il figlio Faramir, moribondo, una pira funebre su cui immolarsi solennemente. Un fuoco sostanzialmente pagano. Denethor, eroe antico e pagano, è un uomo che si trova a vivere un’epoca di transizione di cui non riesce, chiuso come è negli angusti schemi del passato, a cogliere tutta la complessità. L’incomprensione della realtà lo porterà al rifiuto di viverla e alla follia suicida.” (cfr. MONDA A., SIMONELLI S., Tolkien. Il signore della fantasia, Milano, 2002, p. 27) La figura di Denethor viene brevemente accostata a quella di Beorhtnoth, condottiero anglosassone protagonista del poema antico inglese La battaglia di Maldon, e a quella di Beowulf per quel tratto di eroismo che Tolkien definiva “sportivo” e che era tipico dei condottieri che sacrificavano la propria vita o accettavano condizioni sfavorevoli in battaglia dimostrando il loro ardimento, ma mettendo così a rischio l’incolumità e la salvezza dei loro sudditi. Il compito del guardiano è quello di proteggere ciò che è gli è stato affidato. Ma Denethor non è più in possesso delle proprie facoltà, non segue più il suo volere, bensì quello più potente e trascinante del Padrone dell’Anello. Una libido moriendi si impossessa di lui riversandosi anche nell’ignaro figlio esanime.
«Non hai l’autorità, Sovrintendente di Gondor, di stabilire l’ora della tua morte», rispose Gandalf. «Solo i re schiavi dell’Oscuro Potere si comportavano nella loro empietà in questo modo, suicidandosi in preda all’orgoglio e alla disperazione, assassinando i loro cari per facilitare la propria morte.»(cit., p. 1024)
Gandalf ravvisa nel folle desiderio di
morte che scuote Denethor l’ombra dell’Oscuro Signore. Follia, assassinio dei
congiunti e suicidio sono segnali del suo inganno, di una contaminazione
cruenta e profonda penetrata nel Sovrintendente attraverso filtri ancora
occulti, che lo spinge nelle braccia di una morte orrenda.
Uno dei grandi errori di Denethor è la
sua volontà di eguagliarsi all’unico signore dell’Anello. Il Sovrintendente usa
il Palantír, strumento sul quale solo il Re di Gondor può rivendicare il
diritto di possesso e che, malgrado la sua funzione salvifica, è suscettibile
di essere sovvertito come ogni altro strumento di potere.
«I
palantíri vengono da Eldamar, al di
là dell’Ovesturia. Furono fatti dai Noldor; forse l’artefice fu proprio Fëanor,
in giorni così lontani che il tempo non può misurarsi in anni. Ma non esiste
nulla che Sauron non sappia adoperare per scopi malefici.»(cit., p. 724)
Anche i Palantíri, come gli Anelli
magici, sono stato realizzati dai Noldor. Depositari della conoscenza, della
memoria, della saggezza e della taumaturgia, i demiurghi per eccellenza tra i
figli di Ilúvatar. Il loro atto sub-creativo (diverso da quello dei Nani,
abilissimi artigiani ma nulla più), dà origine ad una serie di oggetti dalle
capacità recondite che danno esito positivo o negativo a seconda del modo con
cui sono utilizzati. Essi sono dei canali potenzialmente neutri, ma
suscettibili di corruzione come di purificazione.
Sauron ha forgiato soltanto l’Unico,
lasciando ai Fabbri Elfi il compito di dar forma agli altri anelli, poiché –
come si è detto – la sua prerogativa non è la creazione, ma la deturpazione.
Per deformare un aspetto della realtà, bisogna partire da questa. Sauron non è
un creatore, né un demiurgo. È solo un contaminatore. E la contaminazione
necessita di strade e canali da percorrere per esistere e diffondersi.
Tuttavia, mentre l’Anello non nasce come strumento di purificazione o salvezza,
il Palantír, nasce per una funzione di ordine ed equilibrio, che il Nemico
corrompe e altera.
CONCLUSIONI
Nel Signore
degli Anelli, il potere si sdoppia e scinde in due grandi aspetti
antitetici eppure complementari, di cui l’Anello e Aragorn diventano emblemi,
rappresentanti di due diverse tipologie del dominio e della modalità di
gestirlo ed esercitarlo.
L’antinomia tra luce e ombra
(suscettibile di essere letta come opposizione purezza/contaminazione),
ampiamente visibile nei racconti di Tolkien, si proietta anche sul versante del
potere, come dimostrano l’anello stesso e Grampasso. Un potere, però, ancora
non espresso in tutta la sua potenza, nascosto, recondito: entrambi infatti
sono profondamente diversi da ciò che il loro aspetto offre alla vista. Tutti e
due sono celati, ma l’uno è uno strumento di contaminazione e l’altro di
salvezza. L’erede (Aragorn) e il flagello di Isildur (l’Anello) si distanziano
per ruolo e significato: se l’uno protegge, purifica e guarisce, l’altro
inganna, contamina e distrugge.
Di contro alla natura pericolosa e
contaminata dell’arma del Nemico, Aragorn si staglia come erede di un potere
capace di rifondare le città abbattute e di ricostruire l’ordine infranto. La
capacità di risanamento del Re Taumaturgo, che rientra nel tema della
purificazione, si fa figura del suo ruolo di restauratore dell’equilibrio e
della pace. Custode della conoscenza delle Antiche Storie e della memoria della
stirpe da cui proviene, Aragorn è detentore della Speranza, difensore di
un’eredità regale che protegge e dirada le ombre. Il compito del risanamento e
della guarigione è dunque affidato, nel corpus
tolkieniano, non solo a figure eccezionali come dèi ed elfi ma anche a Uomini
come Aragorn il Dúnadan.
Le azioni antitetiche dei personaggi
“sovrannaturali” o “di potere” (Melkor, Sauron e i Nazgûl e Saruman da una
parte, Aragorn, gli Elfi, i Valar e Gandalf dall’altra) sono rispettivamente di
sconvolgimento dell’equilibrio vitale e di suo ripristino. Le creature
contaminatrici operano sul piano del disfacimento dell’armonia e
dell’equilibrio, quelle salvifiche agiscono sul piano del riequilibrio, della
ricomposizione dell’equilibrio sovvertito appunto.
Contaminazione e purificazione si
rivelano pertanto due assi narrativi e formali imprescindibili nella scrittura
di Tolkien, due temi sfaccettati e complessi che si offrono come una possibile
chiave di lettura del suo universo mitopoietico.
[1] «Ma il Signore della Città,
Beregond, è caduto prima della sua città.» (Il Signore degli Anelli, cit., p. 993).
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