giovedì 23 maggio 2013

Poems (59): Mémoire di Arthur Rimbaud










Il poeta è un vagabondo, spesso coperto di fango, una valigia di esperienze e idee alla mano, le muse sulla spalla a sussurrare all’orecchio parole evocative. Suo è il compito di interpretare la natura e i suoi misteri, fissarli con l’inchiostro e renderli leggibili. Questa descrizione ricorda vagamente l’idea del poeta di Charles Baudelaire, invece si rincarna nella vita reale di Arthur Rimbaud. Intellettuale controverso, adolescente romantico, anarchico e anticonformista, Rimbaud si riteneva un veggente della lirica, convinto che al poeta spettasse il compito demiurgico di creare una lingua universale. La sua vita fu breve, ma intensa, caratterizzata da una profonda e morbosa relazione con Verlaine, dai suoi scritti che circolavano su fogli volanti, e dai suoi viaggi. La sua poetica è considerata pienamente decadente, intima e evocativa, capace di rendere esplicite emozioni e sensazioni forti che attraversano l’animo umano.
Mémoire è una delle poesie più conosciute di Rimbaud. Nelle cinque stanze che la compongono si raccontano alcuni episodi dell’infanzia del poeta dal sapore meramente bucolico. Nelle prime due strofe si ha un tripudio di colori, che va dal bianco dei corpi di donna all’oro della corrente nel fiume, che riflette la luce del sole, fino al blu terso del cielo e il verde delle vesti delle donne che ricordano il fiorire delle valli. Da questo mondo in pace e in armonia si passa alla vita reale, dove una Signora (la madre del poeta) viene abbandonata insieme coi figli dal marito. Il poeta sembra osservare da lontano il suo passato, ma anche la quiete bucolica di quei colori sgargiante che vede da lontano, mentre si trova accerchiato dall’acqua su un canotto. La sua volontà protende verso il colore, ma la corrente spinge il suo mezzo verso il buio, la tragedia. Credo questo sia uno dei più aulici esempi di poesia maledetta.



I

L’acqua chiara! come il sale di lacrime infantili,

  l’assalto al sole dei corpi biancheggianti delle donne;

  la seta, in ressa e di giglio puro, degli orifiammi

  sotto le mura che un giorno difese una pulzella;

 5 i sollazzi degli angeli; – No… la corrente d’oro in moto,

  muove le braccia, nere, e pesanti, e fresche soprattutto, d’erba.

  Oscura, col Cielo blu come cielo d’alcova, vuole per cortine

  l’ombra del colle e del ponte.



     II

  Eh! il vetro umido stende le sue limpide bolle!

 10 L’acqua arreda d’oro pallido e senza fondo gli strati pronti.

  Le vesti verdi e stinte delle fanciulline

  fanno i salici, donde sbrigliati scattano gli uccelli.

  Più pura d’un marengo, gialla e calda pupilla,

  la ninfea – è la tua fede coniugale, o Sposa! –

 15 Nel lesto meriggio, dal suo specchio appannato, invidia

  al cielo grigio d’afa la sfera rosa e cara.



     III

  La Signora sta troppo in piedi nella prateria

  vicina su cui nevicano i fi li del lavoro; coll’ombrello

  fra le dita calpesta l’umbella; troppo fi era per lei;

 20 in quel fi orito verdeggiare, fanciulli leggono

  il libro di marocchino rosso! Ahimè, Lui, come

  mille angeli bianchi che si separano per via,

  s’allontana al di là della montagna! Lei,

  freddissima, e nera, corre! dopo la partenza dell’uomo!



     IV

25 Rimpianto delle braccia sode e fresche d’erba pura!

  Oro delle lune d’aprile nel cuore del letto santo! Gioia

  dei cantieri rivieraschi in abbandono e in preda

  alle sere d’agosto che facevano germinare le putrescenze!

  Che adesso ella pianga sotto i bastioni! l’alito

 30 dei pioppi di lassù è per la sola brezza.

  Poi, la distesa, senza riflessi, senza fonte, grigia:

  un vecchio draga e, nella barca immobile, s’affatica.



     V

  Zimbello di quest’occhio d’acqua, io non posso prendervi,

  o canotto immobile! oh! braccia troppo corte! né l’uno

 35 né l’altro fiore: né quello giallo che mi infastidisce,

  là; né quell’azzurro, amico dell’acqua color della cenere.

  Ah! la polvere dei salici scossa da un’ala!

  Le rose dei giunchi da tempo divorate!

  Il mio canotto, sempre fisso; e la sua catena trascinata

 40 in fondo a quest’occhio d’acqua senza sponde, – verso quale fango?


(La traduzione qui utilizzata è tratta da Opere, trad. di I. Margoni, Feltrinelli, Milano, 1964)




Arthur Rimbaud

Poeta francese della scuola simbolista. Nato e cresciuto a Charleville e di grande precocità intellettuale, cominciò a scrivere poesie all'età di 10 anni. A 17 anni, scrisse una poesia estremamente originale, Il battello ebbro (1871), che inviò a Paul Verlaine. La sua opera fu profondamente influenzata da Baudelaire, per le sue lezioni sull’occulto e sulla religione. La sua esplorazione del subconscio dell'individuo e la sua sperimentazione con il ritmo e le parole, che impiegava per il loro valore evocativo, hanno i toni del movimento simbolista (decadente), tanto che spinsero un impressionato Verlaine ad incoraggiare il giovane poeta di trasferirsi a Parigi. Qui nacque il loro rapporto di amicizia che si trasformò in un rapporto burrascoso e instabile che durò per due anni, dal 1872 al 1873. Viaggiarono insieme per l'Inghilterra e il Belgio. In quest'ultimo paese, Verlaine, tentò due volte di uccidere il giovane poeta per le sue infedeltà, ferendolo gravemente nel secondo tentativo: Rimbaud finì in ospedale e Verlaine in carcere. Rimbaud offre un racconto allegorico su questo argomento in Una stagione all'inferno (1873). Lasciato l'ospedale, viaggiò in Europa, in Nord Africa e visse a Harar e Shoa, in Abissinia centrale. Verlaine, convinto che Rimbaud fosse morto, raccolse le sue poesie in Illuminations (1886). Nel 1891 Rimbaud ritornò in Francia per curare un tumore al ginocchio, a seguito della quale morì  in ospedale a Marsiglia nel novembre di quello stesso anno. La forza delle sue poesie scritte tra i 10 e 20 anni porta la figura più originale tra i poeti francesi di tutti i tempi e ha avuto una profonda influenza su tutta la successiva produzione poetica.

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