Salve a tutti, e benvenuti ad
un'altra puntata de “Il Tempio degli Otaku”. Oggi parliamo di un'opera che definire sconosciuta è un eufemismo... sul serio. Come altro chiamereste un
manga del 1972, ovviamente inedito in Italia e dalle probabilità rasenti
lo zero di essere preso in considerazione?
Mi chiederete il perché di questa
scelta così poco popolare. Beh, cari quattro gatti che mi leggono, credo
che in una rubrica come questa sia molto più utile di parlare di titoli poco
conosciuti ma di qualità piuttosto che dei soliti manga che tutti voi sapete a
memoria (soprattutto, con tutta probabilità, il relativo anime), che magari ad
uno sguardo più attento sono meno incisivi di quello che sembravano all'inizio.
E' bello, di tanto in tanto, puntare i riflettori su qualcosa rimasto finora
(ingiustamente?) nell'ombra. Ma non vi annoierò oltre con questa introduzione
ed andrò subito al sodo: “The Drifting Classroom” di Kazuo Umezu. Buona
lettura!
Sho Takamatsu è un
ragazzino di sesta classe (la scuola elementare in Giappone dura sei anni)
nella media, né troppo maturo né troppo immaturo. Ama teneramente sua madre, ma
questo non gli impedisce di pressarla di
richieste e, alle volte, di litigarci. In un giorno qualunque i due hanno un
alterco piuttosto serio, ed è con animo pesante che il nostro fa il suo
ingresso a scuola.
Non può immaginare, nemmeno nei
sogni più sfrenati, quello che accadrà di lì a poco. Un fortissimo terremoto
scuote l'edificio; e quando tutto sembra passato, gli insegnanti ed i bambini
stupefatti scoprono che la scuola si trova ora in un posto sconosciuto,
in un mare di sabbia apparentemente privo di qualsiasi forma di vita. Gli
adulti, dopo aver tentato invano di mantenere l'autorità, impazziscono. Gli
(ex) scolari, invece, provano ad affrontare la faccenda con razionalità,
arrivando a scoprire la verità: si trovano nel futuro. Ma questo non renderà
più facili i compiti di Sho ed i suoi amici: tornare a casa e, soprattutto,
sopravvivere in questo ambiente ostile.
Cari quattro gatti che mi stanno
leggendo, credo di sapere a cosa state pensando: “Il signore delle mosche”.
In fondo le premesse sono simili, no? Una catastrofe non meglio precisata, un
ambiente ostile, dei bambini rimasti da soli, un potenziale leader che però
rimane un bambino come tutti gli altri. Ma il titolo di Umezu ha poche
somiglianze con il (bellissimo) romanzo. Lo scrittore William Golding si
concentra quasi esclusivamente sui problemi legati alla leadership del gruppo,
divisa tra Ralph, il protagonista, ed il suo rivale Jack, che diciamo non
condivide al 100% gli ideali democratici inglesi di cui l'altro si fa
portavoce. La sopravvivenza nell'isola, pur essendo ovviamente una questione
molto importante, viene subordinata ai turbamenti dei ragazzi, come ad esempio
si può notare nel finale, affrettato e slegato dal resto del testo. Ma siccome
questa non è una recensione del “Signore delle mosche”, lasciamo stare questo
argomento.
In “The Drifting Classroom”
l'argomento “regole” viene toccato piuttosto marginalmente, anche se presente (una delle parti forse più coinvolgenti dell'intera opera). Del resto sarebbe
stato piuttosto inutile insistere, visto che è chiaro come il sole che sarà Sho
a spuntarla. Tuttavia, il motivo principale è che questo, almeno sulla carta, è
un manga horror. Perciò i nostri eroi dovranno fare i conti con diverse problematiche,
quasi tutte di ordine pratico: come procurarsi da mangiare e da bere,
combattere catastrofi naturali di vario genere, e naturalmente fare fronte agli
ovvi dissidi interni, ultimi ma non ultimi quelli con gli adulti.
Come già accennato nella trama,
l'obiettivo non è tanto tornare a casa, piuttosto riuscire a sopravvivere un
altro giorno. Missione dall'esito non scontato se si pensa alla siccità
perenne, vegetazione ostile, mostri dalle origini sconosciute, inondazioni,
malattie infettive... solo alcune delle disgrazie che capitano agli studenti. Ogni
volta che i bambini sembrano aver raggiunto una certa normalità
nell'anormalità, ecco capitare qualcos'altro che seminerà morte e distruzione.
Come molte opere destinate ai ragazzini dell'epoca – in Italia è ancora
argomento di attualità la violenza in “Goldrake” - Umezu non si fa remore ad
ammazzare dei minori, in modi sempre diversi e sempre cruenti. E' questo,
forse, l'unico elemento “horror” della storia ai giorni nostri, visto che la
nostra sensibilità, dal 1972, è piuttosto cambiata. E' più difficile turbarci,
ed al singolo lettore decidere se è un bene o un male.
Tra una tragedia e l'altra,
comunque, c'è ancora tempo per fare dell'introspezione psicologica. A
sorpresa i personaggi meglio riusciti non sono i primari: Sho è troppo buono ed
intelligente (capisce sempre quando la situazione è pericolosa, anche quando
non lo sembra), la sua amica Saki troppo dipendente da lui, Gamo troppo cervellone,
Otomo troppo violento, e così via. Molte soddisfazioni regalano invece altre comparse:
la “principessa” che cerca di prendere il comando della scuola con metodi
violenti, il codardo Akabane, che cambia versione dei fatti ogni volta che gli
torna comodo, il piccolo Yu, che compensa il suo essere stato inserito a forza
nella trama con una personalità assolutamente coerente con quella di un bambino
piccolo, e molti altri. Come già accennato gli adulti non ci fanno una gran
figura, ma anche loro dimostrano una buona caratterizzazione: soprattutto
Sekiya, l'addetto ai pasti della scuola, che approfitta dello spostamento della
scuola per vendicarsi degli studenti che lo prendevano sempre in giro in virtù
della sua condizione. Diverso il discorso per la madre di Sho, il cui amore la
porta su quella che a molti sembra follia, ma in realtà è istinto materno allo
stato puro. Anche la folla dei bambini è molto curata, soprattutto quelli più
piccoli, facilmente impressionabili e dalle idee spesso bizzarre e pericolose.
Tenerli al sicuro sarà una delle mansioni più difficili per il nostro Sho.
Il tratto di Kazuo Umezu è
piuttosto semplice e poco personale, in linea con gli standard dell'epoca. Fedele in tutto agli stilemi del buon Osamu Tezuka, le fisionomie sono
elementari e si ripetono facilmente, anche se le persone non si somigliano in
modo lampante. Per garantire una buona atmosfera horror vengono usati molto il
bianco ed il nero, anche se i retini non mancano, anzi sono usati in maniera
molto sapiente. L'unica eccezione sono le copertine (a dire il vero un po'
tutte uguali tra loro), dai colori sgargianti. La costruzione della tavola non
presenta guizzi di nota, anche se di tanto in tanto si notano delle
inquadrature particolarmente efficienti.
“The Drifting Classroom” non è
un capolavoro, ma ha ottimi spunti, e meriterebbe ampiamente di poter
essere letto anche dal pubblico italiano, spesso sommerso (letteralmente?) da
opere dal dubbio valore. E per oggi è tutto, cari amici: arrivederci alla
prossima volta, con “Il Tempio degli Otaku”!
dove posso trovarlo in italiano? se esiste!
RispondiEliminaCiao! Sfortunatamente in italiano non è stato pubblicato; tuttavia, viste le qualità del manga, ho pensato meritasse un approfondimento sulla rubrica. Se mastichi l'inglese lo puoi facilmente trovare in scan, comunque :-) Ciao!
RispondiEliminaSurymae