Eh sì, una nuova rubrica! Non ci bastavano i classici, la poesia, i manga. Abbiamo ritenuto fosse necessario che si parlasse di fantasy. No, non l'urban fantasy, il paranormal, o queste cose qua. Il fantasy made in Tolkien, ma anche la fantastoria, la fantascienza e tutto quello che potesse essere annoverato nel genere, parto di menti geniali, esperte e sopraffine. Per realizzare questo è stato necessario l'aiuto della nostra Elli -il mio genere letterario resta il classico, ma non il fantasy :D- che avete già in parte conosciuto con alcune recensioni. Ma non è bastato: devo mille grazie a VelerioEm, artefice di questo bellissimo banner. La rubrica (che sarà saltuaria) parte alla grande con Philip Dick e il suo La svastica sul sole. Visto che siamo in tempi di crisi, vi anticipo che, se la nostra Elli è riuscita a entusiasmarvi, costa solo € 9,90, edito da Fanucci per la collana TIF Extra (pubblicato per la prima volta nel 2005). Io stessa sono rimasta estremamente affascinata dalle riflessioni di questa puntata quindi non mi resta che augurarvi buona lettura...
A cura di Elli
Stati Uniti d'America, 1962. La schiavitù è di nuovo legale, i pochi ebrei sopravvissuti si nascondono dietro falsi nomi, la California è asservita al Giappone. Vent'anni prima l'asse ha vinto la seconda guerra mondiale, e si è spartito l'America. Sul resto del mondo incombe una realtà da incubo: il credo della superiorità razziale ariana ha soffocato ogni volontà o possibilità di riscatto. L'Africa è ridotta a deserto, vittima di una soluzione radicale di sterminio, mentre l'Italia ha ottenuto solo le briciole dell'immenso potere dell'Europa.
Voto:
La Svastica sul sole, o meglio – come da titolo originale – L’uomo nell’alto castello (The man in the high castle) è uno di quei romanzi molto difficili da giudicare o a cui assegnare un voto che in qualche modo ne riassuma il valore.
Apparso nel 1962, vale a dire in piena Guerra Fredda, è ambientato come quasi tutti sanno (visto che viene tirato fuori ogni volta che si parla di ucronie) in un mondo alternativo in cui le forze dell’Asse hanno vinto la Seconda Guerra Mondiale e dove Germania e Giappone si sono spartiti il mondo (con l’insignificante Italia a fare da semplice spettatrice). Questo lo scenario di fondo. L’azione si svolge principalmente a San Francisco, vale a dire nella metà di America controllata dai giapponesi (i cosiddetti SAP, ovvero Stati Americani del Pacifico), e segue per un breve periodo di tempo le vicende di un eterogeneo gruppo di personaggi le cui storie, indirettamente o meno, si intrecciano fra loro. La narrazione dunque è di natura corale (seguiamo di volta in volta il punto di vista di un diverso personaggio) e abbraccia una serie di vicende che vanno (o sembrano andare) da piccoli casi personali – per esempio le peripezie di un operaio licenziato dal lavoro – fino ad avvenimenti che potrebbero compromettere il futuro del mondo. In realtà, si evince alla fine, tutto sembra far parte di un unico, grande disegno; ma andiamo con ordine.
E’ importante che chi si accosta a questo libro lo faccia con lo spirito giusto, e possibilmente con la precisa consapevolezza di ciò a cui si sta avvicinando. Intanto sappiate che non si tratta di un romanzo al cardiopalma o pieno di emozioni. Per nulla. Il suo andamento è lento, meditativo, in un certo senso caotico (falsa sensazione, quest’ultima: in realtà è tutto perfettamente strutturato). Secondo punto: Dick non si preoccupa affatto di darci un quadro dettagliato di questo affascinante universo alternativo (perché indubbiamente affascinante lo è; possiede il fascino perverso di mostrarci cosa sarebbe accaduto se avesse vinto il “Lato Oscuro della Forza” :P), né di sviscerarne tutte le possibili implicazioni; quindi non vi aspettate nulla di simile. O meglio, per bocca dei suoi personaggi ci fornisce sì alcune inquietanti indicazioni sullo stato delle cose (antisemitismo dilagante e “legale”, ovviamente, il genocidio della popolazione africana, l’Europa stretta nella morsa delle folli imprese naziste – come quella di prosciugare il Mediterraneo per ricavarne terreni coltivabili –, gli americani ridotti a cittadini di seconda categoria, ecc.), ma non è quello, lo si capisce man mano che si procede con la lettura, lo scopo del libro. Ovvero, la rappresentazione ucronica sembra essere più un mezzo che un fine. Ma un mezzo per che cosa? Credo sia questo il dubbio dei molti lettori che alla fine di questo romanzo si dichiarano perplessi.
Indubbiamente sono presenti alcuni dei giochi narrativi a cui un’ ucronia si presta per sua stessa natura, come quello del ribaltamento delle parti: Dick si diverte (ebbene sì, secondo me si è divertito) a mostrare ai lettori americani come si sta dall’“altro lato della barricata”, vale a dire da quello dei perdenti: il dominio giapponese, infatti, seppur tollerante e rispettoso (specie se paragonato a quello nazista), è tuttavia condiscendente; la condiscendenza tipica del vincitore (quella che nella nostra realtà il Giappone ha subito da parte degli Stati Uniti). Anche se, a onor del vero, nel libro il complesso di inferiorità sembra essere più negli occhi di chi è dominato che in quelli dei dominatori (basti pensare al personaggio di Robert Childan e ai giudizi che esprime sui comportamenti e sulle intenzioni dei “giap”; giudizi ora colmi di riverenza, ora pieni di rabbia e frustrazione, ma spesso – lo si intuisce – totalmente fuorviati dai propri personali preconcetti e timori). Così come Dick non manca di rilevare sarcasticamente come i vincitori di una guerra possano scrivere la Storia a modo tutto loro (nella Svastica non sono stati i criminali nazisti a venire processati per crimini di guerra, ma i commandos inglesi, le cui gesta suscitano orrore perfino in chi non simpatizza affatto col Reich).
Ma il libro non si può per nulla ridurre a un gioco fantapolitico teso a mostrare cosa sarebbe accaduto se alcuni eventi fossero andati in un modo piuttosto che in un altro (e chi cerca questo ne rimarrà inevitabilmente deluso), perché a questo punto Dick rimescola le carte in tavola e complica il tutto. All’interno di questo mondo ucronico, infatti, è presente un’ulteriore ucronia: un autore americano, tale Hawthorne Abendsen, che si dice viva trincerato in un castello protetto da una rete di filo elettrificato (è lui “l’uomo nell’alto castello” del titolo originale) ha scritto infatti un romanzo, intitolato La cavalletta non si alzerà più, in cui sono stati gli Alleati a vincere, complice anche il tradimento dell’Italia.
Sembrerebbe trattarsi della nostra realtà. E invece no. Perché nel mondo immaginato dall’autore de La cavalletta le forze dell’Asse sono state sì sconfitte, ma a spartirsi il mondo insieme agli USA alla fine non è stata l’URSS, bensì l’Inghilterra. Ed ecco quindi un altro ipotetico scenario – una vera e propria ucronia nell’ucronia – che però ha in comune con gli altri due (il nostro mondo e quello immaginato da Dick) un punto fermo: ci sono due superpotenze che stanno per arrivare a uno scontro da cui potrebbe nascere un’ipotetica e devastante Terza Guerra Mondiale. Dunque ci siamo noi (o meglio, gli Americani degli anni ’60) che leggono un romanzo ucronico, e in questo romanzo ucronico ci sono dei personaggi (delle persone?) che leggono un altro romanzo ucronico (e già a questo punto ce n’è abbastanza per far girare la testa a chiunque). Tre scenari diversi, in definitiva, da quello più terrificante a quello più “desiderabile” – ma desiderabile per chi? Rimarchevole in proposito la “visione” del signor Tagomi, per lui spaventosa, di un’America in cui gli orientali sono discriminati –, ma un unico risultato: si prospetta uno scontro ulteriore e ulteriori sofferenze.
Cosa voleva dirci dunque, Dick? Forse che, in un modo o in un altro, le logiche del potere giungono sempre alla medesima, tragica conclusione? Certamente, ma non solo.
Quasi tutti i personaggi del libro, infatti, per quanto molto diversi per provenienza, idee (o ideologie) e situazione di vita, hanno due cose in comune: 1) La curiosità per il già citato La cavalletta non si alzerà più (ovviamente proibito in tutti i paesi controllati dal Reich, circostanza che peraltro ne aumenta a dismisura la popolarità) e 2) L’ossessione, si potrebbe definire così, per l’I Ching, conosciuto anche come Il Libro dei Mutamenti, un antichissimo testo divinatorio cinese (per chi se lo stesse chiedendo, sì, esiste veramente) che consente, tramite l’interpretazione di figure chiamate esagrammi, di ottenere delle risposte a domande precise (del tipo, data una certa situazione, che cosa accadrà adesso?). Da rilevare a questo punto come tutti i protagonisti non abbiano certezze nelle loro vite (“ma chi ne ha, del resto?” sembra suggerirci l’autore), brancolano alla ricerca di qualcosa che non trovano e si affidano continuamente a una fonte di saggezza millenaria nella speranza di ottenere delle risposte. Da un punto di vista stilistico, questo si traduce in una prosa spesso difficile da seguire (causa di noia o di irritazione per molti lettori), proprio perché riflesso dei pensieri caotici e confusi dei personaggi stessi, che filosofeggiano di continuo, spesso invano e in maniera disorganica (come del resto facciamo un po’ tutti noi), sulla vita e sulla realtà che li circonda.
Ma quanto è reale questa realtà? O meglio, qual è quella vera? Lo sono tutte? Non lo è nessuna? Ecco delle domande che a un certo punto cominciano a essere importanti per almeno un paio di personaggi, tanto che sorge il forte sospetto che, più che un romanzo ucronico, L’uomo nell’alto castello – il titolo originale rimanda non a caso alla figura di uno scrittore, vale a dire un creatore di realtà (piccola parentesi su come la pessima abitudine di cambiare i titoli per renderli più suggestivi tolga spesso ai lettori chiavi di lettura fondamentali) – sia in realtà un romanzo che, tramite un’ucronia, anzi tramite più ucronie che si specchiano l’una nell’altra, cerchi di rispondere a domande di natura ontologica. Dick insinua volutamente questo dubbio (quale mondo è reale, e per chi?), e altrettanto volutamente ci lascia con delle risposte che definire enigmatiche sarebbe un eufemismo. In tutti e tre i mondi (in quelli romanzeschi come nel nostro) si muovono questi personaggi (persone?) che perseguono ognuno il proprio scopo, né buoni né cattivi; recitano la propria parte, si potrebbe dire, mossi spesso dall’istinto primario di sopravvivere o da altri di natura più artificiosa, nobili o perversi che siano. Ma – Il Libro dei Mutamenti insegna – nulla è fisso, nulla è immutabile, e alla fine sono le scelte di ognuno (precedute sempre da una qualche forma di presa di coscienza), concatenate l’una all’altra come gli anelli di una lunghissima catena, a causare la deviazione verso una determinata realtà piuttosto che un’altra. La sensazione è che Dick abbia scritto questo libro (servendosi della scusa dell’universo alternativo per creare il suo gioco di specchi) solo per poter arrivare alla risposta finale dell’I Ching, la ricerca di quella Verità Interiore che può essere “terribile come la morte, ma più difficile da trovare”, una ricerca senza fine, probabilmente, ma che ci consente di non andare alla deriva quando tutto il resto vacilla, di “andare avanti, giorno per giorno”, anche se “qualsiasi cosa succeda (qualunque realtà – o illusione – si attualizzi) “è male al di là di ogni possibile confronto”.
In conclusione, molto interessante, un ottimo spunto per svariate riflessioni di natura filosofica e morale, ma di certo non adatto a tutti.
Voi volete proprio che la mia WL diventi lunga millemila chilometri, eh! Questo libro mi ispira tantissimo!
RispondiEliminaComplimenti per l'idea di questa nuova rubrica, mi piace molto, così come il banner :)
Grazie Camilla! Ci voleva proprio una rubrica così *_*
RispondiEliminaBellissima recensione, il libro l'ho trovato mediocre. Purtroppo è scritto (o tradotto) piuttosto male.
RispondiEliminaUna curiosità, perché far partire una rubrica del genere con un romanzo ucronico, quindi appartenente al sottogenere più 'realistico' della fantascienza? ;)
ti ho risposto anche su facebook: l'idea della rubrica sul fantastico è nata dalla bella recensione di Elli, non viceversa! quindi per il primo episodio abbiamo usato la stessa recensione ^^
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