Benché
non sia molto ferrata sulla letteratura tedesca – la mia conoscenza è limitata
agli scritti filosofici di Hegel, Hölderlin e Nietzsche, ai romanzi di Goethe e
Hoffman e al teatro di Brecht –, conservo gelosamente in un quaderno dove
raccolgo le poesie che più mi hanno affascinato un piccolo brano che vorrei
condividere con voi. Si tratta di un alcuni versi di uno dei più grandi poeti
tedeschi (o meglio austriaci) dello scorso secolo, Rainer Maria Rilke, la cui
opera letteraria è ancora in parte inedita in Italia, maggiormente conosciuto
per la raccolta di corrispondenze pervenuta a noi con il titolo famosissime Lettere ad un giovane poeta.
In
questo epistolario, destinato al giovane poeta Kappus e scritto tra il 1903 e
il 1908, ci sono importantissimi argomentazioni riguardo la natura della poesia
e della prosa, il ruolo dello scrittore e il significato della vita, ma soprattutto
il modo in cui un poeta deve approcciarsi ai propri versi, lasciandoli cantare
e ascoltandoli come se fossero versi di qualcun altro. Il poeta non crea dal
nulla, ma si fa interprete di ciò che gli viene trasmesso dalla realtà
attraverso l’ascolto attento e privo di condizionamenti esterni, che possano
alterarne la percezione e il significato. Sembra quasi che Rilke abbia seguito
l’esempio di Hegel, scrivendo quella che può essere considerata una
“fenomenologia” dell’arte poetica che ricorda vagamente l’Epistola ai Pisoni (Ars
Poetica) di Orazio.
Sebbene
Rilke sia considerato il poeta dell’inquietudine e dell’introspezione, quella
che vi propongo oggi è una riflessione sulla vita molto positiva, dalla quale
trasuda la volontà dell’autore di aiutare un amico che si trova combattuto tra
la via della letteratura e la carriera militare. Davanti ad un dolore, ad
un’ombra che incombe su di noi, siamo tutti scoraggiati, vittime inermi; è
proprio quel sentimento a riportarci a tu per tu con la nostra umanità, il
senso ultimo della nostra vita, a farci rendere conto che siamo vivi, nel
dolore più che mai. Il buio ci ricorda che c’è la luce, che bisogna contare
sulle proprie forze per risalire a galla, ci impaurisce così tanto da
richiamare una risalita. Questa è la vita, il motore di tutto, dove i pericoli
e i draghi, prima o poi, si trasformano in principesse.
Come potremmo
dimenticare quegli antichi miti
che stanno
all'origine di tutti i popoli, i miti dei draghi
che nell'attimo
estremo si tramutano in principesse?
Forse tutti i draghi
della nostra vita sono principesse
che attendono solo di
vederci una volta belli e coraggiosi.
Forse tutto l'orrore
non è in fondo altro che l'inerme,
che ci chiede aiuto.
E allora tu non devi
spaventarti se davanti a te sorge una tristezza,
grande quanto non ne
hai mai vedute prima;
se una inquietudine,
come luce e ombra di nuvole,
scivola sulle tue
mani e su tutto il tuo agire.
Devi pensare che
qualcosa accade in te,
che la vita non ti ha
dimenticato,
che ti tiene in mano
e non ti lascerà cadere.
Rainer Maria Rilke
René
Karl Wilhelm Johann Josef Maria Rilke (4 dicembre 1875 - 29 dicembre 1926),
meglio conosciuto come Rainer Maria Rilke, fu un poeta boemo-austriaco e
romanziere. Diversi critici hanno descritto l'opera di Rilke come
intrinsecamente "mistica". Le sue opere comprendono un romanzo,
diverse raccolte di poesie, e di diversi volumi di corrispondenza in cui si
invocano immagini ossessive che si concentrano sulla difficoltà di comunione
con l'ineffabile in un'epoca di incredulità, solitudine e profonda ansia.
Rilke
è nato a l'impero austro-ungarico, viaggiò molto in tutta Europa e Nord Africa,
tra cui Russia, Spagna, Germania, Francia, Italia, e nei suoi ultimi anni si
stabilì in Svizzera. Benché Rilke sia più noto per i suoi contributi alla
letteratura tedesca, oltre 400 poesie sono state originariamente prodotte in
francese e dedicate al cantone Vallese, in Svizzera. Le sue opere più
importanti tradotte in italiano: Lettere
a un giovane poeta (Adelphi, Matteoli, Mondadori, Nova Delphi), Elegie duinesi (Dalai, Feltrinelli,
Rizzoli), I quaderni di Malte L. Brigge
(Adelphi, Edizioni Clandestine e Garzanti), Sonetti
a Orfeo (Feltrinelli, Garzanti, Passigli).
Lo confesso: mi diletto di trekking nel WEB perché so che in qualche sito incontro Rilke; il dove e il come, stimola la mia curiosità.
RispondiEliminaRilke e Kafka: due figli di Praga magica (quella delle sfrenate maschere dell’Arcimboldi) che si consegnano, con risoluta scelta, alla vigilanza di una rigorosa grammatica, la tedesca. Il risultato? Un vertice di straniamento nel comunicare. Noi sbrigativamente li leggiamo come due testimoni dell’angoscia, di una malattia dello spirito, laddove l’angoscia è la virtù dei temerari, insofferenti di simulati asili.
La Grande Muraglia cinese di Kafka offre infiniti varchi; gli umani cerchi di Rilke dilatano senza fine.
In una lettera del 1903, Rilke consiglia al giovane poeta: “… abbiate care le vostre domande, come stanze serrate e libri scritti in una lingua molto straniera. Non cercate ora risposte che non possono venirvi date perché non le potreste vivere… Vivete per ora le domande…”
Nel Libro d’ore, il frate russo, pittore d’icone, destato dalla squilla mattutina, inizia il proprio quotidiano lavoro così meditando:
La vita che vivo in cerchi si espande
che sovra le cose descrivo;
non chiuderò forse di essi il più grande
eppure farò il tentativo.
Intorno a Dio, alla Torre primiera,
io mi libro da antica stagione
né ancor so se son falco o bufera
o un’immensa canzone.
Grazie da marmar e ai prossimi incontri sul WEB.
Grazie a te per esserti fermato a commentare questo articolo, e per averlo arricchito con altri versi di questo straordinario poeta :)
Elimina