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Voto:
Ci sono realtà che sembrano
esistere soltanto nei libri, e talvolta nemmeno lì. Si parla di adolescenti con
disagi sociali e psicologici, ma non si conoscono veramente. Non si sa chi
siano, o quale sia la loro storia. Un libro non può cambiare le cose, ma può
aiutare a comprendere.
Questa è la storia di Jonah, che
ogni tanto –diciamo sempre- pomicia con Charlotte, che adora suo fratello
minore Jesse e ama stare con gli amici. E che, in particolare, suole rompersi
qualche osso cadendo dallo skate. La maggior parte delle volte lo fa passare
per un incidente, ma dopo 17 ossa rotte la scusa della fatalità non regge più.
Filmato dall’amica Naomi che lo
incoraggia entusiasticamente –vede in lui una sorta di superuomo, una
ribellione alla società-, Jonah si libra in aria e poi avverte il dolore
cocente della caduta, del corpo che si frantuma. Fa così male che piange e
singhiozza sempre come un bambino, ma deve
farlo.
Si sa che le ossa rotte ricrescono più forti. E’ una specie di
meccanismo naturale. Se ti rompi una gamba, te ne ricresce una migliore. Se ti
rompi tutto il corpo, ne avrai uno migliore.
Più stai male, più fore diventi.
Jonah vuole un corpo più forte
perché con il suo non è più in grado di reggere le allergie alimentari del
fratello. E’ sufficiente che Jesse senta anche solo l’odore del latte per
scatenare in lui pericolose reazioni asmatiche ed epidermiche -tanto da finire
più volte in ospedale- e da quando è nato il piccolo Will l’ambiente domestico
è diventato invivibile per il ragazzo. Il senso di responsabilità e l’apprensione
che nutre Jonah nei confronti di Jesse –che non è tuttavia un sedicenne debole
e mingherlino, ma uno sportivo robusto e molto alto- sono soffocanti per
entrambi. Per Jonah, il terrore che al fratello succeda qualcosa (soprattutto a
causa di qualche sua disattenzione) è così destabilizzante da far nascere in
lui il desiderio di diventare più forte. E l’unico mezzo è quello di rompersi
le ossa. Tutte le 216 ossa del corpo.
Break è un romanzo crudo. Non si
tratta soltanto delle tematiche urtanti o della storia allucinante. E’ crudo
perché la Moskowitz
usa uno stile spezzato, frammentato da molti punti, privo di descrizioni e di
qualsiasi sorta di romanticismo. Il linguaggio di Jonah è sì adolescenziale, ma
“grezzo” e caratterizzato da punte di durezza, suoni aspri, frasi scarne.
Tra un episodio e l’altro, in
mezzo alla narrazione, sbocciano lentamente le motivazioni del comportamento di
Jonah. Non parla quasi mai direttamente della storia della sua vita, ogni tanto
si rivolge al lettore ma lo fa esclusivamente per pronunciare sentenze amare e
pessimiste -o meglio, realiste-.
L’elemento psicologico viene dedotto dai suoi atteggiamenti, da alcune frasi
sporadiche, e da alcuni dialoghi. Possiamo dire che Jonah non si racconta, ma
sono le azioni che parlano per lui. I suoi pensieri illogici assumono nella sua
testa addirittura una parvenza di credibilità. E’ soltanto dopo metà romanzo,
che capiamo.
Se è vero che la nostra
famiglia è l’unità minima, allora ogni volta che Jesse sta male, tutti noi stiamo
male. Il suo dolore è il nostro dolore. Perciò se lui non può stare bene…tocca
a me. Io mi faccio male, poi guarisco. E divento più forte. E la mia forza è la
forza di mia madre. La forza di mio padre. La forza di Jesse.
Questa spiegazione, al limite della
follia, è quella su cui Jonah basa il proprio sacrificio. Ed è forse nel legame
con la famiglia che troviamo la chiave di volta. Il legame che lega Jonah a
Jesse è quasi patologico, è un amore che il protagonista, fino alla fine, non
capisce quanto sia opprimente per il fratello. E non lo comprendiamo nemmeno
noi fin quando non è Jesse –che cerca di vivere la propria vita normalmente, ma
a causa dell’apprensione di Jesse non ci riesce- a dirlo a chiare lettere al fratello. E’
grazie al chiarimento, in un litigio liberatorio, che Jesse capisce. Prima di
finire nuovamente in ospedale… ma adesso, per la prima volta, Jonah non ha
rimpianti. E può ricominciare.
Recenzione bellissima, ci hai convinte ad affrontare questa lettura, che dobbiamo dire in a primo acchito ci spaventava un po'.
RispondiEliminaGrazie Casmi e Rosbì :)