Salve a tutti, e benvenuti a un'altra puntata de “Il Tempio degli Otaku”! Ospite d'onore, questa settimana, un mangaka di cui non avevamo mai parlato in questa rubrica. E forse a ragione. Tsutomu Nihei è infatti più famoso il tratto tecnico e preciso – ha studiato da architetto, e si vede – con cui delinea i affascinanti e decadenti mondi post-apocalittici, che per le trame, spesso prive di dialoghi. Queste caratteristiche, che lo rendono ostico ai più, gli hanno permesso di conquistarsi un pubblico di nicchia, disposto a seguirne le evoluzioni pur non capendole del tutto, e hanno reso i suoi manga dei veri e propri oggetti di culto. Oggi partiamo in modo “soft” con Abara, una miniserie che ci permetterà di prendere confidenza con questo autore così particolare. Buona lettura!
La trama parte in medias res: una donna, Todohomi, va alla ricerca di un operaio, Denji Ito, per ottenere il suo contributo nella battaglia contro i Guana Bianchi, esseri dalle origini sconosciute che prima possiedono e poi si alimentano degli uomini, seminando morte e distruzione.
Quando Todohomi rintraccia Ito, si convince di avere a che fare proprio con un Guana Bianco, ma le cose non stanno proprio così. Ito è sì un Guana, ma Nero, una delle poche creature in grado di fermare i Bianchi. Il nostro aveva cercato di sfuggire al suo destino e condurre una vita normale, ma la battaglia infuria, e solo lui può porvi fine...
Con tutta la buona volontà, questo è il massimo che si può dire sulla trama di Abara. È abbastanza evidente che ci troviamo di fronte a un contesto post-apocalittico, e sappiamo dell'esistenza di organizzazioni segrete (tra cui la “Residenza di optometria”, di cui fa parte Todohomi) che controllano – o meglio provano a controllare – i Guana, e che Denji Ito è molto di più di quanto appaia, ma questo è tutto quello che ci viene concesso di sapere. Non una parola sull'origine delle creature mostruose che stanno prendendo il sopravvento sulla Terra né sul background dei personaggi, persino il finale del manga è piuttosto vago, forse per aprire la porta ad altre opere appartenenti allo stesso filone narrativo.
Questo minimalismo si nota anche in sede di sceneggiatura, con dialoghi ridotti all'osso, usati soltanto quando strettamente necessario. E dobbiamo anche essere grati all’autore, perché l’opera precedente, Blame! – da molti considerata il capolavoro assoluto di Nihei – ne era del tutto priva.
A uno script quasi assente, si accompagna un altrettanto scarna caratterizzazione dei personaggi. Ne intravediamo appena dei lampi, ma scompaiono così in fretta da farci domadare se davvero li abbiamo visti, come nel caso di Ito e delle gemelle Nayuta e Ayuta, tutti e tre controllati da dei Guana, e pertanto divisi tra i loro istinti umani e quelli demoniaci. Il paragone è senz’altro audace, ma la loro condizione potrebbe essere sintetizzato con la famosa massima di Nietzsche: «Chi lotta con i mostri deve guardarsi di non diventare, così facendo, un mostro. E se tu scruterai a lungo in un abisso, anche l'abisso scruterà dentro di te». Tra un edificio in rovina e un combattimento scenografico, emerge con prepotenza la sofferenza provata, soprattutto da Ito, nel diventare una creatura che di umano non ha niente, e che anzi si nutre di umani. Non a caso, all'inizio della storia lo troviamo a fare l'operaio, nel disperato tentativo di condurre una vita normale. Beata ingenuità, considerando il mondo in cui vive.
Altri personaggi di rilievo sono Todohomi e l'ispettore Tajajima, ed è solo quest'ultimo che ci regala qualche soddisfazione dal punto di vista della caratterizzazione e, soprattutto, del coinvolgimento emotivo. Costui, infatti, non è nient'altro che un ispettore: non fa parte di organizzazioni super segrete, non è controllato da Guana. È un uomo comune, insomma. Eppure sarà proprio lui uno dei primi a comprendere la gravità della situazione, pur non possedendo gli strumenti per opporvisi. Al contrario, Todohomi si dimostra abbozzata e ben al di sotto delle aspettative: non ci viene spiegato niente di questa donna, che appare imperturbabile per tutta la durata dell'opera, anche quando gli eventi precipitano.
Riassumendo, la forza di questo manga non risiede certo nella trama – portata avanti dall'abusatissima dicotomia bianco/nero –, né nell'introspezione psicologica. Il vero asso nella manica è senza dubbio il tratto di Nihei, che si esprime al massimo nell’accuratissima ricostruzione degli edifici. I retini sono usati in maniera sapiente, così come il tratteggio, essenziale per fare da contrappunto alla generale povertà di sfondi e al pallore estremo dei personaggi. I combattimenti sono carichi di pathos e dinamici per quanto, purtroppo, piuttosto confusionari. Le fisionomie dei protagonisti sono invece appena abbozzate e in generale piuttosto simili fra loro, cosa che impedisce al lettore di distinguerli con chiarezza.
Difficile dire, così su due piedi, se Abara sia un capolavoro. Resta tuttavia un'opera carica di personalità che merita di essere letta più volte, con un messaggio – una volta decifrato – profondo e uno stile di disegno tra i più belli in circolazione. Questi indubbi pregi ci permettono di chiudere un occhio di fronte a protagonisti bidimensionali, a una trama stereotipata e criptica, e ad altri piccoli/grandi difetti. Se siete alla ricerca di qualcosa di diverso e davvero innovativo nel panorama dei manga, ora sapete quello che fa per voi. E per oggi è tutto, cari amici. Arrivederci alla prossima con “Il Tempio degli Otaku”!
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