Mamo, psicologo senegalese fuggito in Italia a causa della guerra civile, s’improvvisa, suo malgrado, lavapiatti presso un ristorante italiano. Le vive parole del professionista della stoviglia, come ama definirsi, descrivono con sferzante ironia la propria condizione lavorativa, i sogni di una carriera professionale infranta, i bei ricordi di una gioventù trascorsa in terra d’Africa, la sua Africa. In ultimo il riferimento alla condanna che lo porterà a vivere un’avventura fuori dal comune: i suoi mal di testa.
Afflitto fin dall’adolescenza da terribili emicranie, Mamo ha l’incredibile dono, durante quei dolorosi ed odiati attacchi, di percepire “brandelli di vissuto, scampoli di vita” che non gli appartengono. Il futuro sembra dipanarsi sotto gli occhi increduli del protagonista, che impara ben presto a ignorarlo nella speranza che una cura, un giorno, possa porre rimedio a quella scomoda sofferenza. Purtroppo un killer getta la propria ombra sinistra sulla città di Milano, dove è ambientata la vicenda, mettendo a dura prova l’acume di un ispettore di polizia, Arturo Montanari, che all’inizio della nostra avventura, a causa delle vicissitudini legate al divorzio dalla moglie, perde la propria preziosa arte oratoria divenendo balbuziente, il braccio balbuziente della legge. Le strade di Arturo e Mamo si incroceranno imprevedibilmente nella lotta contro “il killer delle margherite”.
Colpi di scena, ironia, humor e un amore sul nascere condiranno il romanzo fino all’epilogo, che lascerà tutti con il fiato sospeso.
Editore: Zerounoundici
Prezzo: 11.50 euro
Pagine: 84
A cura di Surymae Rossweisse
Voto:
Nessuno è perfetto. Non c'è dubbio che sia una frase fatta, ma nemmeno che sia vera. Tralasciando possibili discorsi filosofici su cosa rappresenti la perfezione ed in base a quali parametri si possa quantificare, infatti, non esiste niente totalmente privo di difetti, né persone né, nel nostro caso, opere di finzione. Non si sottraggono a questa legge nemmeno quelle considerate all'unanimità dei capolavori, figuriamoci le altre, a maggior ragione se i loro creatori sono alle prime armi e quindi mancano di esperienza e di maturità.
In ogni caso, ci sono buoni o addirittura ottimi romanzi d'esordio, solo che ci sarà sempre qualche piccola pecca. “Mamo – Un lavapiatti, un poliziotto, un mal di testa” di Saverio Conigliaro non fa eccezione, pur essendo di livello più che dignitoso.
Mamore Mamour, per tutti Mamo, è un immigrato (irregolare, ma non per sua scelta) senegalese che, a dispetto di una laurea in psicologia, lavora come lavapiatti in un ristorante di Milano. Una storia fin troppo comune, oggigiorno, se non fosse che il nostro soffre anche di mal di testa che gli portano delle immagini che hanno un tangibile riscontro nella realtà, quasi delle premonizioni.
Le più frequenti riguardano delle margherite; fiore che è la firma del serial killer su cui sta indagando, senza troppo successo, il poliziotto Arturo Montanari. Tra un attacco di mal di testa e curiose coincidenze, i destini del lavapiatti e dello sbirro si incrociano...
Come si può evincere anche dalla trama, il romanzo – o racconto? - segue due linee narrative. Una è dedicata a Mamo, e si distingue per la narrazione in prima persona; la seconda, invece, è un comune narratore onnisciente che si divide tra Arturo ed, occasionalmente, il misterioso killer. In tutta onestà, quest'ultima è più carente dal punto di vista tecnico: si passa dalla terza persona limitata – seguiamo le sensazioni e pensieri di un personaggio, quasi come nella prima persona – al narratore onnisciente. Il massimo della confusione si ottiene quando nella stessa scena intervengono sia Mamo che l'altro punto di vista, con soltanto delle virgolette ad introdurre questa variazione. Un cambiamento traumatico per il povero lettore, e un errore tecnico non da poco per Conigliaro: nella vita reale è impossibile essere in due posti nello stesso tempo...
La trama di “Mamo...” è stata già trattata da innumerevoli altri romanzi ed autori, soprattutto nell'elemento della persona estranea alla polizia che tuttavia riesce a dare un contributo decisivo per la risoluzione del caso di turno. Tuttavia, durante la lettura non si viene infastiditi da fastidiosi deja-vu, perché Conigliaro attua delle variazioni sul tema; ad esempio nel finale, che riesce a stupire in modo positivo perché totalmente inaspettato.
Ma quello che rende il romanzo davvero originale sono i protagonisti, quanto mai improbabili. Mamo è un immigrato senza documenti, un reietto della società: deve sfuggire alle autorità per evitare di essere rimandato in Senegal, ed accontentarsi di lavori al di sotto delle sue reali capacità e con paghe molto basse. Arturo è l'esatto opposto dei poliziotti carismatici dei thriller, come lo stesso autore fa notare in maniera umoristica: si è appena separato dalla moglie, è balbuziente, e l'attrazione per la bella Silvia potrebbe rimanere solo platonica.
Questa descrizione vi può già far capire che ci troviamo di fronte a due personaggi ben caratterizzati, tridimensionali: soprattutto Mamo, che brilla per il suo senso dell'umorismo e per la dignità estrema con cui affronta qualsiasi cosa, dal contribuire a salvare vite umane a lavare i piatti. Non caso le sequenze a lui dedicate sono le più riuscite. Anche Arturo, comunque, si difende bene: il suo essere perdente è tratteggiato in maniera realistica, e per questo è facile affezionarsi a lui.
A causa del breve spazio a disposizione, però, loro sono gli unici personaggi con un'ottima introspezione psicologica: gli altri – che per fortuna non sono molti – hanno briciole, a confronto, pur essendo evidente lo sforzo. Silvia non riesce ad uscire dai cliché del “love interest”, anche per il suo ruolo molto marginale nell'economia della storia.
L'assassino è più coinvolgente, e durante la lettura la voglia di scoprire le sue reali motivazioni è sempre presente, ma viene introdotto troppo tardi nell'intreccio. Le sue psicosi sono sì interessanti, ma lo sarebbero di più se Conigliaro non tendesse a sottolinearci quanto – ad esempio, il suo modo di disporre le cose è in una “simmetria esasperata”.
In quest'ultimo come in altri frangenti, purtroppo, si nota poca padronanza verso una tecnica narrativa fondamentale: il mostrato e raccontato, in parole povere il decidere cosa merita una descrizione più accurata (mostrato) e cosa no (raccontato). Non esistono delle vere e proprie regole a riguardo, ma in generale gli avvenimenti più importanti, ed i sentimenti dei protagonisti, dovrebbero essere trattati il più possibile in maniera esauriente. In “Mamo...” questo non sempre accade, a parte per la prima persona. Chi ne fa le spese, quindi, sono Arturo – viene spiegata la situazione tra lui e la moglie, mai suoi sentimenti a riguardo sono introdotti in modo un po' sbrigativo – e soprattutto l'omicida, di cui non si comprendono mai del tutto le ragioni delle sue devianze.
In ogni caso, lo stile dell'autore è piuttosto maturo, per essere un esordiente: il lessico è vario, e la lettura è sempre piuttosto scorrevole. C'è qualche comprensibile caduta, come l'abusatissimo espediente del personaggio che si guarda allo specchio per descriverlo fisicamente, ma ha ampi margini di miglioramento.
“Mamo – Un lavapiatti, un poliziotto, un mal di testa” è un romanzo ambizioso, nel senso positivo nel termine, e questo si può notare anche dall'inserimento di tematiche di attualità come l'immigrazione e la sua mancata integrazione nella società, un po' per xenofobia e un po' per la troppa burocrazia. A volte Saverio Conigliaro non sempre ottiene i risultati desiderati, ma questo non significa che in futuro non possa riuscirci. E poi, nessuno è perfetto.
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