venerdì 19 agosto 2011

Il tempio degli Otaku... Ventiseiesimo appuntamento "Full metal alchemist"


Scritto da Surymae Rossweisse.


Salve a tutti, e benvenuti alla ventiseiesima puntata de “Il tempio degli Otaku”. Avvenimenti straordinari, oggi: parliamo di un manga recente e che ha pure avuto un grande successo di critica e di pubblico, al punto che il volume finale della serie (il ventisettesimo, che tra poco verrà pubblicato anche in Italia) ha avuto una tiratura di cinquanta milioni di copie. Un numero da capogiro, che dimostra quanto questa storia – e la sua mangaka – sia stata fortunata. La fortuna sarà pure cieca, ma bisogna anche cercare di propiziarsela quanto possibile, e così è accaduto in questo caso. In genere, lo ammetto, i miei incontri con prodotti mainstream non vanno mai a buon fine, però persino una cinica come me si è dovuta arrendere: ci troviamo di fronte ad una serie di qualità, che per una volta tanto si merita il successo ottenuto. I motivi? La sua ambientazione accattivante, il perfetto mix tra momenti comici e drammatici, personaggi ben sviluppati e... ehi, freniamo un attimo! Se continuo di questo passo, finisco per mettere tutta la recensione nel paragrafo introduttivo, e addio rubrica. Meglio finirla con le lodi sperticate, e passare ai fatti: per la precisione, a “Fullmetal Alchemist” di Hiromu Arakawa.

Regola fondamentale dell'alchimia: per ottenere qualcosa, bisogna sacrificare qualcosa dello stesso valore. Lo sanno bene i giovani fratelli Elric, Alphonse ed Edward, il cui tentativo (fallito) di riportare la madre morta ha avuto esiti devastanti: Edward, il maggiore, ci ha rimesso una gamba, ma Alphonse, il minore, ha perso tutto il suo corpo. A sua volta Ed, per impedire la dispersione dell'anima del fratello, ha sacrificato il suo braccio per legarlo ad un'armatura. E questo è solo l'antefatto...
Anni dopo, i due non hanno perso le speranze, nonostante la tragedia capitatagli. Ed – ora con due protesi meccaniche, chiamate automail – è diventato il più giovane Alchimista di Stato, soprannominato “Fullmetal”. Essere Alchimista di Stato ha i suoi lati buoni e i suoi lati cattivi: tra gli ultimi, sicuramente il fatto di essere inviso alla gente comune, a causa di una guerra le cui cicatrici sociali non si sono ancora chiuse; tra i buoni, però, c'è la possibilità di poter realizzare il grande sogno degli Elric, ossia riappropriarsi dei loro corpi. Nello specifico, di avere la possibilità di ricercare la pietra filosofale, i cui illimitati poteri metterebbero fine una volta per tutte all'epoca delle armature e delle protesti. Ed e Al si mettono alla ricerca dell'artefatto, ma non è così facile. Dietro al talismano, infatti, si nascondono oscuri segreti e, soprattutto, persone disposte a tutto pur di ottenerlo, anche ricorrere alla violenza. Molte di queste sono pezzi grossi della società, decisamente insospettabili...

Qualcuno potrebbe chiedersi che cosa abbia di diverso “Fullmetal Alchemist” da tanti altri shonen. Ambientazione fantastica? Celo. Tonnellate di personaggi carismatici? Celo. Momenti comici come se piovesse? Celo. Adolescenti super talentuosi? Celo. E la lista potrebbe andare avanti a lungo. Però un detto dice che non conta cosa si dice ma come lo si dice, ed è qui che questo manga riesce a battere la concorrenza. Prendiamo ad esempio la sopraccitata ambientazione. E' un mondo piuttosto moderno – la gente si sposta con i treni – invece della magia comune abbiamo l'alchimia, e alcuni popoli o luoghi ricordano molto da vicino quelli che anche noi conosciamo, come i cinesi. In genere invece abbiamo un'ambientazione mutuata dalla letteratura fantastica, come l'epoca medioevale – non sempre trattata accuratamente – qualche magia da discount che aderisce a non si sa bene quali regole, e un'accozzaglia di abitanti che pesca in equal misura dai romanzi di Tolkien, da folclore la cui provenienza è sconosciuta, e un generale ripescare da varie leggende come le sempre di moda fatine. Non solo Hiromu Arakawa ci evita l'ennesima versione di questo scenario, ma il suo mondo è anche accurato. E' risaputo, per dire, che prima e durante la stesura ha letto diversi libri sull'alchimia, oppure che per inserire al meglio delle tematiche sociali ha parlato con dei rifugiati, dei veterani di guerra o con degli yakuza (l'equivalente giapponese del mafioso). Naturalmente “Fullmetal Alchemist” è principalmente un'opera di intrattenimento, e come tale va trattata, ma intrattenere non significa imbastire le prime cose che vengono in mente, specialmente se si tratta di storie ambientate in mondi diversi dal nostro. E certa gente dice che scrivere fantasy è facile e non richiede documentazione, eh?
Discorso analogo per il cast, per cui prima ho utilizzato la parola carismatico. Badate bene: con questo termine non mi riferisco dei personaggi numerosi perché così ognuno può trovare il suo preferito e mandare su il manga nei sondaggi di gradimento, e nemmeno alla barbara abitudine che hanno certi mangaka di introdurre continuamente mucchi di personaggi che appaiono per tot capitoli, scompaiono, e tonnellate di volumi dopo ritornano, aspettandosi che ci si ricordi ancora di loro – vero, Tite Kubo? Il cast di FMA è abbondante perché... beh, perché la storia lo richiede. Ripercorrendo tutta la storia, i personaggi che mi sono sembrati inutili o a cui è stato dedicato troppo spazio si contano sulle dita di una mano.
E visto che parliamo di circa una quarantina di persone, è veramente notevole. Personalmente, di solito non mi piacciono i cast numerosi. Per farvi capire perché la penso così, farò un piccolo esempio. Poniamo che ci sia una torta di medie dimensioni: non un muffin, insomma, ma nemmeno una torta nuziale. Bene. E adesso immaginiamo dieci persone che vogliono tutte un pezzo del dolce.  Anche dividendo in parti uguali, verranno fuori fette piuttosto piccole, che probabilmente non soddisfaranno l'appetito di tutti. Tornando a noi, l'introspezione psicologica è la torta. Per un autore è difficile dare uguale spazio per la caratterizzazione di tutti i personaggi, essendo così numerosi. C'è una gerarchia da rispettare, per non parlare poi dei fattori esterni – una trama precisa da seguire, capitoli mensili da consegnare, rischio di annoiare lo spettatore, ecc. Infatti la maggior parte di tutti coloro che vogliono un cast ampio falliscono l'impresa, concentrandosi soltanto su pochi fortunati e lasciando gli altri da parte, o dividendo la torta in parti uguali con fette piccolissime.
Però non è impossibile, e Hiromu Arakawa ci è riuscita. Ognuno, persino i personaggi secondari, ha avuto il suo momento di gloria: tutto in funzione della storia, naturalmente, ma senza tralasciare la profondità psicologica. A volte si è arrivato addirittura all'estremo, creando dei protagonisti un po' Mary Sue (nel gergo delle fanfiction, personaggi perfetti in tutto). In particolare le femmine sono messe male, tra giovani più brave di tanti adulti, alchimiste casalinghe e fedeli soldatesse; ma anche tra i maschi non mancano le eccezioni, come ad esempio l'alchimista Roy Mustang, che desidera di diventare il capo di stato della sua patria non tanto per ambizione, ma perché non vuole che si ripetano più guerre inutili e sanguinose come quella prima della nostra storia. Ha le sue buone ragioni, ma ciò non toglie che non sia granché credibile.
Nonostante tutto, però, il cast funziona: ha i suoi pregi, i suoi difetti, si pone domande etiche, matura nel corso della storia. Per ragioni di trama quello che cambierà di più sarà Edward, il protagonista, le cui sofferenze lo porteranno a crescere, a capire che il confine tra il bene e il male è molto più ambiguo di quanto sembra, e a risolvere rapporti personali piuttosto complessi. Anche a smussare alcuni lati del suo carattere, ma fino ad un certo punto: la fissa (comica) per la sua scarsa altezza rimarrà per tutta la storia, sopratutto nei momenti in cui c'è più bisogno di sdrammatizzare. Chi ama ridere un po' quando legge manga non rimarrà a bocca asciutta, tra la sopraccitata fissa di Ed, il caloroso (anche troppo) e muscoloso Alex Louis Armstrong, e il frivolo Lin Yao – ma anche lui avrà i suoi brutti momenti...

Il tratto è piuttosto diverso dagli standard shonen, anzi è estremamente morbido, al punto che le persone sembrano tutte pingui, anche se si sa che non è così. Questa scelta stilistica può piacere o meno, ma quantomeno qui ci liberiamo degli insetti stecchi dai lineamenti così affilati da poter tagliare il tonno. In compenso, però, i combattimenti sono chiari e facili da seguire, che purtroppo è più l'eccezione della regola. Anche le inquadrature non sono per niente male...

E con questo ci salutiamo, cari amici. Arrivederci alla prossima settimana, con “Il tempio degli Otaku”!

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