A cura di Surymae Rossweisse
Salve a tutti, e benvenuti ad un'altra puntata de “Il tempio degli Otaku”. Eh... non ci sono più i manga di una volta. Il motivo? Non esistono più mezze stagioni. Magari ci sono delle eccezioni ma si sa, una rondine non fa primavera.
D'accordo, abbandono le frasi fatte e vi spiego la ragione di questa curiosa introduzione. Molti appassionati – perlopiù di età avanzata, ma non mancano esemplari precoci – sono del parere che davvero non ci siano più i manga di una volta: ormai quella dei fumetti nipponici è una vera e propria industria, e come tale risente del marketing, delle mode e delle più becere attitudini commerciali. Il risultato è che, a loro dire, le opere di oggi non sono affatto al livello di quelle più datate, ma molto inferiore.
Naturalmente, però, la situazione non è proprio così. Esempio lampante è il manga di questa settimana, che pur essendo del 2003 riesce a difendersi egregiamente grazie ad una premessa originale, all'ottima introspezione psicologica, e più in generale alla voglia di dare dei contenuti più elevati ed adulti al lettore. Scoprite a cosa mi riferisco con “Homunculus” di Hideo Yamamoto.
Susumu Nakoshi vive una specie di doppia vita: conosce da vicino la ricchezza e il lusso sfrenato, ma allo stesso tempo anche la povertà. Il nostro, infatti, ha un'esistenza da homeless: trascorre le sue notti in una macchina posteggiata vicino ad un lussuoso hotel che ha visitato parecchie volte.
In un giorno di questa strana routine viene approcciato da un giovane dottore dall'aspetto ambiguo, Manabu Ito: costui gli propone, per la cifra faraonica di 700000 yen, di farsi trapanare il cervello allo scopo di risvegliare il suo stesso senso. Molti probabilmente rifiuterebbero all'istante, ma c'è in gioco il non avere soldi nemmeno per fare benzina alla sua amata macchina: perciò, Nakoshi accetta la proposta.
L'operazione si svolge con successo: già poche ore dopo l'intervento, strani eventi cominciano ad accadere al nostro “barbone”. Al posto delle persone, infatti, vede strane forme e sagome: gli homunculus, spiega Ito, ossia la manifestazione fisica del lato più profondo dell'inconscio. L'idea iniziale è quella di aiutare queste persone a superare i loro intimi problemi: ma appunto, è soltanto l'inizio...
Una premessa necessaria: “Homunculus” non è un titolo per tutti, sotto diversi punti di vista. Ad esempio il target: il seinen, ossia manga per adulti. A volte capitano shonen che non sfigurerebbero come seinen e seinen che forse starebbero meglio come shonen, ma questo non è affatto il caso. Nel corso dei quindici volumi dell'opera abbiamo un bel parterre di scene forti a base di sesso (a volte nemmeno consenziente), sangue, allucinazioni, il tutto in varie combinazioni.
Non solo, tutte le sequenze portano il manga in una precisa direzione: non esistono riempitivi, men che meno parentesi comiche. L'effetto finale, comunque, non è pesante: il lettore, all'inizio, nemmeno se ne accorge. Soltanto quando avrà la visione di insieme – o quantomeno sarà sulla buona strada... - noterà la “simmetria” dell'intera trama. Almeno Hideo Yamamoto non ha l'abitudine di molti mangaka nipponici (molti insospettabili) di ideare la loro opera sul momento, a volte con conseguenze drammatiche in termine di godibilità.
Non tutti i palati riusciranno a digerire “Homunculus”, ma non solo per qualche scena disturbante. Anche i contenuti sono difficili da buttare giù. Nei primi volumi si è portati a credere di trovarsi un manga tutto sommato semplice: Nakoshi trova gli homunculus e cerca di mettere a posto le loro deviazioni. D'accordo, non usa metodi... convenzionali – vedere per credere – ma insomma, questo lo si sapeva già.
Quello che non si sa è che di lì a poco i dialoghi si trasformeranno in lunghissime digressioni filosofiche che non farebbero sfigurare il seminale “Neon Genesis Evangelion”, con naturalmente il buon vecchio Freud che fa la parte da leone. Non è un cambiamento facile: sono contenuti di tutto rispetto, non facilmente assimilabili. E poi, magari anche un po' di azione non sarebbe male, magari inframmezzata a queste parti più serie. Ma alla fine, il gioco vale la candela: tanta introspezione psicologica in più. E poi, ci vuole un certo coraggio ad affrontare con un mezzo così “fisico” come il manga tali argomenti. Pollice su per il coraggio... e perché funziona.
Ho accennato poco prima all'introspezione psicologica: a maggior ragione, con tutto quello che vi ho appena detto, spero vivamente che non crederete di trovarvi di fronte al classico schema “buoni buonissimi, cattivi cattivissimi”...
Sapevo avreste capito. Un po' perché la trama non consente quel genere di impostazione, ma soprattutto perché rendersi la vita semplice non è proprio nelle corde di Yamamoto, non abbiamo un vero e proprio “Big Bad”. D'accordo, proporre alla gente di farsi trapanare il cranio dandogli addirittura dei soldi non rientra nel giuramento di Ippocrate, ed alcuni homunculus più che esempio positivo per il lettore sono esempi adatti ad un manuale di psichiatria o psicologia... però non abbiamo nemmeno un “grande buono”.
Ad onor del vero Nakoshi ci prova: il pensiero non è mai articolato alla perfezione (come si potrebbe vedere, per dire, in uno shonen) ma l'idea è quella di capire i problemi degli altri ed aiutarli a liberarsene. Inutile dire che naufraga piuttosto velocemente. Per quanto il nostro si sforzi, non è un eroe e mai lo sarà. Non ha senso che si dedichi alle devianze del primo che passa, quando avrebbe bisogno lui stesso di una mano.
Non sa che cosa fare, e non riesce a combattere l'inevitabile stress che questa situazione gli procura. Più volte ha reazioni al limite – o che lo valicano ampiamente – della sanità mentale, e non solo perché (ovviamente) la gente non capisce come mai li fissa coprendosi un occhio mormorando qualcosa comprensibile solo a lui.
Con il passare della storia, inoltre, manifesta un'inquietante dipendenza dagli homunculus: vorrebbe liberarsi di loro, ma quando ci riesce non si abitua all'idea di non vederli più, con contorno di definitiva perdita di salute mentale. Bella storia, vero...?
Anche gli altri personaggi, comunque, hanno un livello di introspezione psicologica molto buono. Ito non deve certo parlare, per quanto riguarda i traumi infantili e le turbe comportamentali, anche se almeno la sua vicenda è a lieto fine – o comunque non cupa quanto quella di Nakoshi.
Sono pochi i personaggi con gli homunculus ad avere delle parti rilevanti a livello di storia, ma coloro che le hanno – in particolare una ragazzina, Yukari – sono trattati con una cura certosina in tutti gli aspetti delle loro devianze e le loro assonanze con il nostro cosiddetto eroe.
Il tratto di Hideo Yamamoto è pulito, ma non per questo privo di personalità. E' piuttosto gradevole da vedere, con un ottimo uso delle sfumature e dei retini ed una buona cura per i dettagli. In particolare è in grado di rendere tantissime espressioni dei suoi sfortunati pupilli, con l'aiuto anche di inquadrature sempre d'effetto e molto cinematografiche. Belle anche le copertine, semplici ma piuttosto d'effetto. Insomma, bisognerebbe impegnarsi per parlarne male...
… Un po' come di tutto il manga in generale. E per oggi è tutto, cari amici. Arrivederci alla prossima settimana, con “Il tempio degli Otaku”!
Mi ispira un sacco! Grazie per avermelo fatto conoscere :)
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