Finchè le stelle saranno in cielo - Kristin Harmel
Da sempre Rose, nell'attimo che precede la sera, alza lo sguardo a cercare la prima stella del crepuscolo. È quella stella, anche ora che la sua memoria sta svanendo, a permetterle di ricordare chi è e da dove viene. La riporta alle sue vere radici, ai suoi diciassette anni, in una pasticceria sulla rive della Senna. Il suo è un passato che nessuno conosce, nemmeno la sua amatissima nipote Hope. Ma adesso, prima che sia troppo tardi, è venuto il tempo di dar voce al suo ultimo desiderio: ritrovare la sua vera famiglia, a Parigi. E, dopo settanta lunghi anni, di mantenere una promessa.
Rose affida questo compito alla giovane Hope, che non ha nulla in mano se non un elenco di nomi e una ricetta: quella dei dolci dal sapore unico e inconfondibile che da anni prepara nella pasticceria che ha ereditato da Rose a Cape Cod.
Ma prima di affidarle la sua memoria e la sua promessa, Rose lascia a Hope qualcosa di inatteso confessandole le proprie origini: non è cattolica, come credeva la nipote, ma ebrea. Ed è sopravvissuta all'Olocausto. Hope è sconvolta ma determinata: conosceva l'Olocausto solo attraverso i libri, e mai avrebbe pensato che sua nonna fosse una delle vittime scampate all'eccidio. Per questo, per dare un senso anche al proprio passato, Hope parte per Parigi. Perché è nei vicoli tra Place des Vosges, la sinagoga e la moschea che è nata la promessa di Rose, una promessa che avrà vita finché le stelle saranno in cielo.
Sarà proprio lo sguardo curioso e appassionato della giovane Hope a svelarne il segreto fatto d'amore, di vite spezzate e soprattutto – come indica anche il suo stesso nome – di speranza. E a rivelare anche al lettore un segreto ancora più misterioso, una luce inattesa negli anni bui dell'Olocausto, un evento tanto storicamente accertato quanto poco conosciuto, che tuttavia ha salvato dall'orrore le vite di molte persone.
Editore: Garzanti
Pagine: 356 pagine
Formato: rilegato
Prezzo: € 16,40
Voto:
A cura di Lizy
Se fossi così sciocca da giudicare un libro dal suo incipit, penso che avrei subito abbandonato quello della Harmel, impressionata negativamente dalla pateticità della protagonista Hope che non fa altro che ripetere a se stessa di essere una fallita. Ma se si scorrono le prime pagine, ci si accorge che si è davanti ad un romanzo che cattura, sconvolge emotivamente e ti mette nella condizione di non riuscire a interrompere la lettura (rendendoti poi conto di aver passato l’intero pomeriggio a leggere solo quando una luce tenue, proveniente dalla finestra vicino al letto, annuncia il tramonto).
Si tratta di una storia sulla riscoperta delle proprie radici, nella quale Hope si rende conto che molte cose che ha dato per scontate nella sua vita, prime tra tutte le ricette dei dolci tramandatele dalla nonna, in realtà hanno un significato ben più profondo. La donna perviene a questa consapevolezza in un momento davvero buio della sua vita, quando rischia di perdere per sempre la pasticceria di famiglia a causa dei debiti, ma soprattutto non riesce a dar spazio a qualcun altro nella sua vita, straziata dal recente divorzio dal marito o forse conscia che nessuno le ha insegnato cosa significhi amare. L’unica consolazione sembra trovarla nella figlia dodicenne Annie, che però incolpa la madre del risvolto nel rapporto con suo padre e con la quale non è per niente facile interagire. A peggiorare le cose sono le condizioni della nonna di Hope, Rose, affettuosamente chiamata Mamie per le sue origini francesi, affetta da Alzheimer, che alterna momenti di confusione a stati di profonda lucidità. In uno di questi fugaci attimi, la donna chiede di essere portata in spiaggia e lì sbriciola il suo dolce preferito, la tortina Stella, nelle acque dell’oceano, recitando delle parole incomprensibili per Hope e consegnandole una lista di nomi di familiari da cercare, insieme ad un assegno di mille dollari per recarsi a Parigi.
Hope, dapprima restia a portare a termine quel compito, si convince a recarsi nella città dell’amore quando non riesce a reperire informazioni riguardo Alain, presumibilmente il fratello della nonna, dovendo affrontare di colpo l’idea che quest’ultima è una sopravvissuta all’Olocausto.
Il romanzo è davvero intenso e racconta in modo delicato e struggente una storia di fantasia che però si appoggia su fatti storici realmente accaduti, dai quali è possibile evincere che di fronte al dolore e alla sofferenza, le differenze religiose non hanno importanza.
“È l’umanità a creare le differenze. Ma questo non significa che non sia sempre lo stesso Dio”.
Il significato profondo di questo libro è che le tre religioni monoteiste per eccellenza si basano sugli stessi principi, i cui cardini sono la solidarietà e l’amore. Si tratta di una velata critica alla società contemporanea che, come nei secoli delle crociate, giustifica la lotta per interessi ben diversi da quelli religiosi con una guerra di credenze.
Ho trovato curioso il titolo italiano del romanzo, non corrispondente a quello originale, ma attinente perché legato alla frase conclusiva delle storie raccontate da Rose ad Hope, che pure hanno un ruolo importante nella vicenda.
Un altro punto importante, dal quale deriva il titolo “The Sweetness of forgetting” (“La dolcezza del dimenticare”), è l’ironia della sorte che accompagna la fase finale della vita di Rose: aver sofferto per cancellare un passato che la perseguita e poi non riuscire a ricordarlo, se non in brevi momenti, a casa di un difetto della memoria. Ma in realtà la sua volontà di cancellarlo non è mai esistita, a giudicare dai dolci che ha preparato per tutta la vita. La memoria è il tema che percorre tutte le pagine di questo romanzo, che sia quella della Shoah o semplicemente il significato attribuito ad ogni singolo attimo. Mi ha colpito molto il modo in cui è stata resa la malattia di Rose: è come se lei vedesse da lontano se stessa senza accorgersi di questa identità, riferendosi a sé in terza persona. Ammetto di aver trovato all’inizio un po’ fastidioso il passaggio dalla prima persona dell’Io narrante di Hope alla terza persona allorquando si parlava di Rose, ma avendone colto il senso, devo dire che ho apprezzato moltissimo questa scelta narrativa.
Il mio apprezzamento va sicuramente al modo semplice in cui la storia è raccontata, senza giri di parole, sebbene sia fatto con tatto. Inoltre, il realismo permea tutto il romanzo, tanto che ho dovuto leggere l’intervista finale all’autrice per rendermi conto che si trattasse di una vicenda di fantasia.
Credo che “Finché le stelle saranno in cielo” sia un romanzo da leggere, perché ci ricorda l’importanza della vita, dell’amore e la vera essenza del coraggio; un romanzo sulla ricerca della libertà da cui è possibile trarre molti spunti di riflessione.
I libri dedicati all'olocausto mi sono piaicuti quasi sempre, uniscono un pezzo di storia a emozioni inevitabilmente forti.
RispondiEliminaA primo impatto mi aveva ricordato La Chiave di Sarah, ma dalla recensione sembra una storia molto diversa nonostante l'intreccio presente/passato ^^