A cura di Surymae Rossweisse
Salve a tutti, e benvenuti ad
un'altra puntata de “Il tempio degli Otaku”. Oggi ci buttiamo su un genere che non battiamo spesso: l'horror. Non
molto efferato, a dire il vero, ma è di questo che si tratta. Parleremo di un
manga molto breve – solo quattro volumi – in dirittura d'arrivo nelle nostre
fumetterie grazie alla casa editrice J-Pop: quindi avremo anche, con tutta
probabilità, una bella edizione.
Ma questo è il futuro, e comunque
non riguarda strettamente l'opera. Diamo un caloroso benvenuto al manga “Doubt” di Yoshiki Tonogai. Buona lettura!
Un gioco piuttosto di tendenza
per cellulari è il “Rabbit Doubt”. I
conigli protagonisti – manovrati da persone diverse, quindi è un
multiplayer – devono fare i conti con un
infiltrato: un lupo che si spaccia per coniglio. Bisogna fare attenzione a
capire chi è la talpa, perché altrimenti i coniglietti moriranno l'uno dopo
l'altro.
Un giorno alcuni utenti di
“Rabbit Doubt” decidono di fare un mini raduno: Yuu, con l'amica – che non conosce il gioco – Mitsuki; la disabile Rei; lo
scontroso Eiji, ed un'altra ragazza, Haruka. La serata sembra procedere per
il meglio, quando Yuu perde
conoscenza... e niente sarà più come prima.
Al suoi risveglio lui e gli altri
ragazzi si ritrovano in un capannone abbandonato, con degli strani codici a
barre sui loro corpi; sul posto si trova anche un altro invitato alla
scompagnata, Hajime, che però non si
era unito al gruppo. Già da subito la situazione precipita, con il ritrovamento
del primo cadavere. E' chiaro quello che sta succedendo: qualcuno ha avuto la
bella pensata di instaurare una partita reale di “Rabbit Doubt”. Ma chi è il lupo? Riusciranno i conigli a
scoprirlo prima che sia troppo tardi?
Molti vedono similitudini tra
“Doubt” e la saga horror “Saw”: non
avendo vista la seconda, mi astengo dal fare paragoni che non conosco. Ho
notato anch'io dei punti di contatto con altre opere, comunque: per la
precisione “Dieci piccoli indiani”, il bellissimo romanzo di Agatha Christie.
Già i punti in comune si vedono
dai fondamenti della trama, la classica caccia all'assassino in un ambiente
estremamente ristretto, nonché il fatto che gli sfortunati concorrenti muoiano
l'uno dopo l'altro in circostanze sempre diverse – proprio come accade
nell'opera della Christie.
Non solo, però. Come si scopre
nel manga, lo scopo del lupo è quello di
correggere, nel suo modo deviato di vedere, dei crimini che ognuno dei
partecipanti al gioco ha commesso. E – senza spoilerare niente, sia mai –
questa è la linea di pensiero anche del lupo di “Dieci piccoli indiani”. Le
versioni differiscono che se nel libro tutti si macchiano di omicidio, nel
manga i capi di imputazione sono più vari, probabilmente per favorire meglio
l'immedesimazione con il pubblico.
...Okay, forse il ragionamento
era un po' tirato per i capelli, ma io ho visto altre somiglianze con un'altra
opera, e questa volta è molto più plausibile, visto che si tratta di un
fortunato libro (poi diventato manga, e film) nipponico. E' “Battle Royale”, di Koushun Takami.
La trama è totalmente differente,
questo lo riconosco, ma sono le
atmosfere che me lo hanno ricordato: l'avere come protagonisti adolescenti ma
soprattutto il clima di sospetto che avvolge i partecipanti al gioco. Prima
si fidavano ed andavano in giro per locali, come ricorda nostalgicamente più
volte Yuu; ma poi la diffidenza la fa da padrone. Tutti e sei i protagonisti
vengono tacciati di essere il lupo, fino alle prevedibili conseguenze. Inoltre,
ognuno dei personaggi non si fa scrupoli ad usare mezzi – in particolare
violenti – che altrimenti non avrebbero nemmeno per sogno pensato di adottare:
ma chi gli può dare torto...?
Anche ricollegandosi ai discorsi
di prima, comunque, la trama – per
quanto semplice e già vista – è piuttosto avvincente: complice anche la sua brevità, non sono presenti
momenti morti. Certo, non posso negare che il lettore più smaliziato non avrà
molto daffare nel riconoscere il lupo, proprio perché sembra l'insospettabile
della situazione. Ciò nonostante, un paio di colpi di scena ben assestati
metteranno in dubbio le sue ipotesi, dando un quadro più originale, per quanto
possibile.
I personaggi svolgono la loro funzione ottimamente, anche se non brillano per introspezione psicologica:
abbiamo il protagonista che vorrebbe soltanto proteggere i suoi amici e che tutto
tornasse alla normalità (Yuu), la piagnucolona (Mitsuki), la mascotte (Rei),
colei che non riesce a resistere alla tensione (Haruka), il pragmatico (Hajime)
e quello minaccioso, sulla cui identità di lupo tutti scommetterebbero (Eiji).
L'intreccio aiuta un po' a risollevarli dagli stereotipi di cui sono vittima:
quest'ultimo, ad esempio, finisce per non essere il lupo. Sarebbe stato troppo
scontato, altrimenti, non trovate? Stesso discorso vale per Hajime.
Le donne riservano più colpi di scena dei colleghi: quasi scontato,
visto che per circa i primi due volumi non fanno niente di rilevante. Piangono,
si stringono le mani, provvedono a dare ai maschietti un po' di fanservice – in
gergo, inquadrature e situazioni particolarmente provocanti, fatte apposta – ma
resta ai baldi giovani fare le supposizioni e a mandare avanti la trama. E'
quasi sconfortante, ma purtroppo in molti shonen questa è la normalità.
Comunque con il passare dei volumi si riprendono, dando vita a delle
circostanze piuttosto... interessanti. No, non mi riferisco al fanservice.
Ci sono poche tematiche affrontate, in Doubt – per forza: lo scopo
è sopravvivere, non filosofeggiare. C'è, come già accennato, cosa succede
quando una persona in altri casi ordinaria viene messo in condizioni di terribile
stress. Yuu è un ragazzo calmo, ad esempio, ma prova a mettere a repentaglio la
sicurezza di Mitsuki e vedi. Haruka sembra piuttosto fredda, ma sarà la prima a
cedere alla tensione. Ed Hajime non
importa quante cose faccia per il gruppo, alla prima mossa sarà imputato come
responsabile. Perché? Non lo conoscono. In fondo ha rifiutato l'invito di
unirsi a loro prima, quindi perché non potrebbe aver organizzato tutto questo?
Non importa se in diverse circostanze fa ipotesi utili anche agli altri, la
diffidenza sarà sempre dura a morire. Ma del resto probabilmente anche noi ci
comporteremmo così...
Tratti come quello di Yoshiki
Tonogai non sono poco diffusi oggigiorno, anzi sembrano il trend da seguire per
gli shonen. E di certo non è stato lui ad inventarlo.
Volete comunque sapere in cosa
consiste? Eccovi accontentati. Pagine
che, sebbene siano povere di sfondi, sono stracolme di retini e sfumature:
è molto difficile trovare bianco e nero “puri”. Il che, a voler essere maligni,
dimostra anche un grande attaccamento alla computer grafica.
I personaggi si dividono in due
categorie. I ragazzi seguono la moda del
bishonen – leggi: ragazzi alti, magri, dai volti talmente affilati da poter
tagliare i tonni; le ragazze quella del
moe, ossia le ragazzine tutte carine ma soprattutto dal seno prosperoso,
con buona pace delle proporzioni. Per maggiori informazioni su quest'ultimo
punto, chiedete ad Haruka: sarà un caso che il suo codice a barre sia nelle
prossimità del suo non indifferente décolleté...?
… Con questo angosciante dilemma,
che non ci farà dormire la notte, ci separiamo. Per oggi è tutto cari amici.
Arrivederci alla prossima settimana, con “Il tempio degli Otaku”!
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