Correva l’anno 1899 e in Inghilterra il Blackwood’s Magazine pubblicava in tre puntate il racconto di Joseph Conrad, Cuore di Tenebra. Lo stesso venne pubblicato poi nel 1902, sempre in Inghilterra, e nel 1924 in Italia. Come molti dei racconti pubblicati a puntate, divenne in seguito uno dei classici della letteratura del XX secolo.
L’idea venne a Conrad in seguito al viaggio lungo il fiume Congo dritto nel cuore dell’Africa, compiuto nel 1890 a bordo di un vaporetto, il Roise de Belges.
È evidente che, quello che da molti viene considerato un romanzo più che un racconto, ricalchi proprio quest’esperienza - tanto che i personaggi di Cuore di Tenebra sono ritratti di individui realmente esistiti. È indubbio, tuttavia, che il viaggio sia solo la molla che induce in Conrad una riflessione ben più profonda.
In Cuore di Tenebra si comincia dall’Inghilterra. A bordo di un battello ancorato lungo il Tamigi, un vecchio marinaio, Marlow, racconta ai suoi compagni la sua esperienza in Africa Nera, un luogo a quell’epoca ancora inesplorato e pieno di mistero. È così che comincia il resoconto dell’avventura nel quale si vede il passaggio di Marlow dalla prima sede della Compagnia, a un punto non meglio precisato di un fiume mai nominato, alla ricerca dell’uomo che, da solo, ha saputo inviare alla Compagnia quantità insperate di avorio: Kurtz.
Di quest’ultimo non si hanno più notizie ed è compito di Marlow usare il battello a vapore malandato per scoprire cosa ne è stato di lui e recuperarlo. In un tragitto che ha del surreale e che allo stesso tempo più reale non potrebbe essere, la figura di Kurtz, di cui molti parlano, si colora di nuovi particolari, tanto da renderlo una personalità talmente affascinante e misteriosa che lo scopo di Marlow diventa non solo recuperarlo, ma conoscerlo, sentirlo parlare e lasciarsene affascinare, come tutti fanno.
Giunti al presidio di Kurtz, la scena che si presenta a un equipaggio provato da attacchi indigeni, problemi al battello e tentati ammutinamenti diviene ancora più macabra di quanto già sarebbe. Kurtz è diventato una divinità presso gli indigeni, ma è in fin di vita. La vita dei viaggiatori stessi è a rischio, gli indigeni non vogliono portino via il loro dio. E’ con un ultimo sfoggio della sua autorevolezza che Kurtz trattiene gli indigeni e si mette in viaggio per un ritorno alla civiltà che non avverrà mai. A Marlow viene lasciata l’eredità di Kurtz, la consapevolezza raggiunta dall’uomo nel corso della sua permanenza nel cuore dell’Africa Nera. Si può dire che il senso più profondo dell’opera è racchiuso in una frase:
-Aveva tirato le somme e aveva giudicato. “L’orrore!”
Da questa enigmatica proposizione, che tale rimane all’interno del romanzo, possono cogliersi i diversi livelli di interpretazione di Cuore di Tenebra.
Il primo ad emergere, il più evidente, è la smania di potere e conquista dell’uomo occidentale. Innumerevoli sono le nazionalità dei personaggi inseriti da Conrad nel romanzo, innumerevoli ma tutte europee. Di loro, Conrad descrive il comportamento che li accomuna, fin dalla notte dei tempi:
“ Arraffavano tutto quello che potevano solo per amore del possesso. Pura e semplice rapina a mano armata, omicidio aggravato su vasta scala e uomini che ci si buttavano alla cieca – come si conviene a chi affronta le tenebre.”
Sono tutti uomini bianchi, colonialisti ossessionati dal potere e da ciò che aiuta ad ottenerlo: l’avorio. La critica al colonialismo si esplica in diversi momenti del romanzo, con una cruda descrizione delle condizioni degli indigeni sfruttati e con un’ancor più cruda impassibilità di fronte a questi. L’emotività è ridotta al minimo, lo sfruttamento è dolorosamente scontato.
“Delle forme nere stavano accovacciate, sdraiate o sedute fra gli alberi, appoggiate ai tronchi, incollate alla terra; per metà in risalto, per metà nascoste entro la luce incerta, in tutte le pose del dolore, dell'abbandono e della disperazione. Scoppiò una nuova mina nella rupe, seguita da un leggero fremito della terra sotto i miei piedi. Il lavoro procedeva. Il lavoro! E questo era il luogo in cui alcuni dei suoi servi si erano ritirati a morire [..] Mi era passata la voglia di passeggiare all'ombra, e ripresi in fretta il cammino verso la stazione. Vicino agli edifici incontrai un bianco, di un'eleganza così inaspettata che al primo momento lo presi per una visione. Vidi un alto colletto inamidato, polsini bianchi, una leggera giacca di alpaca, pantaloni candidi, una cravatta chiara e stivaletti di vernice. Senza cappello. I capelli divisi dalla riga, ben spazzolati, impomatati, sotto un parasole bordato di verde, sorretto da una grossa mano bianca. Era stupefacente, e dietro l'orecchio aveva un penna.”
Vi sono poi evidenti rimandi all’Impero romano, segno che Conrad vuole rimandare il tutto a una lettura più ampia, che si può sintetizzare in un’unica, ineluttabile, conclusione: la società occidentale è oscura.
E’ più oscura dell’Africa Nera e di chi la abita. Più oscura della Natura selvaggia. Marlow parte da Londra e a Londra ritorna, con la consapevolezza che il vero “cuore di tenebra” è la bruttura di una società occidentale, logorata dall’avidità, lontana dallo stato di natura.
Proprio la Natura è uno dei principali protagonisti del romanzo. L’immaginario europeo è abituato a una Natura che è armonia, a una Natura che corrisponde al classico locus amoenus, dove l’uomo trova la pace dei sensi.
La Natura che Conrad rappresenta non è nulla di tutto ciò. E’ un mostro caotico, dai mille volti. Mille vite che brulicano e si intrecciano, senza nessun segno della razionalità degli occidentali. E’ con questo che deve misurarsi Kurtz, con questo che si misura Marlow, l’unico che comprende a cosa l’orrore di Kurtz sia dovuto.
In balia a una forza tanto enorme e tanto spietata, lontano da tutto ciò che l’uomo conosce, lontano dalla civiltà cui è ormai abituato, avviene un totale sconvolgimento degli schemi mentali. Si riattivano gli istinti primordiali, quelli che hanno guidato l’uomo nella sua faticosa evoluzione durata milioni di anni. Tutto si riduce alla sopravvivenza, perché una lotta contro la Natura è esclusa. Ecco cosa vede Marlow, nell’osservare i balli degli indigeni e lo scenario in cui questi si svolgono:
“La terra non sembrava più terrena. Noi siamo abituati a vedere la forma incatenata di un mostro soggiogato, ma lì, lì si vedeva il mostro in libertà. Non era terreno e gli uomini erano... No, non erano inumani. Ecco, sapete, era questa la cosa peggiore: il sospetto che non fossero inumani. Veniva a poco a poco. Ululavano e saltavano, si contorcevano e facevano delle orribili smorfie; ma quello che faceva rabbrividire era proprio il pensiero della loro umanità, simile alla nostra, il pensiero di una nostra lontana parentela con quella violenza selvaggia e appassionata. Sgradevole. Sì era abbastanza sgradevole, ma con un po' di coraggio, bisognava ammettere che c'era in noi, sia pur debolissima, una traccia di rispondenza alla terribile franchezza di quel frastuono, l'impressione confusa che vi si nascondesse un significato che, per quanto lontani noi si fosse dalla notte dei tempi, si poteva capire. E perché no? La mente dell'uomo è aperta a tutto, perché contiene tutto, tutto il passato e tutto l'avvenire. E in fondo là dentro cosa c'era? Gioia, paura, dolore, devozione, coraggio, collera, - chi lo sa? - ma verità certamente, la verità spogliata dal mantello del tempo.”
È in questo momento che l’uomo rimane solo con se stesso e può guardare dentro di sé. Quello che vede è ciò che è diventato. Cuore di Tenebra. Da qui l’orrore di Kurtz, da qui la percezione di quella tragica dicotomia che lo portava a farsi adorare dagli indigeni pur di ottenere l’avorio e allo stesso tempo a volerli tutti sterminare, come arriva ad affermare in uno dei suoi momenti di delirio. Kurtz vede dentro di sé l’orrore di cui vagheggia prima di morire e Marlow, come afferma alla fine della storia e – circolarmente - all’inizio del romanzo, finalmente comprende la causa della follia di tutti coloro che si avventuravano nel cuore dell’Africa Nera. Al cospetto della Natura, l’uomo, ridotto a un minuscolo essere nel groviglio di vite brutale e brulicante, vede la sua corsa insensata verso denaro e potere. Impazzisce, irretito dal richiamo primordiale della Natura Selvaggia, smarrisce il senso raziocinante della civiltà.
La Natura Selvaggia dunque non fa solo da sfondo. E’ un vero e proprio personaggio attivo, un personaggio fondante nella trama della storia, in grado di definire e determinare il significato più profondo del romanzo di Conrad.
Non è, inoltre, una riflessione propria dello scrittore inglese, quello sulla Natura Selvaggia. Tanti anni prima, innumerevoli testimonianze sulla Natura incontaminata sono state lasciate da chi si addentrava per la prima volta nelle fitte foreste americane o attraversava le infinite praterie del continente d’oltreoceano. Persino oggi, la Natura selvaggia in America è percepita in modi ormai dimenticati dagli Europei e definita con un termine in particolare: Wilderness.
Questo concetto richiama una Natura in cui è possibile perdersi e perdere la vita. Non c’è nulla di ameno, nulla di rassicurante. Come la Natura dell’Africa Nera descritta da Conrad, la Wilderness è qualcosa di irrazionale, di caotico, innanzi al quale l’uomo non può che abbandonare i suoi schemi mentali indotti dalla civiltà e regredire al suo essere primordiale. La sopravvivenza è alla base di tutto, non v’è spazio per altro nella Wilderness e solo così l’uomo che ormai è abituato a vedere la Natura dietro il finestrino di una macchina o addirittura dietro lo schermo della tv, può giungere a staccarsi da tutto questo in un’esperienza assolutamente angosciante, straniante, sconvolgente. È un’esperienza estranea all' Europa, dove non è possibile perdersi in una foresta o incontrare insediamenti umani per miglia, ma in America spazi immensi permettono a quest’oscura signora di annidarvisi, percepita chiaramente da coloro che al suo dominio hanno strappato le loro terre.
Al concetto di Wilderness si sono ispirati molti registi e autori, nel corso del tempo. Apocalypse Now, di Francis F. Coppola si ispira direttamente a Cuore di Tenebra, per il resto basta guardare con attenzione i disturbanti film di Werner Herzog, come Fitzcarraldo e Aguirre, furore di Dio, cui lo stesso Francis Coppola ha dichiarato di essersi ispirato per Apocalypse Now. In entrambi i casi, si vede l’uomo al cospetto della Wilderness, con una perfetta riproposizione della visione di Conrad in Cuore di Tenebra. Basta però, assorbito il concetto, leggere un qualsiasi autore che scriva delle prime esperienze coloniali in America o in qualsiasi luogo ove la Natura non è ancora stata razionalmente confinata dalla civiltà. In ogni parola si percepisce la forza angosciante che la Wilderness esercita sull’uomo, il modo di percepirla, il senso di ignoto, di disorientamento, il fascino morboso per qualcosa di misterioso quanto fatale.
Clicca qui per conoscere una versione alternativa di Cuore di tenebra.
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