Scritto da Surymae Rossweisse
Salve a tutti, e benvenuti ad
un'altra puntata de “Il tempio degli Otaku”. Ammettiamolo: era da un po' di tempo – a parte Marmalade Boy: ma guai a definirlo vecchio, perché io ho solo
un anno di meno! - che non parliamo della mia amata robaccia vecchia e stravecchia,
che tra poco ricordo solo io. Oggi ritorniamo ai vecchi fasti, approfondendo il
lato più oscuro di un mangaka di cui avevamo già parlato qualche mese fa, Osamu
Tezuka. Ricordate il crudo “MW”? Questa settimana parliamo di un'opera che,
anche se non così cupa, certo gli dà filo da torcere.
Come se non bastasse, il manga è
pure immerso in un'atmosfera storica non molto esplorata dai mangaka: il
secondo dopo guerra che, tra i postumi della bomba atomica, vari squilibri
politici e il traumatico adeguarsi ad un mondo e ad una società che erano
sempre state rifiutati, non fu certo un periodo facile per il Giappone. Allo
stesso modo non è facile la lettura di questo manga, per la sua crudezza,
complessità e filosofia: ma il gioco vale decisamente la candela. Siete pronti?
Ecco a voi “Ayako” di Osamu Tezuka.
E' appena finita la Guerra del Pacifico, ed il
giovane Jiro Tenge si appresta a tornare a casa dopo le esperienze da incubo
vissute al fronte. Qui rincontra la sua famiglia: il padre, il latifondista
Sakuemon, che lo accusa di “non essere nemmeno riuscito a morire”; la madre
Iba, succube di suo marito; suo fratello maggiore Ichiro, destinato a ereditare
le fortune di famiglia, e la moglie Sue; i fratelli minori Naoko e Shiro; ed
infine la piccola Ayako, nata quando Jiro era al fronte. Subito il nostro nota
una strana reticenza nell'affrontare questo argomento, ed anche una spaventosa
somiglianza della bambina con Sue. Non è un caso: Ichiro ha ceduto sua moglie
al padre pur di avere la sua parte di eredità.
Jiro è logicamente disgustato da
questa situazione, ma non è esattamente la persona ideale per parlare di onore
ed ideali. Prigioniero di guerra, per salvarsi è passato dalla parte degli
americani, tradendo i propri commilitoni. Anche adesso collabora con i servizi
segreti statunitensi, finendo invischiato nell'omicidio di un uomo di sinistra.
Quest'ultimo, Tadashi Eno, è sfortunanatamente il fidanzato di Naoko, che
infischiandosene delle ristrette idee familiari fa parte del P.P.L, Partito
Popolare dei Lavoratori.
Il coinvolgimento di Jiro
nell'omicidio di Eno è quello che porta la rovina della famiglia Tenge, già
provata dalla recente riforma agraria contro il latifondismo. Sulle tracce
dell'uomo si mettono infatti l'ispettore Tamura ed il suo collega Geka,
disposti a tutto pur di arrivare alla verità. Evitare questa sorte costringerà
Jiro e la sua famiglia ad ampliare la scia di sangue, colpendo soprattutto i
deboli, coloro che non possono difendersi.
Chi più ne subirà le conseguenze
è Ayako, colpevole di aver visto qualcosa che non avrebbe dovuto vedere. Con la
compiacenza di un parente medico, infatti, la piccola viene spacciata per
morta, e rinchiusa per sempre in un granaio. Jiro si dà alla macchia, eludendo
la sorveglianza della polizia: ma la situazione è precaria, sia quella dei
Tenge che del Giappone stesso...
Senza dubbio, “Ayako” non è una
serie adatta a tutti i palati. Anzi: chi legge per svagarsi o per cercare un
po' di facile evasione forse farebbe meglio a cercare un altro manga. Non lo
dico in tono dispregiativo: ognuno ha i suoi gusti di lettura. Però non tutti
potrebbero sopportare la crudezza di questa serie.
La maggior parte del cast è
minimo antieroica, per non dire proprio cattiva: gente che non esita a
sacrificare i più innocenti a favore di insignificanti benefici. Le “vittime del sistema”, poi, si sprecano:
Iba e Sue, ad esempio, completamente succubi dei rispettivi mariti – anche se
quest'ultima ha qualche sporadico moto di ribellione, e naturalmente la
protagonista. Pochissimi sono quelli che si possono definire buoni al 100%, e
guarda caso a parte un'eccezione – Naoko – non fanno parte del clan Tenge.
Ben più numerosi quelli in bilico
tra l'una e l'altra categoria: perché va bene dipingere personaggi cattivi ed
antieroici, ma la complessità psicologica è sempre la benvenuta. Sakuemon Tenge
è forse l'esempio più immediato: è sì un proprietario terriero attaccato ai
propri benefici ed un pessimo padre, ma è una delle poche persone ad essere
genuinamente affezionato alla bambina – peccato solo che la sua situazione
precipiti rapidamente... Anche Jiro rientra nella categoria di diritto: il suo
sconcerto nello scoprire la relazione tra Naoko ed Eno, ad esempio, è sincero,
e cercherà sempre di farsi perdonare da Ayako per il male causatole.
E la protagonista? Anche lei
soddisferà gli amanti dell'introspezione psicologica a tutti i costi, ma in
maniera diversa dai sopraccitati personaggi. Il suo passaggio da bambina a
donna, nonché tutte le cicatrici mentali che la sua vita difficile le
procureranno sono rese con grande maestria da Tezuka. Vedendo la vita vera
soltanto di striscio sulle riviste – quindi vedendo una realtà traviata e
semplificata – Ayako non riuscirà mai a capire la differenza tra l'amore ed il
sesso. Anche la sua mente non si evolverà molto da quella della bambina che
era, e nemmeno – per ovvie ragioni – a distaccarsi dal granaio e dalla sua
atmosfera cupa. Ed è il minimo, visto quello che ha passato...
Altro personaggio piuttosto
complesso è il sopraccitato Shiro. Da sempre idealista e prono alla giustizia –
un'inquietante scena nel primo volume lo mostra mentre fa un processo ai suoi
giocattoli per crimini contro l'umanità – la sua fiducia nel mondo verrà
piuttosto sconvolta dagli eventi in seno alla sua famiglia, con conseguenze
ovviamente drammatiche. Uno dei pochi veri alleati di Ayako, non avrà vita
facile nell'orientarsi tra le psicosi della sua sorellastra e al tempo stesso
cercare di migliorare la sua situazione. Anche alcuni suoi atti non sono
esattamente condivisibili, ma considerando i suoi trascorsi il lettore tende
quantomeno a comprenderli.
Non vi basta l'agghiacciante
storia e l'altrettanto agghiacciante background psicologico dei personaggi?
Allora beccatevi (l'agghiacciante) clima storico, che Tezuka dipinge pieno di
tensioni. Alcuni eventi reali sono narrati nel manga, come ad esempio
“l'incidente Shimoyama”, ossia il misterioso omicidio del capo delle ferrovie
nel 1949 – Shimoyama, appunto, qui chiamato Shimokawa – reo di aver licenziato
migliaia di persone. Con uguale crudezza vengono trattati la repressione della
polizia nei confronti dei comunisti – gli americani insegnano... - e
l'affermarsi della malavita dopo la guerra di Corea. Il tutto coniugato alla
perfezione con le vicende personali dei protagonisti...
Sul tratto ho già speso alcune
parole, ma è sempre meglio rinfrescare la memoria. Ai lettori di oggi – a volte
un po' schizzinosi, e troppo abituati all'uso della computer graphic – potrebbe
sicuramente fare una cattiva impressione, con quei personaggi quasi stilizzati,
la costruzione delle pagine morbida ed ombreggiature, sfumature, ecc. fatte
esclusivamente a mano. Tuttavia, bisogna tenere conto dell'epoca in cui è stato
fatto questo manga, ossia il 1972. E poi ammettiamolo, alcune scene paesaggistiche
sono fatte talmente bene che molti dei viziati mangaka di oggi se le sognano...
E per oggi è tutto, gente.
Arrivederci alla prossima settimana, con “Il tempio degli Otaku”!
E' un numero unico? Sono rimasta così incuriosita dalla recensione che voglio prenderlo!
RispondiEliminaNo, sono tre volumi - dal costo di dieci euro l'uno, ahimé... Sono felice di averti incuriosita! :)
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