Il
poeta è un vagabondo, spesso coperto di fango, una valigia di esperienze e idee
alla mano, le muse sulla spalla a sussurrare all’orecchio parole evocative. Suo
è il compito di interpretare la natura e i suoi misteri, fissarli con
l’inchiostro e renderli leggibili. Questa descrizione ricorda vagamente l’idea
del poeta di Charles Baudelaire, invece si rincarna nella vita reale di Arthur
Rimbaud. Intellettuale controverso, adolescente romantico, anarchico e
anticonformista, Rimbaud si riteneva un veggente della lirica, convinto che al
poeta spettasse il compito demiurgico di creare una lingua universale. La sua
vita fu breve, ma intensa, caratterizzata da una profonda e morbosa relazione
con Verlaine, dai suoi scritti che circolavano su fogli volanti, e dai suoi
viaggi. La sua poetica è considerata pienamente decadente, intima e evocativa,
capace di rendere esplicite emozioni e sensazioni forti che attraversano
l’animo umano.
Mémoire è
una delle poesie più conosciute di Rimbaud. Nelle cinque stanze che la
compongono si raccontano alcuni episodi dell’infanzia del poeta dal sapore
meramente bucolico. Nelle prime due strofe si ha un tripudio di colori, che va
dal bianco dei corpi di donna all’oro della corrente nel fiume, che riflette la
luce del sole, fino al blu terso del cielo e il verde delle vesti delle donne
che ricordano il fiorire delle valli. Da questo mondo in pace e in armonia si
passa alla vita reale, dove una Signora (la madre del poeta) viene abbandonata
insieme coi figli dal marito. Il poeta sembra osservare da lontano il suo
passato, ma anche la quiete bucolica di quei colori sgargiante che vede da
lontano, mentre si trova accerchiato dall’acqua su un canotto. La sua volontà
protende verso il colore, ma la corrente spinge il suo mezzo verso il buio, la
tragedia. Credo questo sia uno dei più aulici esempi di poesia maledetta.
I
L’acqua chiara! come il sale di
lacrime infantili,
l’assalto al sole dei corpi
biancheggianti delle donne;
la seta, in ressa e di
giglio puro, degli orifiammi
sotto le mura che un giorno
difese una pulzella;
5 i sollazzi degli angeli; – No… la corrente d’oro in moto,
muove le braccia, nere, e
pesanti, e fresche soprattutto, d’erba.
Oscura, col Cielo blu come
cielo d’alcova, vuole per cortine
l’ombra del colle e del
ponte.
II
Eh! il vetro umido stende
le sue limpide bolle!
10 L’acqua arreda d’oro pallido e senza fondo gli strati pronti.
Le vesti verdi e stinte
delle fanciulline
fanno i salici, donde
sbrigliati scattano gli uccelli.
Più pura d’un marengo,
gialla e calda pupilla,
la ninfea – è la tua fede
coniugale, o Sposa! –
15 Nel lesto meriggio, dal suo specchio appannato, invidia
al cielo grigio d’afa la
sfera rosa e cara.
III
La Signora sta troppo in
piedi nella prateria
vicina su cui nevicano i fi
li del lavoro; coll’ombrello
fra le dita calpesta
l’umbella; troppo fi era per lei;
20 in quel fi orito verdeggiare, fanciulli leggono
il libro di marocchino
rosso! Ahimè, Lui, come
mille angeli bianchi che si
separano per via,
s’allontana al di là della
montagna! Lei,
freddissima, e nera, corre!
dopo la partenza dell’uomo!
IV
25 Rimpianto delle braccia sode e
fresche d’erba pura!
Oro delle lune d’aprile nel
cuore del letto santo! Gioia
dei cantieri rivieraschi in
abbandono e in preda
alle sere d’agosto che
facevano germinare le putrescenze!
Che adesso ella pianga
sotto i bastioni! l’alito
30 dei pioppi di lassù è per la sola brezza.
Poi, la distesa, senza
riflessi, senza fonte, grigia:
un vecchio draga e, nella
barca immobile, s’affatica.
V
Zimbello di quest’occhio
d’acqua, io non posso prendervi,
o canotto immobile! oh!
braccia troppo corte! né l’uno
35 né l’altro fiore: né quello giallo che mi infastidisce,
là; né quell’azzurro, amico
dell’acqua color della cenere.
Ah! la polvere dei salici
scossa da un’ala!
Le rose dei giunchi da
tempo divorate!
Il mio canotto, sempre
fisso; e la sua catena trascinata
40 in fondo a quest’occhio d’acqua
senza sponde, – verso quale fango?
(La
traduzione qui utilizzata è tratta da Opere,
trad. di I. Margoni, Feltrinelli, Milano, 1964)
Arthur
Rimbaud
Poeta
francese della scuola simbolista. Nato e cresciuto a Charleville e di grande
precocità intellettuale, cominciò a scrivere poesie all'età di 10 anni. A 17
anni, scrisse una poesia estremamente originale, Il battello ebbro (1871), che inviò a Paul Verlaine. La sua opera fu
profondamente influenzata da Baudelaire, per le sue lezioni sull’occulto e
sulla religione. La sua esplorazione del subconscio dell'individuo e la sua
sperimentazione con il ritmo e le parole, che impiegava per il loro valore
evocativo, hanno i toni del movimento simbolista (decadente), tanto che
spinsero un impressionato Verlaine ad incoraggiare il giovane poeta di
trasferirsi a Parigi. Qui nacque il loro rapporto di amicizia che si trasformò
in un rapporto burrascoso e instabile che durò per due anni, dal 1872 al 1873. Viaggiarono
insieme per l'Inghilterra e il Belgio. In quest'ultimo paese, Verlaine, tentò
due volte di uccidere il giovane poeta per le sue infedeltà, ferendolo
gravemente nel secondo tentativo: Rimbaud finì in ospedale e Verlaine in
carcere. Rimbaud offre un racconto allegorico su questo argomento in Una stagione all'inferno (1873). Lasciato
l'ospedale, viaggiò in Europa, in Nord Africa e visse a Harar e Shoa, in
Abissinia centrale. Verlaine, convinto che Rimbaud fosse morto, raccolse le sue
poesie in Illuminations (1886). Nel
1891 Rimbaud ritornò in Francia per curare un tumore al ginocchio, a seguito
della quale morì in ospedale a Marsiglia
nel novembre di quello stesso anno. La forza delle sue poesie scritte tra i 10
e 20 anni porta la figura più originale tra i poeti francesi di tutti i tempi e
ha avuto una profonda influenza su tutta la successiva produzione poetica.
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