Buonasera e bentornati a By the keyhole..., la nostra rubrica mensile dedicata ai classici! Quello di questa puntata è italiano, scelto appositamente perché oggi è l'anniversario di morte dell'autore. Qualcuno lo avrà studiato a scuola, altri, forse, lo conosceranno di nome ma non hanno mai letto nulla di suo. E allora ne parliamo su Dusty pages, cercando di incuriosirvi verso quella che è una snervante opera letteraria. Snervante, proprio così! E ora capirete perché.
Giovanni Drogo, appena nominato ufficiale, parte una mattina di settembre per raggiungere la Fortezza Bastiani. Questa si trova al confine, in una zona arida e isolata, davanti a cui si stende un deserto. Non sabbioso, ovviamente, ma roccioso. Una leggenda gravita su questo luogo: tutti, infatti, attendono l'avvento di qualcosa dal deserto. Un esercito, la guerra, forse i Tartari, che dicono debbano arrivare proprio da laggiù, in quel posto dimenticato da Dio. E la fortezza, bianca, sinistra e ammaliante, sembra avere un potere ipnotico: è impossibile fuggirne. Drogo, ovviamente, spera di andar via da lì il prima possibile. Ma i suoi piani non andranno esattamente come crede...
Avete ricostruito le parole chiave? Stiamo proprio parlando di...
Il deserto dei Tartari
In una fortezza ai limiti del deserto una guarnigione aspetta l'arrivo dei Tartari invasori. Ma sarà una lunghissima, vana, logorante attesa.
Chi è l'autore?
Chi è l'autore?
Dino Buzzati Traverso (San Pellegrino, Belluno, 16 ottobre 1906 - Milano, 28 gennaio 1972) è stato un famoso scrittore, giornalista e pittore italiano.
Buzzati crebbe in una famiglia tradizionale; la mamma era veneziana, il padre di antica famiglia bellunese, ma vivevano a Milano, dove il giovane Dino frequenterà il ginnasio Parini e poi la facoltà di Giurisprudenza (per assecondare i desideri del padre che lo vedeva futuro avvocato). Secondo di quattro fratelli, amava molto la musica, il disegno e la montagna, che costituiranno elementi fondamentali del poliedrico talento dell'artista. Nel 1928 appena prima di terminare gli studi di univeristari entra come praticante al Corriere della Sera, del quale diverrà in seguito redattore. Sempre nello stesso anno si laurea in giurisprudenza con una tesi dal titolo La natura giuridica del Concordato Nel 1933 esce il suo primo romanzo, Bàrnabo delle montagne; due anni dopo esce il romanzo Il segreto del Bosco Vecchio. Mentre è del 1940 quello che probabilmente è il suo più grande successo, Il deserto dei Tartari, da cui nel 1976 Valerio Zurlini trae il film omonimo.
Fu un autore molto realistico che affrontava la gente con i temi della solitudine e dell'angoscia. Morì di cancro a Belluno il 28 gennaio 1972.
Il
deserto dei Tartari è una lunga, lenta, agonia. E questo non lo dico -lungi da
me!- per scoraggiarvi, ma perché, se non fosse così, questo romanzo non avrebbe
motivo di esistere. Metafora della routine della vita, della ricerca estenuante
di obiettivi irraggiungibili e del modo in cui sprechiamo il poco tempo che
abbiamo a disposizione, Il deserto dei Tartari vi irriterà, vi deprimerà, vi
angoscerà e, molto probabilmente, vi farà riflettere. C'è un tema, infatti, in
questo romanzo, che mi è capitato più volte di incontrare anche nella vita
quotidiana: il desiderio di immortalità. Non nel senso letterale, come nel caso
de Il ritratto di Dorian Gray -di cui abbiamo parlato la volta scorsa-, ma
della voglia di fama, di distinguerci dalla massa e di sentirci un po'
speciali. Drogo desidera questo per sé: la guerra, la gloria, l'occasione di
trasformare la sua vita in qualcosa di straordinario. I Tartari prima o poi
arriveranno, e lui sarà lì, a combattere strenuamente, perdendo magari una
gamba, ma diventando un eroe. La sua è la speranza di tutta una vita.
Dimenticherà la ragazza con cui avrebbe potuto sposarsi, la madre, l'allegra
vita di paese. Esiste solo la fortezza -dove i soldati perdono l'umanità, diventando meri manichini che impartiscono ed eseguono ordini, secondo la dura e impietosa legge della fortezza stessa- e quell’ ossessione. Ed è
lei, la fortezza, assieme al paesaggio
logorante, a fare da protagonista. Entrambi sembrano esercitare una forza
attrattiva verso coloro che vi vivono, sembrano instillare grandi ambizioni e
una lucida follia. Non è infatti Drogo l’unica vittima di questo incantesimo: Ortiz,
il sergente Tronk, Lagorio e l’intero commando mettono radici in quel posto
asettico, attendendo fino alla fine dei propri giorni. I capitoli del libro
sono lenti, le scelte del protagonista illogiche. Chi sarebbe tanto pazzo da
decidere volontariamente di trascorrere il resto della propria vita in un posto
isolato, attendendo una guerra che non arriverà mai?
E’ però
il finale quello che dà la stoccata ultima ad una storia che non comprendiamo,
o forse magari sì, anche fin troppo: la beffa, il paradosso, l’umiliazione di
non essere arrivati in tempo, di non poter godere di ciò per cui si è
sacrificata la vita, mentre altri –giovani e ignari- raccoglieranno ingiustamente
il frutto di anni di pene. Ovviamente non vi dirò nulla di più sulla fine, ma
sappiate che è stata quella che mi ha quasi portato a strappare il libro o a
buttarlo dalla finestra.
Perché
allora parlare de Il deserto dei Tartari?
Vedete,
ci sono libri che non sempre devono farti piacere. Ti pruderanno talmente tanto
che li odierai, perché ti dicono troppo rudemente verità che non vorresti mai
sentirti raccontare. Il deserto dei Tartari fa questo: ti spinge a chiederti a
cosa stai dedicando la tua vita. Un ideale effimero, un sogno troppo lontano
per cui si dimentica di vivere il presente, la carriera o il denaro che nulla
sanno delle gioie dell’amore: è facile sprecare la giovinezza, si crede sempre
che ci sia tempo. E gli altri sono sempre lì, pronti a fregarti, a scavalcarti... ma allora, per cosa vivere?
Il brano.
Ho scelto un brano molto breve. Drogo, in una sera tranquilla in cui fa la guardia alla fortezza assieme al sergente Tronk, pensa alla sua vita in quel posto sperduto. E non gli dispiace, credendo che per ora conti far carriera. E' giovane e ha tutta la vita davanti, in fondo...
Attento, Giovanni Drogo!
Per la prima volta Drogo montava di guardia alla quarta ridotta.
Appena uscito all'aperto, egli guardò le rupi incombenti a destra, tutte incrostate di ghiaccio e risplendenti sotto la luna. Folate di ventocominciavano a trasportare attraverso il cielo piccole nuvole bianche escuotevano il mantello di Drogo, il mantello nuovo che significava per luitante cose.
Immobile egli fissava le barriere di rupi dirimpetto, le impenetrabililontananze del nord, e le ali del mantello crepitavano come bandiera,drappeggiandosi tempestosamente. Drogo sentiva di avere quella notte unafiera e militaresca bellezza, diritto sul ciglio della terrazza, con losplendido mantello agitato dal vento. Vicino a lui Tronk, infagottato in unlargo pastrano, non sembrava neppure un soldato.
"Dica un po' Tronk" chiese Giovanni con finta aria preoccupata. "E' una mia impressione o la luna questa notte è molto più larga del solito?"
"Non credo, signor tenente" disse Tronk. "Qui alla Fortezza fa sempre quest'impressione."
Le voci risuonavano grandemente, come se l'aria fosse di vetro.Tronk, visto che il tenente non aveva da dirgli altre cose, se n'andò lungo ilciglio della terrazza, per il suo perenne bisogno di controllare il servizio.
Drogo rimase solo e si sentì praticamente felice. Assaporava conorgoglio la sua determinazione di restare, l'amaro gusto di lasciare le piccole sicure gioie per un grande bene a lunga e incerta scadenza (e forse c'era sotto il consolante pensiero che avrebbe sempre fatto in tempo a partire).
Un presentimento – o era solo speranza? – di cose nobili e grandi lo aveva fatto rimanere lassù, ma poteva anche essere soltanto un rinvio, nulla in fondo restava pregiudicato. Egli aveva tanto tempo davanti. Tutto il buono della vita pareva aspettarlo. Che bisogno c'era di affannarsi? Anche le donne, amabili e straniere creature, le prevedeva come una felicità sicura, a lui formalmente promessa dal normale ordine nella vita.Quanto tempo davanti! Lunghissimo gli pareva anche un solo anno egli anni buoni erano appena cominciati; sembravano formare una serie lunghissima, di cui era impossibile scorgere il fondo, un tesoro ancora intatto e così grande da potersi annoiare. Nessuno c'era che gli dicesse: "Attento, Giovanni Drogo!". La vita gli appariva inesauribile, ostinata illusione, benché la giovinezza fosse già cominciata a sfiorire. Ma Drogo non conosceva il tempo. Anche se avesse avuto dinanzi a sé una giovinezza di cento e cento anni come gli dei, anche questo sarebbe statauna povera cosa. E lui aveva invece disponibile una semplice e normale vita, una piccola giovinezza umana, avaro dono, che le dita delle mani bastavano a contare e si sarebbe dissolto prima ancora di farsi conoscere.Quanto tempo dinanzi, pensava. Eppure esistevano uomini – aveva sentito dire – che a un certo punto (strano a dirsi) si mettevano ad aspettare la morte, questa cosa nota ed assurda che non lo poteva riguardare. Drogo sorrideva, pensandoci, e intanto, sollecitato dal freddo, si era messo a camminare.
Filmografia.
un libro molto bello e interessante
RispondiEliminaUn grande libro!! Mi è venuta voglia di riprenderlo in mano e di rivedere anche il film :)
RispondiEliminaNon conoscevo il film - proverò a procurarmelo. Il libro, invece, lo conosco ed è tra i miei preferiti!
RispondiElimina