Il bordo vertiginoso delle cose, G. Carofiglio Rizzoli 320 pagine, 18,50 euro |
Carofiglio ritorna in libreria con Il bordo vertiginoso delle cose, definito dallo stesso autore una “biografia delle emozioni”, e accolto con calore da un pubblico ormai fidelizzato: lo dimostrano le file che si snodano alle sue presentazioni anche nei piccoli centri, quelli con una sola libreria, in cui – occasione più unica che rara – ogni tanto si riesce a organizzare un incontro letterario. E anche stavolta lo scrittore pugliese non disattende le aspettative.
Un senso di smarrimento e un dolore sottile, come quello di un coltello che a poco a poco trapassa le carni: ecco cosa si prova dinanzi al cedimento di ogni forma di illusione descritto da Carofiglio attraverso la storia di Enrico, metafora del destino di un’intera generazione.
La storia prende le mosse da una notizia di cronaca – quella di una rapina conclusasi con la morte del rapinatore, Salvatore Scarrone, un nome indissolubilmente legato al passato del protagonista – letta al solito bar in una mattina come tante altre, e che porta Enrico Vallesi a compiere un viaggio sulle tracce del proprio passato, incontrando la famiglia da cui ha scelto di prendere le distanze e rivivendo la propria adolescenza, quel periodo in cui – come ha dichiarato lo stesso autore durante la presentazione del libro – «tutto accade per la prima volta», e che per questo è «così struggente e doloroso». È il momento in cui si decide chi essere, da che parte stare, e nulla è più vero per Enrico, adolescente negli anni ’70, un’epoca in cui nessun giovane, Vallesi incluso, avrebbe potuto esimersi dalle lotte politiche. Un periodo che Enrico ha trascorso tra manifestazioni, liti con “i fascisti” e raccogliendo incipit dei più famosi romanzi – da Dostojeskij a Pavese, passando per Conrad e Hemingway –, trascritti prima con la vecchia macchina da scrivere della madre, una Lexicon 80, e poi con una Olivetti 80. L’unica certezza per Enrico è Celeste, la giovane e disponibile professoressa di filosofia che invita i suoi alunni a guardare oltre «il bordo vertiginoso delle cose», oltre il bordo dell’esistenza umana, dominata dalla paura di cedere percorrendo il filo invisibile delle nostre vite. Con la «grazia vertiginosa» dei suoi discorsi, l’insegnante guida gli allievi tra il relativismo etico dei sofisti e il mito della caverna di Platone, spiegando loro che la filosofia insegna a «fare e a farsi domande». Un personaggio particolare, quello di Celeste Belforte, cui l’autore ha volutamente conferito alcuni tratti maschili.
Il tema del ritorno ai luoghi dell’adolescenza come strumento per comprendere chi si è diventati, non deve tuttavia far pensare al solito, prevedibile, “romanzo di formazione”. Dietro la storia del protagonista, si cela il dramma dell’uomo contemporaneo, travolto dalla vita e dagli eventi. Vallesi ha scritto un solo libro e da allora è vittima di un perenne blocco creativo che l’ha portato ad accettare un grottesco patto col proprio editore: stilare “autobiografie” per conto terzi, trincerandosi dietro esistenze altrui. La narrazione si snoda dunque tra un passato in cui Enrico era Enrico e un presente in cui il protagonista è un generico tu, a rappresentare la condizione di totale annichilimento vissuta dal protagonista.
Ci troviamo di fronte a un’opera che, secondo l’intento dello stesso Carofiglio, si serve dell’etichetta di genere come protesto per raccontare altro. Non a caso, la componente giallistica è presente in minima parte rispetto ai precedenti romanzi dello scrittore e funzionale a «mettere in moto la vicenda». Fornisce dunque l’occasione per indagare la psicologia del protagonista e, più in generale, dell’uomo moderno che, privo di certezze e futuro, può solo guardarsi indietro con in bocca il gusto amaro delle occasioni mancate. Il racconto intimista e psicologico trascende così i suoi confini, diventando specchio delle disillusioni di un’intera generazione. Carofiglio lo fa con un linguaggio privo di eccessi, essenziale e quasi scarno.
Uniche pecche, un inizio che stenta a decollare e un finale un po’ prevedibile, ma davanti a un’analisi così schietta e pregnante del dramma dell’uomo contemporaneo, questi difetti appaiono veniali e passano in secondo piano.
A cura di Angela Scarpati
Di Gianrico Carofiglio ho letto un paio di romanzi. Mi è capitato di vederlo spesso in libreria quest'ultimo libro, ma non ero molto convinta. La tua recensione mi ha invece messo molta curiosità (nonostante non sia un'amante della filosofia).
RispondiEliminaQuesto commento è stato eliminato dall'autore.
EliminaScusa per il ritardo nella risposta.Sono contenta di essere riuscita ad incuriosirti con la mia recensione. Per quanto riguarda l'aspetto "filosofico", ti rassicuro subito: non ci sono disquisizioni di tipo filosofico,ma si tratta di un "mezzo" con cui l'autore porta avanti la narrazione. Oserei dire che la filosofia sia semplicemente il "fil rouge" della narrazione, nulla di più. Buona lettura!
EliminaA me il romanzo e' parso insignificante, ridondante nelle citazioni (da Platone a Pollock, da Antifonte a Freud, tante per citarne alcune), ed assurdamente banale.
RispondiEliminaSono convinta che non sia di certo il romanzo del secolo,ma mi è parso comunque un buon libro e penso,per quanto riguarda le citazioni, che intenzione dell'autore fosse quella di "prendere in prestito" parole di altri per guardare alla nostra realtà.
Elimina