Scritto da Surymae Rossweisse.
Salve a tutti, e benvenuti alla
ventiseiesima puntata de “Il tempio degli Otaku”. Avvenimenti straordinari,
oggi: parliamo di un manga recente e che ha pure avuto un grande successo di
critica e di pubblico, al punto che il volume finale della serie (il ventisettesimo,
che tra poco verrà pubblicato anche in Italia) ha avuto una tiratura di
cinquanta milioni di copie. Un numero da capogiro, che dimostra quanto questa
storia – e la sua mangaka – sia stata fortunata. La fortuna sarà pure cieca, ma
bisogna anche cercare di propiziarsela quanto possibile, e così è accaduto in
questo caso. In genere, lo ammetto, i miei incontri con prodotti mainstream non
vanno mai a buon fine, però persino una cinica come me si è dovuta arrendere:
ci troviamo di fronte ad una serie di qualità, che per una volta tanto si
merita il successo ottenuto. I motivi? La sua ambientazione accattivante, il
perfetto mix tra momenti comici e drammatici, personaggi ben sviluppati e...
ehi, freniamo un attimo! Se continuo di questo passo, finisco per mettere tutta
la recensione nel paragrafo introduttivo, e addio rubrica. Meglio finirla con
le lodi sperticate, e passare ai fatti: per la precisione, a “Fullmetal
Alchemist” di Hiromu Arakawa.
Regola fondamentale
dell'alchimia: per ottenere qualcosa, bisogna sacrificare qualcosa dello stesso
valore. Lo sanno bene i giovani fratelli Elric, Alphonse ed Edward, il cui
tentativo (fallito) di riportare la madre morta ha avuto esiti devastanti:
Edward, il maggiore, ci ha rimesso una gamba, ma Alphonse, il minore, ha perso
tutto il suo corpo. A sua volta Ed, per impedire la dispersione dell'anima del
fratello, ha sacrificato il suo braccio per legarlo ad un'armatura. E questo è
solo l'antefatto...
Anni dopo, i due non hanno perso
le speranze, nonostante la tragedia capitatagli. Ed – ora con due protesi
meccaniche, chiamate automail – è diventato il più giovane Alchimista di Stato,
soprannominato “Fullmetal”. Essere Alchimista di Stato ha i suoi lati buoni e i
suoi lati cattivi: tra gli ultimi, sicuramente il fatto di essere inviso alla
gente comune, a causa di una guerra le cui cicatrici sociali non si sono ancora
chiuse; tra i buoni, però, c'è la possibilità di poter realizzare il grande
sogno degli Elric, ossia riappropriarsi dei loro corpi. Nello specifico, di
avere la possibilità di ricercare la pietra filosofale, i cui illimitati poteri
metterebbero fine una volta per tutte all'epoca delle armature e delle
protesti. Ed e Al si mettono alla ricerca dell'artefatto, ma non è così facile.
Dietro al talismano, infatti, si nascondono oscuri segreti e, soprattutto,
persone disposte a tutto pur di ottenerlo, anche ricorrere alla violenza. Molte
di queste sono pezzi grossi della società, decisamente insospettabili...
Qualcuno potrebbe chiedersi che
cosa abbia di diverso “Fullmetal Alchemist” da tanti altri shonen. Ambientazione fantastica? Celo. Tonnellate di personaggi carismatici? Celo.
Momenti comici come se piovesse? Celo. Adolescenti super talentuosi? Celo. E la
lista potrebbe andare avanti a lungo. Però un detto dice che non conta cosa si
dice ma come lo si dice, ed è qui che questo manga riesce a battere la
concorrenza. Prendiamo ad esempio la sopraccitata ambientazione. E' un mondo
piuttosto moderno – la gente si sposta con i treni – invece della magia comune
abbiamo l'alchimia, e alcuni popoli o luoghi ricordano molto da vicino quelli
che anche noi conosciamo, come i cinesi. In genere invece abbiamo
un'ambientazione mutuata dalla letteratura fantastica, come l'epoca medioevale
– non sempre trattata accuratamente – qualche magia da discount che aderisce a
non si sa bene quali regole, e un'accozzaglia di abitanti che pesca in equal
misura dai romanzi di Tolkien, da folclore la cui provenienza è sconosciuta, e
un generale ripescare da varie leggende come le sempre di moda fatine. Non solo
Hiromu Arakawa ci evita l'ennesima versione di questo scenario, ma il suo mondo
è anche accurato. E' risaputo, per dire, che prima e durante la stesura ha
letto diversi libri sull'alchimia, oppure che per inserire al meglio delle
tematiche sociali ha parlato con dei rifugiati, dei veterani di guerra o con
degli yakuza (l'equivalente giapponese del mafioso). Naturalmente “Fullmetal
Alchemist” è principalmente un'opera di intrattenimento, e come tale va
trattata, ma intrattenere non significa imbastire le prime cose che vengono in
mente, specialmente se si tratta di storie ambientate in mondi diversi dal
nostro. E certa gente dice che scrivere fantasy è facile e non richiede
documentazione, eh?
Discorso analogo per il cast, per
cui prima ho utilizzato la parola carismatico. Badate bene: con questo termine
non mi riferisco dei personaggi numerosi perché così ognuno può trovare il suo
preferito e mandare su il manga nei sondaggi di gradimento, e nemmeno alla
barbara abitudine che hanno certi mangaka di introdurre continuamente mucchi di
personaggi che appaiono per tot capitoli, scompaiono, e tonnellate di volumi
dopo ritornano, aspettandosi che ci si ricordi ancora di loro – vero, Tite
Kubo? Il cast di FMA è abbondante perché... beh, perché la storia lo richiede.
Ripercorrendo tutta la storia, i personaggi che mi sono sembrati inutili o a
cui è stato dedicato troppo spazio si contano sulle dita di una mano.
E visto che parliamo di circa una
quarantina di persone, è veramente notevole. Personalmente, di solito non mi
piacciono i cast numerosi. Per farvi capire perché la penso così, farò un
piccolo esempio. Poniamo che ci sia una torta di medie dimensioni: non un
muffin, insomma, ma nemmeno una torta nuziale. Bene. E adesso immaginiamo dieci
persone che vogliono tutte un pezzo del dolce.
Anche dividendo in parti uguali, verranno fuori fette piuttosto piccole,
che probabilmente non soddisfaranno l'appetito di tutti. Tornando a noi,
l'introspezione psicologica è la torta. Per un autore è difficile dare uguale
spazio per la caratterizzazione di tutti i personaggi, essendo così numerosi.
C'è una gerarchia da rispettare, per non parlare poi dei fattori esterni – una
trama precisa da seguire, capitoli mensili da consegnare, rischio di annoiare lo
spettatore, ecc. Infatti la maggior parte di tutti coloro che vogliono un cast
ampio falliscono l'impresa, concentrandosi soltanto su pochi fortunati e
lasciando gli altri da parte, o dividendo la torta in parti uguali con fette
piccolissime.
Però non è impossibile, e Hiromu
Arakawa ci è riuscita. Ognuno, persino i personaggi secondari, ha avuto il suo
momento di gloria: tutto in funzione della storia, naturalmente, ma senza
tralasciare la profondità psicologica. A volte si è arrivato addirittura all'estremo,
creando dei protagonisti un po' Mary Sue (nel gergo delle fanfiction,
personaggi perfetti in tutto). In particolare le femmine sono messe male, tra
giovani più brave di tanti adulti, alchimiste casalinghe e fedeli soldatesse;
ma anche tra i maschi non mancano le eccezioni, come ad esempio l'alchimista
Roy Mustang, che desidera di diventare il capo di stato della sua patria non
tanto per ambizione, ma perché non vuole che si ripetano più guerre inutili e
sanguinose come quella prima della nostra storia. Ha le sue buone ragioni, ma
ciò non toglie che non sia granché credibile.
Nonostante tutto, però, il cast
funziona: ha i suoi pregi, i suoi difetti, si pone domande etiche, matura nel
corso della storia. Per ragioni di trama quello che cambierà di più sarà
Edward, il protagonista, le cui sofferenze lo porteranno a crescere, a capire
che il confine tra il bene e il male è molto più ambiguo di quanto sembra, e a
risolvere rapporti personali piuttosto complessi. Anche a smussare alcuni lati
del suo carattere, ma fino ad un certo punto: la fissa (comica) per la sua
scarsa altezza rimarrà per tutta la storia, sopratutto nei momenti in cui c'è
più bisogno di sdrammatizzare. Chi ama ridere un po' quando legge manga non
rimarrà a bocca asciutta, tra la sopraccitata fissa di Ed, il caloroso (anche
troppo) e muscoloso Alex Louis Armstrong, e il frivolo Lin Yao – ma anche lui
avrà i suoi brutti momenti...
Il tratto è piuttosto diverso
dagli standard shonen, anzi è estremamente morbido, al punto che le persone sembrano tutte pingui, anche se si sa che non è così. Questa scelta stilistica
può piacere o meno, ma quantomeno qui ci liberiamo degli insetti stecchi dai
lineamenti così affilati da poter tagliare il tonno. In compenso, però, i
combattimenti sono chiari e facili da seguire, che purtroppo è più l'eccezione
della regola. Anche le inquadrature non sono per niente male...
E con questo ci salutiamo, cari
amici. Arrivederci alla prossima settimana, con “Il tempio degli Otaku”!
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