venerdì 27 luglio 2012

Il tempio degli otaku: sessantanovesimo appuntamento “Le bizzarre avventure di JoJo: Phantom Blood”


A cura di Surymae Rossweisse

Salve a tutti, e benvenuti ad un'altra puntata de “Il tempio degli Otaku”. E' da qualche settimana che non parliamo di opere famose...E quando mai, mi direte voi. Beh, per una volta invece abbandoniamo questo cimitero di manga che vanno dal “per un pubblico di nicchia” al “chi cavolo li conosce?”.
Questo però non ci impedisce di andare indietro nel tempo: negli anni '80, e per la precisione in una rivista shonen (Shonen Jump, appunto) che era ai suoi massimi splendori. Un sacco di titoli di cui loro si sono occupati in quel decennio, infatti, hanno fatto la storia del genere: e questo è uno di quelle. Ambientazione antica! Elementi kitsch a più non posso! Sceneggiatura satura di piccole ingenuità! Questo, e molto altro, ne “Le bizzarre avventure di JoJo: Phantom Blood” di Hirohiko Araki, primo dell'omonima saga.

Inghilterra dell'800. La ricca famiglia Joestar, il cui rampollo è Jonathan (detto JoJo), subisce una piccola rivoluzione: nella loro residenza viene infatti ad abitare il giovane Dio Brando, figlio di un malvivente che non naviga nell'oro. Il vecchio capofamiglia è convinto, con questa mossa, di aver raggiunto due obiettivi: il primo, ripagare un debito con Brando senior, il quale in passato gli ha salvato la vita; il secondo, procurare un nuovo amico – ed un fratello – a Jonathan.
Si sbaglia su tutta la linea. Per prima cosa, l'obbligo che Joestar ritiene di avere è solo frutto di un malinteso. La seconda è che Dio non ha affatto intenzione di essere amico di JoJo, anzi aspira a rendergli la vita un inferno. Maltratta il suo amato cane, bacia la ragazza che gli piace, lo ricopre di ridicolo... e di tutto questo il vecchio capofamiglia nemmeno se ne accorge.
Passano gli anni; Dio e Jonathan crescono, e gli sforzi di quest'ultimo per passare sopra ai vecchi torti ed avere un buon rapporto sembrano pagare. Ma anche questa è solo un illusione. Brando infatti ha messo gli occhi sull'eredità dei Joestar, ed in particolare di un vecchio manufatto che, si dice, può garantire la vita eterna: la maschera di pietra. Dopo la provvidenziale malattia del capofamiglia, mette in atto il suo piano: costringere JoJo ad indossare l'artefatto, provocandone così la morte. La cosa non funziona: per un errore è Dio stesso a mettersela... diventando così un vampiro. Non che ne sia scioccato. Che cos'è l'eredità di una semplice famiglia quando si può avere il mondo intero?
Jonathan – che ormai ha capito che razza di persona sia il fratellastro – è deciso a non permettere che ciò accada; con l'aiuto di un ladruncolo (Speedwagon) ed un maestro di lotta (Will A. Zeppeli) cercherà di sconfiggere il malvagio vampiro. Ci riuscirà?

Phantom Blood 8Se questa trama – e questa recensione, una volta finita di leggerla – vi hanno intrigato, vi prego di chiudere almeno un occhio, durante la lettura del manga, e di essere indulgenti. La non elevatissima esperienza dell'autore – qualche opera all'attivo, ma nessuna di così grande portata – e i tempi in cui è stato pubblicato creano un mix esplosivo di ingenuità.
Ad esempio, la sceneggiatura: lunghi inforigurgiti, abuso di punti esclamativi (a volte sembra di leggere una pubblicità, o un comic americano di fattura decisamente bassa), nomi di personaggi a dir poco opinabili che si uniscono a dialoghi che a volte sono più divertenti che drammatici. Cercate di capire: è piuttosto difficile avere paura di un cattivo che si chiama Dio Brando – unione di Ronnie James Dio, cantante metal, e il più celebre Marlon Brando.
Tutti questi sono certamente difetti, ma paradossalmente sono una delle caratteristiche che rendono la serie unica e meritevole di provare. La lettura è scorrevole anche perché le frasi sono eccessive e didascaliche; il cast convince per il suo essere sopra le righe. Sono tutte pecche tipiche della sua epoca – dove l'esagerazione era diventata quasi una religione – e per questo ci dicono tanto degli anni '80, delle sue sciocche mode e delle sue caratteristiche, nel bene e nel male.
Ma “...Phantom Blood” ha anche dei meriti tutti suoi, indipendenti da fattori esterni. La poliedricità, ad esempio. In soli cinque volumi abbiamo: una sottospecie di shojo, con le vicende di una famiglia nobile ed accenni amorosi, l'horror puro (c'è persino Jack lo Squartatore, in un'inedita veste), un'incursione nello storico – il conflitto tra Elisabetta I e Maria Stuarda – fino ad arrivare al buon vecchio shonen dediti ai combattimenti.
Naturalmente prevale l'ultima categoria, con annessi cliché che non possono mai mancare: il mentore, il bambino, i nemici progressivamente più forti fino allo scontro con “il boss di fine livello”. Con una piccola innovazione, però: Dio ha mandato gli sgherri perché non voleva disturbarsi ad uccidere lui stesso Jonathan, non per testare la sua forza o sciocchezze del genere.
relate learn strong quest defeat dio sunlight yellow overdrive Jonathan Joestar phantom bloodTornando agli altri generi, lo storico sorprende, anche se l'evidente ammirazione di Araki per Maria Stuarda – dipinta praticamente come una santa, a differenza di coloro che stavano dalla parte di Elisabetta – ne toglie un po' di fascino. Indubbiamente, comunque, una delle parti più belle di tutta la serie.
Anche il versante horror regala soddisfazioni: sapete com'è, a forza di vampiri sbrilluccicosi che di vampiro hanno solo il nome uno quasi si dimentica come dovevano essere in realtà, vale a dire spaventosi. Meno male che ci pensano “Le bizzarre avventure di JoJo” a rinfrescarci la memoria.
Lo shojo ha le briciole, visto che si limita soltanto al primo volume o giù di lì, ma è importante per gettare le fondamenta della storia: presentarci i personaggi, le loro motivazioni e la loro personalità. A proposito di ciò, il mangaka dimostra di saperci fare abbastanza con l'introspezione psicologica. Convince Jonathan, il protagonista: nonostante sia dispiaciuto per come sono andate le cose con Dio, non è il solito pacifista che crede che soltanto la forza delle parole possa bastare a salvare il mondo. All'inizio della storia magari lo pensava possibile, ma poi cresce, e non si tira indietro quando il gioco si fa duro. Questo non significa che gli piaccia picchiare la gente fino a ridurla in fin di vita, ma quando si arriva a quei punti che bisogna fare?
E poi, Dio Brando. D'accordo, forse sono un po' parziale, dato che – ma pensa! - Ronnie James Dio è uno dei miei cantanti preferiti, ma è probabilmente uno dei cattivi shonen che più è rimasto nell'immaginario collettivo. Certo, è un po' troppo loquace e un po' troppo malvagio per essere credibile, ma l'intelligenza (la sua) e il carisma (farina dell'autore) rimangono.
Gli altri personaggi si alternano tra chi ha una buona caratterizzazione e chi no. Tra i primi spiccano sicuramente Zeppeli, la cui storia è narrata nei dettagli, ed Elena, la spasimante di Jonathan, il cui carattere viene scandagliato nonostante la poca esposizione, ma anche alcuni secondari, come il capofamiglia Joestar. Tra chi non è stato così fortunato, invece, impossibile non citare Speedwagon, che non fa assolutamente niente per tutta la durata della storia a parte far notare al lettore cose che con tutta probabilità aveva già capito da solo. Grazie per lo sforzo, comunque.

Il tratto di Hirohiko Araki segue fedelmente gli stilemi dell'epoca. Figure che sembrano uscite da una gara di culturismo, capigliature che resistono persino alle leggi della fisica, pose che vorrebbero essere “serie” ma che a noi fanno sorridere, una disposizione della tavola caotica e l'ignoranza del fatto che oltre al bianco e – soprattutto – al nero, esiste il grigio, con tutte le sue sfumature. Ma senza quello stile così tamarro la storia non sarebbe stata la stessa. E a noi, in fondo, “...Phantom Blood” va bene anche così.

E per oggi è tutto, cari amici. Arrivederci alla prossima settimana, con “Il tempio degli Otaku”!

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