venerdì 31 maggio 2013

International new releases of the month #8 : The 2013 Summer Page-turners List (Fiction special)







Il sito Americano Parade.com ha stilato una lista dei “libri da leggere tutti d’un fiato” per questa estate, chiedendo agli espertissimi editors di Amazon cosa pensano che si debba leggere sotto l’ombrellone, tenendo incollato il lettore. Ecco a voi una selezione dei libri appartenenti al genere fiction, nella prossima puntata invece si parlerà di non-fiction. A voi questa rassegna di dieci titoli.

The American site Parade.com has listed this summer “top page-turners books”, asking Amazon's expert editors what people should read on the beach and what will keep the reader glued on the pages. Here's a selection of fiction– next time we will discuss non-fiction. Check this out!

 And the Mountains Echoed – Khaled Hosseini
Edificante e straziante, il terzo romanzo dell'autore de Il cacciatore di aquiloni inizia con un racconto popolare che attraversa i continenti e le epoche, esaminando la guerra, la separazione, la nascita, la morte, l'inganno, e l'amore – finendo con un messaggio di speranza. Un'altra opera magistrale.

Both uplifting and heartbreaking, the third novel from the author of The Kite Runner begins with a folk tale and then traverses continents and eras, examining war, separation, birth, death, deceit, and love—ending on a message of hope. Another masterful work.

The Son – Philipp Meyer
Saga familiare ambientata all’epoca della nascita del Texas e del moderno Occidente, è un romanzo sull’avvincente lento bruciare dell’amore, del potere, e un retaggio di violenza che abbraccia generazioni. Meyer è uno scrittrore di grande ambizione e talento, che ha creato un romanzo epico americano.

An old-fashioned family saga set against the birth of Texas and the modern West, this is a riveting slow burn of love, power, and a legacy of violence spanning generations. Meyer is a writer of vast ambition and talent, and he has created nothing less than an American epic.


The Silver Star – Jeannette Walls
Due ragazze, abbandonate la loro bonaria ma rimbambita mamma, scappano dalla rurale Virginia in cerca dei familiari che non vedono da moltissimo tempo. Walls scrive un semplice ritratto di Liz e "Bean", dimostrando nella narrativa, come anche nel suo libro di memorie The Glass Castle, quanto conosca del cuore dei bambini e il male che può annidarsi in quello degli adulti.

Two girls, abandoned by their well-meaning but flaky mom, head out to rural Virginia in search of some long-lost family. Walls writes with easy assurance about Liz and “Bean,” proving in fiction as she did in her memoir, The Glass Castle, that she knows children’s hearts—as well as the evil that can lurk in the hearts of grown-ups.

 Big Brother – Lionel Shriver
La storia commovente e inquietante di una donna che cerca di salvare il fratello, che pesa più di 300 chili, da un disturbo alimentare che rischia di ucciderlo. È possibile “aggiustare” una persona decisa ad autodistruggersi? L'obesità è una scelta? Queste sono le domande che Shriver solleva eloquentemente anche se, come noi, non può mai essere abbastanza sicuro delle sue risposte.

A moving and disturbing story about a woman and her 300-plus-pound brother, whom she tries to save from eating himself to death. Can anyone “fix” a person bent on self-destruction? Is obesity a choice? Those are the questions Shriver eloquently raises, even if, like us, she can never be quite sure of the answers.

The Ocean at the End of the Lane – Neil Gaiman
Nell’ultima commedia di Gaiman, attraverso un’avventura ultraterreno, un giovane ragazzo scopre il soprannaturale segreto dei suoi vicini. Ben presto la sua innocenza è testata da antiche forze magiche, e avrà modo di conoscere il potere della vera amicizia. Il risultato è una lettura avvincente, dolce, ma anche triste e spettrale.

In Gaiman’s latest romp through otherworldly adventure, a young boy discovers a neighboring family’s supernatural secret. Soon his innocence is tested by ancient, magical forces, and he learns the power of true friendship. The result is a captivating read, equal parts sweet, sad, and spooky.

Transatlantic – Colum McCann
Quasi quattro anni dopo la vittoria del National Book Award con Questo bacio vada al mondo intero (in Italia edito Rizzoli), McCann esplora i legami tra l'America e le sue origini irlandesi. Questo complesso romanzo – racconti multipli, storie multistrato, in realtà- abbraccia 150 anni, focalizzandosi su personaggi memorabili ed eventi storici reali e immaginari.

Nearly four years after his National Book Award–winning Let the Great World Spin, McCann explores the ties between America and his Irish homeland. This complex novel—multiple, multilayered stories, actually—spans 150 years, shifting among memorable characters both real and fictional and events both historic and imagined.

 The Other Typist – Suzanne Rindell
Al pari di una trasposizione cinematografica – pensate a vecchi film come La fiamma del peccato o Brivido caldo-, il romanzo è la storia di due stenografi che si trovano in una stazione di polizia dell'era del Proibizionismo, in un intreccio elegante e pieno di malizia, mistero e deliziosamente pericoloso.

Like the book version of a movie classic—think Double Indemnity or Body Heat—this story of two stenographers in a Prohibition-era police station is stylish and full of mischief, mystery, and delicious danger.


The Engagements – J. Courtney Sullivan
Più sostanziale di quanto ci si potrebbe aspettare, questo romanzo successivo a Commencement and Maine è uno sguardo più intelligente del dovuto su quattro rapporti e su come i diamanti possono (o non possono) essere il motore di un matrimonio.

More substantive than you might expect, this follow-up from the author of Commencement and Maine is a smarter-than-average look at four relationships and how diamonds may (or may not) be part of the marriage machine.

The Bookman’s Tale – Charlie Lovett
Partendo dal 1995 in una libreria antiquaria in Galles, questo delizioso racconto di amore e di bibliofilia va avanti e indietro nel tempo, per lo più nell’Inghilterra shakespeariana e vittoriana. La sua grande scoperta: l'amore e la letteratura non conoscono generazione o epoca.

Beginning in 1995 in an antiquarian bookshop in Wales, this delightful tale of love and bibliophilia goes back and forth in time—mostly back—to Victorian and Shakespearean England. Its major discovery: Love and literature know neither generation nor era.

 The Never List – Koethi Zan
Un romanzo spaventoso che racconta di due migliori amici che prendono una decisione stupida e ne pagano le conseguenze per questo per il resto della loro vita. Contorto e terrificante.

This is one scary throat-grabber, about two best friends who make one stupid decision and pay for it for the rest of their lives. As twisted and terrifying as any novel in years.

giovedì 30 maggio 2013

Morte a Pemberly di P. D. James diventerà una serie televisiva della BBC







Circola da un po’ la notizia di un adattamento targato BBC dello spin-off di Orgoglio e Pregiudizio scritto da P. D. James, ambientato a sei anni dalla fine del masterpiece di Jane Austen. E già, Morte a Pemberly, vedrà Elizabeth e Fitzwilliam Darcy alle prese con la scoperta del cadavere di uno dei personaggi incontrati nell’originale austeniano, in un intreccio che, sebbene non abbia letto il libro, mi ricorda vagamente i gialli della Christie – penso a romanzi come Assassinio sull’Orient Express e a C’è un cadavere in biblioteca, anche se in questo caso, il morto si trova nel bosco.
A vestire i panni dell’affascinante ma burbero Mr Darcy ci sarà Matthew Rhys, che gli estimatori di telefilm conoscono per il suo ruolo di Kevin Walker nella serie Brothers & Sisters, ma che ha anche lavorato in pellicole importanti quali Elizabeth e The Edge of love (n.d.a. se non avete avuto modo di vedere questo film, ve lo consiglio vivamente per le magistrali interpretazioni di Keira Knightley e Sienna Miller). Gli affilati tabloid inglesi intravedono all’orizzonte una sfida tra l’attore gallese e il suo (insuperabile) predecessore Colin Firth, che ha interpretato il ruolo nel lontano 1994 e viene ricordato non solo per la magistrale recitazione, ma anche per la famosissima scena in cui riemerge dalle acque del lago – una delle scene più sensuali, nonostante l’attore sia pienamente vestito, della storia della televisione. Rhys, dal canto suo dichiara:
«Sono davvero emozionato, una delle sfide sarà fare i conti con le differenti interpretazioni che hanno “istituzionalizzato” il ruolo di Darcy in passato. Il signore di Pemberley sarà diverso in questo caso, perché andremo avanti di sei anni con la storia (e non ci sarà alcuna apparizione dal lago in camicia bianca e pantaloni)».
Da sinistra: Matthew Goode, Matthew Rhys
 e Anna Maxwell Martin
George Wickham sarà interpretato invece da Matthew Goode, che vedremo presto al fianco di Mia Wasikowska e Nicole Kidman nel film Stoker. L’attore si dice emozionato del suo ruolo, dichiarandosi un fan della Austen e dell’opera della James, e di lavorare con Matthew Rhys, a suo dire non solo talentuoso, ma anche divertente. Nei panni di Elizabeth vedremo invece Anna Maxwell Martin, già nota nel Regno Unito per aver interpretato Bessy nella trasposizione televisiva di North & South (2004) e Cassandra Austen al fianco di Anne Hathaway nella pellicola cinematografica Becoming Jane.
La miniserie sarà composta da tre puntate di un’ora, in un format già sperimentato dalla BBC e pienamente apprezzato dal pubblico britannico.
(fonte: The Telegraph Online)

Non ci resta che aspettare di poterne avere qualche assaggio, visto che le riprese cominceranno a giugno.  Io, a dire il vero, non sono entusiasta della scelta degli interpreti, forse anche perché legata alle versioni "originali" della storia. Come magra consolazione, spero di ricredermi dopo aver visionato la serie e che ancora una volta la scelta della location ricada su Chatsworth, luogo al quale la stessa Austen si ispirò per Pemberley.
Per chi non conoscesse il romanzo dal quale è tratta la trasposizione, ecco a voi la trama.


Morte a Pemberly – P. D. James
Inghilterra, 1803. Sono passati sei anni da quando Elizabeth e Darcy hanno iniziato la loro vita insieme nella splendida tenuta di Pemberley. Elizabeth è felice del suo ruolo di padrona di casa ed è madre di due bellissimi bambini. La sorella maggiore Jane, cui lei è legatissima, vive nelle vicinanze insieme al marito Charles, vecchio amico di Darcy, e il suo adorato padre, Mr Bennet, va spesso a farle visita.
Ma in una fredda e piovosa serata d'ottobre, mentre fervono gli ultimi preparativi per il grande ballo d'autunno che si terrà il giorno successivo, l'universo tranquillo e ordinato di Pemberley viene scosso all'improvviso dalla comparsa di Lydia, la sorella minore di Elizabeth e Jane. In preda a una crisi isterica la giovane donna urla che suo marito, l'ambiguo e disonesto Wickham, non gradito a Pemberley per la sua condotta immorale, è appena stato ucciso proprio lì, nel bosco della tenuta.
Di colpo, l'ombra pesante e cupa del delitto offusca l'eleganza e l'armonia di Pemberley, e i protagonisti si ritrovano loro malgrado coinvolti in una vicenda dai contorni drammatici.
Editore: Mondadori (22 gennaio 2013)
Pagine: 348
Prezzo: € 18,50

P. D. James

Phillis Dorothy James, nata nel 1920, eletta alla camera dei Lord e insignita del titolo di baronetto per i suoi meriti di scrittrice, è considerata la maggiore autrice vivente di detective fiction. Per trent'anni ha lavorato in vari settori del British Civil Service, tra cui il dipartimento di polizia e diritto penale del ministero dell'Interno. È stata commissario per la BBC e influente membro del British Council. Tra i suoi libri: Copritele il volto, Un lavoro inadatto a una donna, Una notte di luna per l'ispettore Dalgliesh, Un indizio per Cordelia Gray, Sangue innocente, I figli degli uomini, Morte sul fiume, Una certa giustizia, Morte in seminario, l'autobiografia Il tempo dell'onestà, La stanza dei delitti, Brividi di morte per l'ispettore Dalgliesh e La paziente privata, tutti editi da Mondadori.

Una giornata al Salone Internazionale del Libro di Torino: David Grossman e Simonetta Agnello Hornby







Sabato 18 maggio è stata una giornata davvero speciale: dopo averlo desiderato per molti anni, finalmente sono riuscita ad andare a Torino in occasione del Salone Internazionale del Libro. A onor del vero, devo ringraziare la mia amica Lucia, che ha lanciato l'idea durante uno dei nostri aperitivi dove parliamo di tutto e l'argomento libri riesce in qualche modo a essere sempre presente! Abbiamo quindi aspettato pazienti che il programma fosse pubblicato, abbiamo scorto e valutato gli eventi di ogni giornata e deciso per sabato 18 maggio che proponeva, fra gli altri, nomi del calibro di David Grossman e Simonetta Agnello Hornby.
Ammetto che da sempre ho un debole per la letteratura israeliana contemporanea - fra le mie letture preferite ci sono i libri di Amos Oz (primo fra tutti La scatola nera), così come quelli di Grossman e Yeoushua –, non sorprende quindi che fossi particolarmente entusiasta all'idea di assistere dal vivo a una conversazione letteraria con uno degli scrittori che apprezzo di più.
Così, dopo un'ora trascorsa in piedi in coda ad aspettare di entrare nell'ampia sala dell'Auditorium del Lingotto, siamo riuscite ad “accaparrarci” degli ottimi posti nelle prime file, pronte a gustarci l'incontro. Grossman era a Torino per parlare della sua ultima fatica, Caduto fuori dal tempo edito da Mondadori, e la conversazione era guidata dallo scrittore Gian Luca Favetto. L'incontro si è aperto in modo molto suggestivo e coinvolgente, con Favetto impegnato nella lettura in italiano di un breve estratto del libro, seguito dalla lettura in ebraico dello stesso passo da parte di Grossman. Sarà stato per la lingua ebraica, morbida e sconosciuta, per la voce ben modulata dello scrittore israeliano, per la profondità del testo... ma credo che un incipit simile sarà difficile da dimenticare.
Dopodiché, grazie all'alternarsi di domande e risposte (ottimamente tradotte da una bravissima interprete, di cui purtroppo non ricordo il nome), è stato possibile scoprire di più su Caduto fuori dal tempo. Si tratta di un libro particolare, non un vero romanzo e nemmeno una testo lirico, “qualcosa che sta in mezzo”, un mezzo letterario per parlare del viaggio verso il luogo dove la vita tocca la morte. Grossman dice di parlare a chi non possiamo più sentire e, sentendo questo, il mio pensiero era subito volato al figlio Uri, morto nel 2006 durante l'ultima guerra che ha visto schierati Israele contro il Libano. Per lui scrivere un libro è come avere un dialogo interiore, si comprendono cose e aspetti della vita che non si potrebbero capire in altro modo. A questo punto, ci svela la “genesi”, se così si può dire, di Caduto fuori dal tempo: afferma di aver superato la paura di esporsi, di lasciar trapelare le emozioni della propria vita intima, proprio grazie alla stesura di questo testo, “un libro contro l'istinto di protezione”, che ha iniziato a scrivere dopo la scomparsa del figlio. Racconta infatti di aver deciso di non volere essere protetto dal dolore (dopo una perdita simile, cerchi a tutti i costi di aggrapparti all’istinto di autoprotezione),  perché vivere una vita troppo protetta equivale a non vivere davvero. Inoltre essere uno scrittore è un privilegio, in quanto ti dà la possibilità di poter raggiungere e affrontare il “posto” dentro di te che più ti spaventa.
Favetto riporta il discorso sulla forma narrativa del libro, lo shir ebraico (canto e poesia, azione teatrale, canto corale) e chiede a Grossman la ragione che lo hanno indotto a fare una scelta simile. La risposta dello scrittore è disarmante: “It found me”, non aveva cercato quella forma, la forma aveva cercato lui, lo stile è la “pelle” del libro, cresce con esso. Non c'era altra scelta, quel libro doveva essere scritto perché altrimenti la sua vita sarebbe stata intollerabile. Inizialmente il romanzo era stato concepito come una prosa, ma non poteva proseguire in tal modo: la morte di un figlio è un evento contro natura, contro le regole che vogliono i figli sopravvivere ai genitori e un'opera simile richiedeva una rottura delle regole della scrittura. Particolarmente bella una frase della moglie di Grossman “Poetry is the closest to silence” (La poesia è la più vicina al silenzio), la forma di scrittura che permette di dire e non dire allo stesso tempo.
Favetto prosegue chiedendogli in quale dei suoi personaggi si riconosce di più: il duca, lo scriba, il centauro, l'uomo. Grossman dice di essere dentro ogni personaggio, ma di essere più vicino all'uomo, identificandosi nella sua incapacità di parlare, nel suo senso di soffocamento, che però riesce a vincere semplicemente cominciando a camminare. E qui nasce una bella riflessione sulle catastrofi e su come possiamo cercare di superarle: l'aspetto peggiore delle catastrofi è che ci paralizzano, ci trasformano in pietre; avere la possibilità di descriverle con le proprie parole è una forma di ribellione che ci rende non solamente vittime, ma ci permette di trascendere e di non accettarne i dettami, determinando la capacità di agire.
In Caduto fuori dal tempo l'uomo va “laggiù”. Ma che luogo è “laggiù”? Dove si trova? Lo scrittore spiega che il “laggiù” dell'uomo è un posto dove è possibile parlare di ciò che era successo, un punto di incontro fra vita e morte. Non possiamo saperne di più, non sappiamo ciò che c'è dopo; Grossman si è avvicinato il più possibile, l'ha sfiorato e ha fatto ritorno. Ma nei suoi libri forse è diverso: in un libro possono esistere contemporaneamente assenza e presenza.
Infine Grossman parla di sé, rivelando che ama soprattutto raccontare storie. Alcune sere in Israele  gli capita di leggere a voce alta, davanti a un pubblico stanco, che però si riscuote pieno di interesse e con gli occhi scintillanti quando viene condotto per mano verso una storia. La conversazione si chiude in modo circolare, con l'autore di Gerusalemme che legge nella lingua madre un passo del romanzo, dedicato al tempo se ben ricordo.
Mi ha fatto piacere notare che il pubblico in sala (1900 spettatori secondo alcuni fonti) è stato attento per tutta la durata dell'evento, se si esclude qualche improvvido cellulare fortunatamente subito spento, e uscendo dalla sale ho potuto ascoltare commenti entusiasti di persone che, come me sono rimaste conquistate dalla dialettica e dalla profondità di David Grossman. Tanta era la voglia di applaudire, ma tutti i partecipanti hanno rispettato il “consiglio” dello scrittore, che ha invitato a rimandare gli applausi a fine incontro e solo se meritati! Per quanto mi riguarda, si è trattata di una vera e propria emozione, e se già ero convinta di voler leggere Caduto fuori dal tempo, ora non vedo l'ora.
Nel pomeriggio è stata la volta di Simonetta Agnello Hornby, scrittrice siciliana e avvocato residente a Londra, che ha presentato il suo Il Veleno dell'Oleandro (Feltrinelli). L'incontro, breve ma ricco di verve, ha visto l'autrice (che in sala è stata veramente simpatica) presentarsi da sola, in centro al palco, senza moderatore, e rivelare i tanti temi che sono presenti nella sua ultima fatica, composta in un momento difficile della propria vita, ossia dopo la morte della madre. In ogni libro, Simonetta Agnello Hornby va contro un tabù; in questo addirittura i tabù da affrontare sono due: la bisessualità e le donne mature “accompagnate” da uomini più giovani. Secondo la Hornby, quello dei bisessuali  è un mondo ancora poco conosciuto e compreso, probabilmente vittima di pregiudizi sia da parte eterosessuale che omosessuale; mentre per le donne in là con l'età che hanno ancora occhi per i giovani (leggi tardone in giovane compagnia) sembra sussistere ancora il vecchio pregiudizio, secondo cui agli uomini queste sbandate vengono concesse con indulgenza, mentre alle donne sono invece riservate solo battutine, feroce ironia e implacabile giudizio sociale. 
Inoltre, ne Il veleno dell'oleandro, l'autrice ha voluto toccare anche il tema della famiglia - che anche in Sicilia, come in tutta Italia, tende a disgregarsi - e delle nuove malattie del benessere, come l'anoressia. Altro argomento rilevante è quello della proprietà, la “roba” (che reminiscenze di verghiana memoria!), molto sentito nella regione mediterranea, Sicilia inclusa: si parla di un'eredità, i classici gioielli di famiglia da utilizzare per cercare di risollevare le sorti della casa, che in questo caso, appartenevano a una nonna un po' libertina.
L'aspetto forse più interessante dell'incontro è stato cogliere il vivo coinvolgimento della scrittrice nel tema spinoso della violenza familiare: nel romanzo, una donna subisce violenza da parte del marito e l'Agnello Hornby racconta senza mezze misure di quanto sia difficile e disturbante scriverne. Del resto, non dobbiamo dimenticare che l'autrice è da anni impegnata in prima linea nella lotta contro la violenza domestica: ha fondato nel 1979 a Londra il primo studio legale con una sezione dedicata ai casi di questo tipo e dal 2012 collabora con la Global Foundation for the Elimination of Domestic Violence, attiva in Italia attraverso l'affiliata EDV Italy. Per non dimenticare il suo impegno, ha ricordato la recente pubblicazione (8
maggio) de Il male che si deve raccontare, il libro scritto con Marina Calloni, professoressa di filosofia politica e sociale all'Università Bicocca di Milano, che non è solo un libro-denuncia, ma anche un testo che mostra come combattere la violenza domestica e proteggere le vittime. I proventi di questo libro saranno devoluti proprio a EDV Italy. Simonetta Agnello Hornby mi ha molto colpito, soprattutto quando ha parlato dell'importanza di mantenere le proprie origini (lei mantiene infatti il proprio accento siciliano nonostante gli anni trascorsi all'estero), ma anche di quella di aprirsi al paese nel quale si è ospiti: ha raccontato con una punta di rammarico dei suoi nipotini che non conoscono l'italiano (tranne uno) perché, a tutti gli effetti, questi bambini sono inglesi (anche se, secondo me, conoscere più lingue dalla primissima infanzia è un grande arricchimento). Una donna che è stato un piacere incontrare, seppure dall'altra parte del palco.
Bilancio della giornata? Più che positivo, sono tornata a casa soddisfatta del pieno di emozioni vissute e con un paio di libri da aggiungere alla lista dei desideri... Non aggiungo altro, se non che sicuramente è un'esperienza da ripetere!

mercoledì 29 maggio 2013

Recensione: Tempo di Fate di Mariachiara Cabrini



Tempo di Fate - Mariachiara Cabrini
Due racconti, uniti in un solo volume, che trasportano il lettore nel fantastico e misterioso mondo di Faerie. Una dimensione più vicina alla nostra di quanto molti credano.
Una fata moderna dovrà ancora una volta prendersi cura di uno dei suoi clienti, come ogni buona pusher dovrebbe fare, e nel contempo magari trovare l'amore, in modo da tenere a bada le preoccupazioni di suo padre che la vorrebbe vedere sistemata.
E una ragazza apparentemente normale, sarà costretta a ricordare un passato che ha rimosso, poichè l'amico immaginario della sua infanzia ricomparirà nella sua vita all'improvviso, stravolgendola.










Voto: 


L'ebook contiene due racconti: il primo è la storia un po' particolare di Nim, una mezza-fata (fata solo da parte di madre), che per  vivere spaccia la sua polvere magica. Alla ragazza il lavoro non piace, ma vi è costretta. L'unica cosa che le è concessa è assicurarsi che la dipendenza dei suoi clienti resti a livelli accettabili. Durante una delle sue transizioni d'affari, conosce Atum, un mezz'elfo che la arruola per andare a portare la  sua polvere (che fra le altre cose cura le depressioni) a una donna, che è però prigioniera della mafia russa in un casinò.
La trama del racconto è interessante ma, nonostante la brevità, l'autrice ha concepito un universo  molto simpatico ed interessante, con una sua storia, seppur appena accennata, che mi ha fatto venire la voglia di saperne di più. L'idea di un mondo dove le fate siano praticamente dei pusher è un  divertente ribaltamento delle convenzioni del fantasy. Piacevole è anche il modo di scrivere,  leggero ed ironico, dando un'impressione scanzonata ma non per questo meno curata.
Penalizza moltissimo, purtroppo, l'acerbità della scrittura e la mancanza (non mi stancherò mai di  ripeterlo) di editing. Ci sono molti errori, quasi uno per pagina, che vanno da maiuscole tralasciate a ripetizioni, a dimenticanze varie; la punteggiatura inoltre è troppo approssimativa e qui e lì lo stile vacilla un po'. Con qualcuno di esperto al fianco questa giovane autrice avrebbe sicuramente modo di imparare quelle due cose che ancora le mancano e raggiungere un livello di scrittura molto  piacevole.
Le descrizioni sono troppo poche e scarne, una pagina in più per dare spazio a luoghi e personaggi  non sarebbe stata malvagia, soprattutto visto che l'autrice ne sembra perfettamente capace. La figura di Atum è un po' scontata: fin dal suo primo apparire Nim nota il suo fisico alla Tysion - un classico - e da subito ci è chiaro che di lì a poco si baceranno. Quello che non ci si aspetta è che lo faranno nel  giro di poche ore. Ci sono un po' di questi stereotipi lungo tutta la narrazione, e se alcuni sono trattati in modo simpatico e quasi caricaturale, così non è per altri: per esempio quando Nim ammira i bicipiti di Atum al lavoro o quando si capisce da dove il bellimbusto sia saltato fuori - e non ve lo  dico per non rovinare il finale.
Altra cosa che stona è il fatto che Nim si lasci coinvolgere da uno sconosciuto in un'avventura  molto rischiosa contro un gruppo mafioso praticamente senza battere ciglio, e, sebbene alla fine il  movente sia in parte giustificato con la gratifica in denaro, forse questo punto andrebbe posto diversamente. Insomma, Nim non dava l'impressione di una persona così venale, soprattutto dopo aver criticato l'economia umana, basata solo sui soldi.
Da rivedere sono anche i dialoghi, non sempre realistici. Il racconto, infine, è a tratti poco coerente, a partire da una fortezza inespugnabile un po' troppo espugnabile, per concludere con Atum colpito con chiodi conficcati nella schiena (quasi letali per Faerie), che due secondi dopo le cure mediche si alza e si sbaciucchia allegramente Nim come  niente fosse successo. 

Passiamo ora al secondo racconto che ha come protagonista Ellenor, una ragazza cresciuta in un  college speciale, creato per ragazze predestinate a sposare degli esseri magici. Una volta diplomata la ragazza si trova, però, a vivere nel mondo reale dove, lontana da tutto, rinnega la magia e quanto le hanno raccontato durante la sua infanzia. Quello che non sa è che la verità arriverà ben presto a farle visita. 

Come nel primo racconto, anche qui ci sono problemi sia di punteggiatura sia di battitura, a volte anche un po' grossolani. Niente di esagerato, e niente che un buon editing non potrebbe risolvere.
Di nuovo, ci si rende conto delle capacità dell'autrice di immaginarsi vividamente le scene che descrive e di conseguenza della sua capacità di renderne partecipe il lettore. Peccato che questa volta la storia sia troppo sbrigativa e incoerente rispetto alla prima. Il nucleo centrale di tutto è un amplesso, descritto con dovizia di particolari e con una certa bravura. Se dovessi basarmi solo sulla parte centrale, il racconto guadagnerebbe sicuramente punti, il resto non è che un misero contorno, un po' traballante.
L'idea che una ragazza vergine possa concedersi immediatamente a un uomo che non vede da ben tre anni, seppure amico di vecchia data, è sconcertante, soprattutto visto che ciò avviene nei primi cinque minuti della loro rimpatriata. Il fatto poi che durante l'amplesso, e ancora peggio, durante l'orgasmo stesso, Ellenor e il suo spasimante passino il tempo raccontandosi quanto si sono mancati e cosa sia successo dopo aver lasciato il college è molto inverosimile. Mai sentito di una coppia più chiacchierona a letto. Trovo anche strano che Ellenor accetti passivamente qualsiasi cosa, dall'essere predestinata a un uomo che non ha scelto, al concedersi a lui quando gli torna la voglia di portarsela a letto. Mi sarei aspettata una reazione più forte. Nonostante i numerosi punti deboli, e sebbene il secondo racconto non sia minimamente ai livelli 
del primo, l'autrice non mi dispiace affatto, fra le righe si evince una buona capacità di scrittura che  però è ancora acerba e necessita di più esperienza per uscire al meglio. Quindi spero che Mariachiara Cabrini prenda questa recensione non come una stroncatura ma come uno sprone a continuare a coltivare la sua scrittura e soprattutto a migliorarsi sempre di più. La strada mi sembra quella buona, direi che l'unica vera pecca dell'autrice è la volontà di inserire a tutti i costi un'amore  esagerato, così da farlo risultare poco realistico e rovinare quanto di bello ha creato.



Mariachiara Cabrini
Avida lettrice fin da piccola, ha letto tantissimi libri e continua a farlo con assiduità, tanto che ha deciso di dedicare a questa sua passione un blog che ha intitolato L’Arte dello scrivere…forse, dove recensisce e consiglia libri (http://weirde.splinder.com/). Ha 28 anni, vive nella splendida città di Mantova, è laureata in Storia dell’Arte e lavora come impiegata.

lunedì 27 maggio 2013

Recensione: Le bambine che cercavano conchiglie di Richell Hannah

Le bambine che cercavano conchiglie - Richell Hannah
Il mare in tempesta si infrange sulle coste frastagliate coste del Dorset. In alto, su una scogliera impervia, si erge una casa colonica con le mura imbiancate che brillano come un faro sotto la luce del sole.
Clifftops. Il posto che una volta Dora chiamava casa.
Da dietro le ampie finestre le sembra ancora di sentire risuonare le risa di sua sorella Cassie, il rumore delle loro corse di bambine gioiose. Adesso la natura ha ripreso il sopravvento e l'edera avvolge le antiche mura della magione dei Tide, in un viluppo di silenzio, polvere e segreti. Dora è fuggita da tutto questo, schiacciata dal peso della colpa. Una colpa inafferrabile come il vento, ma che si è insinuata nelle fibre del suo essere in profondità. E non le fa dimenticare quella lunga e calda giornata d'estate di tanti anni prima. I giochi alla ricerca di conchiglie, i nascondigli tra le rocce e quella piccola, fatale distrazione che ha distrutto un'intera famiglia. Da allora Cassie non le vuole più parlare e le due sorelle si sono allontanate irrimediabilmente. La sabbia e il vento non sono riusciti a disperdere il dolore, che è rimasto sepolto, come un cuore pulsante. Ma oggi Dora non può più fuggire, il soffio di una nuova vita respira dentro di lei e per amore del suo bambino deve ritrovare i pezzi perduti della sua vita. Perché dietro il massiccio portone di legno di quercia di Clifftops ci sono due occhi pieni di accuse e segreti ad attenderla, gli occhi di una donna che dovrebbe amarla, ma che da sedici anni sembrano covare solo risentimento. Gli occhi di sua madre. Dora deve trovare il coraggio di affrontarli una volta per tutte, prima che il segreto che le ha spezzate le travolga definitivamente come un'onda troppo impetuosa.
Titolo originale: “Secret of the Tides
Traduzione di Enrica Budetta
Editore: Garzanti
Pagine: 416
Prezzo: 18,60€



Voto: 



Se consideriamo l'«involucro» (termine forse inappropriato per un libro, lo ammetto), Le bambine che cercavano conchiglie dell'inglese Hannah Richell si presenta sicuramente bene: un'accattivante sovra-copertina raffigurante un suggestivo paesaggio costiero britannico con due graziose bambine in primo piano; uno slogan, "Il fenomeno editoriale del momento premiato dai librai indipendenti", che non passa inosservato e promette un'esperienza di lettura indimenticabile. Le premesse sono senza dubbio buone, da qui a decidere di leggerlo e recensirlo il passo è stato breve. 
Le bambine che cercavano conchiglie è una storia drammatica di dannazione e di redenzione di una famiglia, la cui vita quotidiana è infestata dall'ombra di un passato tragico che però, grazie a un percorso di elaborazione del dolore, riuscirà finalmente a venire a patti con i propri fantasmi e a ritrovare serenità.
La vicenda delle sorelle Dora e Cassie, figlie di Helen e Richard Tide, è una di quelle che fanno accapponare la pelle: una famiglia in apparenza normale viene sconvolta dalla scomparsa del figlio Alfie, di appena 3 anni, avvenuta in circostanze poco chiare. Da quel momento in poi la vita dei quattro protagonisti non sarà più – comprensibilmente – la stessa, ognuno combatterà i demoni nel proprio senso di colpa e il filo sottile che li tiene ancora uniti piano si sfilaccerà fino a spezzarsi inesorabilmente.
Hannah Richell descrive con convinzione e talento questa frattura e le emozioni che affollano i suoi personaggi principali: ci permette di entrare gradualmente nella loro storia e nel loro vissuto, scegliendo di narrare la vicenda “sovrapponendo” diversi piani temporali. Così, accanto ai protagonisti OGGI, abbiamo la possibilità conoscere gli stessi IERI, di capire le ragioni di certi atteggiamenti e di ricostruire il percorso che li ha portati a diventare quello che sono nel presente: Dora è giovane, con un buon lavoro, incinta e innamorata, eppure insicura e piena di paure; Richard è un padre  doppiamente tradito dalla moglie Helen, eterna insoddisfatta che si auto-punisce per purificarsi da una colpa che crede di avere, infine c’è Cassie, la sorella poco più grande, ribelle e senza mezze misure, che decide di allontanarsi da tutto e da tutti. Addentrandoci nel romanzo, via via scopriamo particolari drammatici che rivelano, oltre all'ineluttabilità del destino, anche quanto i protagonisti siano deboli, spaventati e a volte anche meschini; appena accade la tragedia, pur accomunati da un grande dolore, non esitano a cercare colpevoli e a giustificare se stessi: questo vale soprattutto per Cassie, che arriva a mentire “imputando” le responsabilità della scomparsa di Alfie alla povera Dora (“No, Dora, ci hai avvisato che Alfie veniva con te. Ti ho sentito benissimo”, p.154), e per Helen, che, influenzata dalle bugie di Cassie, pare quasi ritenere la figlia minore colpevole, nonostante non possa vantare una condotta irreprensibile.
Hannah Richell è molto convincente quando descrive questi momenti, rivelando tutta l'umanità e la fragilità delle “sue persone”, per le quali non riusciamo a non provare una certa empatia, pur non approvandoli.
Quando avviene il punto di svolta? Quando inizia ad aprirsi un varco di luce nel buio più profondo? La chiave di volta è proprio Dora, che in procinto di diventare madre, realizza che finalmente è tempo di ricostruire quanto è stato distrutto nel passato. Va a trovare Richard ed Helen e ritrova, dopo diversi anni, Cassie. L'incontro è sconvolgente: la sorella maggiore finalmente rivelerà il suo angoscioso segreto legato al suo ruolo nella sparizione del fratello e, per quanto straziante, sarà il primo mattone che porterà al riavvicinamento della famiglia. Importante sarà il Natale, la prima, vera occasione per riunirsi tutti insieme dopo tanti anni vissuti nella sofferenza.
Per quanto riguarda il ritmo narrativo tenuto per tutto il romanzo, è piuttosto sostenuto: i tempi “morti” sono pressoché inesistenti, e soprattutto nei momenti terribili della scomparsa e della ricerca di Alfie il racconto è incalzante. Non nego quindi alla Richell una certa efficacia nel tenere il lettore legato alla pagina, ciò che invece mi lascia più perplessa è l'eccessiva semplicità con cui vengono accettati i segreti e i fatti più cruciali: probabilmente mossa dalla volontà di dare una seconda possibilità ai propri personaggi, l'autrice fa sì che gli stessi siano in grado di accettare verità  oggettivamente difficili e di perdonare in tempi rapidissimi, forse troppo rapidi: più di metà libro è occupato dal dipanarsi su più livelli di una vicenda drammatica, e poi si corre tutto ' un fiato verso un lieto fine un po' scontato (anche se apprezzato!). Infine menzione d'onore a Hannah Richell per la scelta dei nomi delle due sorelle: Pandora e Cassandra,  importanti e mitologici, tre sillabe che contengono in sé un frammento di destino.

Richell Hannah
Hannah Richell, inglese, ha lavorato in editoria prima di trasferirsi in Australia. Qui ha lavorato in ambito cinematografico prima di diventare madre di due bambini e dedicarsi alla scrittura. Le bambine che cercavano conchiglie è il suo primo romanzo.

E' morto Roberto Denti, fondatore della Libreria dei ragazzi: lo ricordiamo così



La figura del libraio è fondamentale per la formazione letteraria di un bambino. La capacità di indirizzare i ragazzi verso una lettura o l'altra è, in mancanza di genitori o di una scuola meno nozionistica, una qualità che purtroppo pochi nel settore hanno e che andrebbe valorizzata di più, soprattutto nell'epoca un po' alienante delle grandi catene librarie: una lettura mirata può cambiare la vita e, se non proprio cambiarla, almeno aprire una giovane mente ad un percorso formativo unico nel suo genere e dare libertà di pensiero e di sogno anche ai più piccoli. Questo Roberto Denti, fondatore e gestore dal 1972 della storica Libreria dei ragazzi di Milano (da qualche anno presente anche nella sede di Brescia), scomparso lo scorso 22 maggio all’età di 89 anni, lo sapeva bene. Il negozio di via Tadino 53 è ed è stato per molti un punto di riferimento coi suoi 70mila volumi su 600 metri quadrati di spazio e prima libreria in Italia interamente dedicata alla letteratura per l'infanzia. Denti, cremonese classe 1924, si era trasferito a Milano nel 1946 e, lavorando per Il Sole 24 ORE, aveva conosciuto nel 1948 Gianni Rodari  che all'epoca collaborava con L'Unità; i due avevano in comune un diffuso impegno civile ed erano diventati subito grandi amici. Nel 1971, durante un viaggio in Mongolia, Denti aveva poi conosciuto la moglie Gianna Vitali e, accomunati dalla grande passione per la letteratura, avevano deciso una volta rientrati in patria di aprire una libreria per ragazzi: erano entrambi infatti affascinati dal mondo dell'infanzia e la scena milanese era tra le altre cose già satura di librerie per adulti.


Nel saggio edito nel 1999 da Einaudi Lasciamoli leggere, Denti rifletteva sulle tecniche di scrittura disponibili e sulle caratteristiche che la letteratura per ragazzi deve assumere per assecondare gusti e ritmi di vita dei bambini d'oggi: Verne, Dumas, Pinocchio restano dunque dei capisaldi ma vengono affiancati da libro-game, Piccoli Brividi e quant'altro. Denti ha sempre cercato di restituire ai giovani il piacere di leggere quello che vogliono, liberi dalle costrizioni scolastiche che li spingono a comprare i soliti quattro titoli e dai consigli dei genitori, a volte anacronistici: l'idea base è quella di lasciare la scelta ai bambini e farci poi stupire dalle loro preferenze. Ma Roberto non era solo questo: per molti di noi è stato anche un cantastorie capace di farci vivere avventure fantastiche ed emozionanti come nel caso di Athanor, romanzo per ragazzi pubblicato nel 1994 da Mondadori nella storica collana Junior, che ha piacevolmente segnato le vite di molti ragazzini nati negli '80. Athanor è ricco di tutti quegli elementi che secondo Denti potevano spingere alla lettura i bambini d'oggi: il protagonista è infatti figlio di un alchimista e nipote di una strega e parte alla ricerca del padre nell'Europa del XVI secolo tra carestie, epidemie di peste e rivolte popolari. Lo stile di Roberto è cristallino e preciso e oscilla continuamente tra ironia e profondità, qualità che lo accomunano tra gli altri all'amica Bianca Pitzorno, con cui ha firmato Cento libri per navigare nel mare della lettura per ragazzi (Salani, 1999). Oltre a scrittore, Roberto Denti è stato anche poeta, partigiano (troviamo la sua testimonianza nel volume La mia resistenza, edito da Rizzoli nel 2010, e anche nel romanzo per ragazzi Ancora un giorno, uscito per Piemme nel 2011), giornalista per varie testate e riviste specializzate, giurato del Premio Andersen e molto altro. E' autore inoltre del romanzo per adulti Incendio a Cervara che rappresenta, secondo la postfazione di Pier Paolo Pasolini, "l'allegoria dei nostri ultimi trent'anni da subito dopo la Resistenza a oggi". La Libreria dei ragazzi è ora gestita dagli allievi di Roberto e da Renata Gorgani, della casa editrice Il Castoro, chiamata a continuare nei prossimi anni l'opera di Denti. "Il ragazzo impegnato a crescere", come si definisce in un suo libro dove racconta in modo esilarante, avventuroso e sincero la propria infanzia, passa il testimone ma ci esorta ancora a credere ai bambini che sono, come purtroppo spesso dimentichiamo, la base del nostro futuro.


giovedì 23 maggio 2013

Poems (59): Mémoire di Arthur Rimbaud










Il poeta è un vagabondo, spesso coperto di fango, una valigia di esperienze e idee alla mano, le muse sulla spalla a sussurrare all’orecchio parole evocative. Suo è il compito di interpretare la natura e i suoi misteri, fissarli con l’inchiostro e renderli leggibili. Questa descrizione ricorda vagamente l’idea del poeta di Charles Baudelaire, invece si rincarna nella vita reale di Arthur Rimbaud. Intellettuale controverso, adolescente romantico, anarchico e anticonformista, Rimbaud si riteneva un veggente della lirica, convinto che al poeta spettasse il compito demiurgico di creare una lingua universale. La sua vita fu breve, ma intensa, caratterizzata da una profonda e morbosa relazione con Verlaine, dai suoi scritti che circolavano su fogli volanti, e dai suoi viaggi. La sua poetica è considerata pienamente decadente, intima e evocativa, capace di rendere esplicite emozioni e sensazioni forti che attraversano l’animo umano.
Mémoire è una delle poesie più conosciute di Rimbaud. Nelle cinque stanze che la compongono si raccontano alcuni episodi dell’infanzia del poeta dal sapore meramente bucolico. Nelle prime due strofe si ha un tripudio di colori, che va dal bianco dei corpi di donna all’oro della corrente nel fiume, che riflette la luce del sole, fino al blu terso del cielo e il verde delle vesti delle donne che ricordano il fiorire delle valli. Da questo mondo in pace e in armonia si passa alla vita reale, dove una Signora (la madre del poeta) viene abbandonata insieme coi figli dal marito. Il poeta sembra osservare da lontano il suo passato, ma anche la quiete bucolica di quei colori sgargiante che vede da lontano, mentre si trova accerchiato dall’acqua su un canotto. La sua volontà protende verso il colore, ma la corrente spinge il suo mezzo verso il buio, la tragedia. Credo questo sia uno dei più aulici esempi di poesia maledetta.



I

L’acqua chiara! come il sale di lacrime infantili,

  l’assalto al sole dei corpi biancheggianti delle donne;

  la seta, in ressa e di giglio puro, degli orifiammi

  sotto le mura che un giorno difese una pulzella;

 5 i sollazzi degli angeli; – No… la corrente d’oro in moto,

  muove le braccia, nere, e pesanti, e fresche soprattutto, d’erba.

  Oscura, col Cielo blu come cielo d’alcova, vuole per cortine

  l’ombra del colle e del ponte.



     II

  Eh! il vetro umido stende le sue limpide bolle!

 10 L’acqua arreda d’oro pallido e senza fondo gli strati pronti.

  Le vesti verdi e stinte delle fanciulline

  fanno i salici, donde sbrigliati scattano gli uccelli.

  Più pura d’un marengo, gialla e calda pupilla,

  la ninfea – è la tua fede coniugale, o Sposa! –

 15 Nel lesto meriggio, dal suo specchio appannato, invidia

  al cielo grigio d’afa la sfera rosa e cara.



     III

  La Signora sta troppo in piedi nella prateria

  vicina su cui nevicano i fi li del lavoro; coll’ombrello

  fra le dita calpesta l’umbella; troppo fi era per lei;

 20 in quel fi orito verdeggiare, fanciulli leggono

  il libro di marocchino rosso! Ahimè, Lui, come

  mille angeli bianchi che si separano per via,

  s’allontana al di là della montagna! Lei,

  freddissima, e nera, corre! dopo la partenza dell’uomo!



     IV

25 Rimpianto delle braccia sode e fresche d’erba pura!

  Oro delle lune d’aprile nel cuore del letto santo! Gioia

  dei cantieri rivieraschi in abbandono e in preda

  alle sere d’agosto che facevano germinare le putrescenze!

  Che adesso ella pianga sotto i bastioni! l’alito

 30 dei pioppi di lassù è per la sola brezza.

  Poi, la distesa, senza riflessi, senza fonte, grigia:

  un vecchio draga e, nella barca immobile, s’affatica.



     V

  Zimbello di quest’occhio d’acqua, io non posso prendervi,

  o canotto immobile! oh! braccia troppo corte! né l’uno

 35 né l’altro fiore: né quello giallo che mi infastidisce,

  là; né quell’azzurro, amico dell’acqua color della cenere.

  Ah! la polvere dei salici scossa da un’ala!

  Le rose dei giunchi da tempo divorate!

  Il mio canotto, sempre fisso; e la sua catena trascinata

 40 in fondo a quest’occhio d’acqua senza sponde, – verso quale fango?


(La traduzione qui utilizzata è tratta da Opere, trad. di I. Margoni, Feltrinelli, Milano, 1964)




Arthur Rimbaud

Poeta francese della scuola simbolista. Nato e cresciuto a Charleville e di grande precocità intellettuale, cominciò a scrivere poesie all'età di 10 anni. A 17 anni, scrisse una poesia estremamente originale, Il battello ebbro (1871), che inviò a Paul Verlaine. La sua opera fu profondamente influenzata da Baudelaire, per le sue lezioni sull’occulto e sulla religione. La sua esplorazione del subconscio dell'individuo e la sua sperimentazione con il ritmo e le parole, che impiegava per il loro valore evocativo, hanno i toni del movimento simbolista (decadente), tanto che spinsero un impressionato Verlaine ad incoraggiare il giovane poeta di trasferirsi a Parigi. Qui nacque il loro rapporto di amicizia che si trasformò in un rapporto burrascoso e instabile che durò per due anni, dal 1872 al 1873. Viaggiarono insieme per l'Inghilterra e il Belgio. In quest'ultimo paese, Verlaine, tentò due volte di uccidere il giovane poeta per le sue infedeltà, ferendolo gravemente nel secondo tentativo: Rimbaud finì in ospedale e Verlaine in carcere. Rimbaud offre un racconto allegorico su questo argomento in Una stagione all'inferno (1873). Lasciato l'ospedale, viaggiò in Europa, in Nord Africa e visse a Harar e Shoa, in Abissinia centrale. Verlaine, convinto che Rimbaud fosse morto, raccolse le sue poesie in Illuminations (1886). Nel 1891 Rimbaud ritornò in Francia per curare un tumore al ginocchio, a seguito della quale morì  in ospedale a Marsiglia nel novembre di quello stesso anno. La forza delle sue poesie scritte tra i 10 e 20 anni porta la figura più originale tra i poeti francesi di tutti i tempi e ha avuto una profonda influenza su tutta la successiva produzione poetica.

LinkWithin

Related Posts Plugin for WordPress, Blogger...