Quando alla fine del XIX secolo Émile Durkheim scrisse Le regole del Metodo Sociologico, non credo avrebbe mai pensato che una studentessa di comunicazione avrebbe utilizzato i suoi studi per analizzare un fenomeno sociale particolare come quello che porrò adesso in esame. Lo spunto per questo articolo è nato da una conversazione con lo staff del blog e da una curiosa lettura fatta negli ultimi mesi per farmi un’idea della tematica. Oggi parliamo dell’«Harmonizzazione». No, non stiamo parlando di teoria della musica, bensì di un fenomeno sociale che sta colpendo la popolazione di lettori da un anno a questa parte e, in larga fetta, si sta diffondendo maggiormente tra il campione femminile. Come dice la parola stessa di nostro conio – o meglio del nostro Valerio – ci riferiamo alla ripresa dei “valori” e delle tematiche promulgate dalla letteratura rosa, o meglio dalla collana Harmony.
Innanzitutto, chiariamo cosa si intende per Harmony: il termine oggi indica un vero e proprio genere letterario, conosciuto anche come romanzo rosa o letteratura femminile, nato agli inizi del Novecento e diffusosi in Italia a partire dagli anni '80, quando nacque l’omonimo marchio da una joint-venture tra la casa editrice canadese Harlequin Enterprise e la Mondadori (conosciuto anche come Harlequin Mondadori, che recentemente ha inserito titoli di genere più eclettico in catalogo, modificando anche l’aspetto grafico).
Di cosa parlavano gli harmony negli anni ’80? Amori passionali tra donne comuni e uomini prestanti - spesso corsari -, storie ambientate nel passato, in grado di far sognare le donne e vero e proprio vademecum di quello che esse cercano in un uomo. Ma sarà davvero così? A giudicare da quello che le donne leggono – specificando che mi chiamo fuori da questa fetta della popolazione femminile e che ad ogni modo trovo altamente fastidioso generalizzare – mi verrebbe da dire di sì. In trent’anni non è cambiato poi molto, se tra le donne si sostiene di voler uomo in stile “Christian Grey”: tutte vogliono l’uomo bello, ricco, virile e dominatore, che può donarti ogni cosa in cambio della mera soddisfazione sessuale (anni e anni di lotta per l’indipendenza femminile debitamente finite nelle tubature dopo aver tirato lo sciacquone).
Ma procediamo tentando un approccio più sistematico: analizziamo le dicotomie paradigmatiche presenti all’interno di questi romanzi.
Prima tra tutte, alla base di una qualsiasi storia harmony/erotica che si rispetti esistono i protagonisti, una donna (spesso anche narratore) e un uomo, molto diversi tra loro, se non antitetici, che per un motivo o per un altro cominciano una scabrosa relazione. La donna genericamente è giovane, riservata, pudica e con poca esperienza in fatto di uomini; l’uomo è di successo, colto, bello e soprattutto esperto in materia sessuale. All’inizio delle varie storie che ho letto, si parte con una situazione di netta inferiorità del genere femminile nei confronti di quello maschile, dove l’inferiorità non è di tipo sociale, ma più che altro psicologico. Il “maschio” ha il compito di istruire la donna a pratiche considerate estreme, mentre la “femmina” si lascia istruire consenzientemente sottomettendosi.
Altro paradigma, sempre basato sull’identità di genere, è quello della donna indifesa e dell’uomo protettivo: la protagonista generalmente è vittima di abusi, subisce delle aggressioni, e spetta al maschio alfa proteggerla ed eliminare/occuparsi del problema, nella perfetta riproposizione dei principi cavallereschi per cui ogni offesa all’oggetto del proprio amore è da considerarsi recata al cavaliere che lo detiene, che ha l’obbligo morale di sfidare a duello il reo e punirlo dell’azione. La cronaca quotidiana mette spesso in primo piano notizie di violenze sulle donne, ponendo spesso l’accento sulla domanda futile e inopportuna che rimane implicita nel messaggio veicolato: era possibile evitare l’accaduto o la donna se l’è cercata? A giudicare da quello che leggiamo, l’unica soluzione all’orda di odio che viene scagliato sulle donne è che queste abbiano la loro personale guardia del corpo rappresentata dal compagno, senza pensare che forse più efficace sarebbe cercare di educare al rispetto per l’essere umano in quanto tale, eliminando le inutili differenziazioni di genere, razza e religione.
Un’altra tematica messa in evidenza dai romanzi succitati è quella della differenza di status sociale dei protagonisti: generalmente la donna è una medio-borghese, che fatica ad arrivare a fine mese, si paga gli studi con impieghi saltuari e precari, veste male e non ha stile. Al contrario l’uomo è un uomo capace di costruire grandi imperi finanziari dal nulla, un enfant prodige che ama ostentare la sua ricchezza e vive la vita in modo sregolato, innaffiando il suo mini-giardino zen nel suo favoloso completo Armani. L’uomo è in grado di fare tutto e regalare tutto, la donna di contro è capace e affabile in poche attività, per lo più semplici e standardizzate.
Tutte queste dicotomie si traducono in un unico grande sistema di valori che, nell’epoca della donna manager e capace di autodeterminarsi, segna un profondo ripetersi del passato, a dimostrazione dell’esattezza della teoria dell’eterno ritorno di Nietzsche. Il patriarcato è ritornato in auge, - o, più probabilmente, non è mai davvero scomparso - suggerendo ancora una volta quanto sia legittimo che la donna sia succube dell’uomo, priva di qualsiasi identità e incapace di decidere della propria vita, inferiore perché trascinata solo dalla sfera emozionale poiché solo l’uomo è capace di utilizzare la ragione. In questa logica, la donna vorrà sempre accanto a sé un uomo che sia padrone della sua vita, mentre lei si deve adeguare a compiacerlo in qualsiasi cosa egli desideri.
Si assiste dunque, in campo letterario ma non solo, al ritorno ad una visione antiquata e già collaudata che non rende questa nuova letteratura erotica diversa da pagine e pagine scritte tra il Settecento e il Novecento. Se vogliamo, la questione della differenza sessuale è mitigata attraverso l’attribuzione di gravi traumi ai protagonisti maschili, che li spingono ad essere maniaci del controllo e a ricercare un appagamento sessuale di tipo inconsueto. Ecco perché le protagoniste femminili non riescono a stare lontane dai loro amati: senza dubbio si lasciano sopraffare dalla sindrome della crocerossina, immaginando che un giorno riusciranno a redimere il bad boy e a curare i suoi traumi. E così riescono a passar sopra alle violenze, ai tentativi di stupro e al pensiero che il proprio lui possa essere un assassino – se cercate un corrispettivo di questo tipo, lo trovate facilmente nella trilogia Crossfire. Inutile dire che nella vita la questione è più complicata: sarebbe tutto facilmente metabolizzabile o ci si allontanerebbe da certi individui? La risposta la lascio volutamente nell’aria.
Ciò che temo è la diffusione di un sistema di valori deviato che, a prescindere dalla valenza letteraria o meno dei prodotti che lo contengono, influenzi ancora una volta la visione della vita e le priorità di chi resta incantato da questi romanzi e piuttosto che leggerne i difetti si lascia “abbindolare” da quello che viene definito come l’oggetto del desiderio femminile, dimenticando i difetti e avvalendosi di un modello di perfezione maschile di dubbia esattezza. A queste donne consiglio vivamente di ripiegare su uomini imperfetti, ma proprio per questo affascinanti, presenti nelle pagine di Jane Austen, Charlotte ed Emily Brontë, che a distanza di due secoli restano ancora la più utile e fedele rappresentazione della realtà umana – anche se i loro personaggi vengono martoriati e riproposti in una luce diversa e addirittura sono stati oggetto di pubblicazione in una collana Harmony dedicata ai classici: spieghiamo a qualcuno che si tratta di romanzi di costume, non letteratura rosa.
Il problema è di più ampia scala. Non è solo la letteratura ad essere invasa da questi canoni, ma anche la pubblicità (cartacea e non), la televisione e il cinema. A meno che non si faccia completamente a meno di accendere il caro vecchio tubo catodico, è quasi impossibile imbattersi in una pubblicità – tanto più che ormai, anche prima di un clip musicale, su You Tube sono presenti i canonici quindici/trenta secondi di spot – nella quale si attesta la presenza del sistema di valori patriarcale/maschilista: prendete, ad esempio, le pubblicità dei profumi. La campagna 2012-2013 di Paco Rabanne relativa alle fragranze “One Million” e “Lady Million” incarna pienamente l’anima del nostro discorso. Nella prima versione, quella maschile, l’uomo è talmente potente da avere il mondo ai suoi piedi, ogni cosa che desidera si realizza schioccando le dita: è così per il denaro, l’auto sportiva, il successo, una donna e il fine la stessa in déshabillé. Cercando di fare un’analisi semiotica spicciola dello spot in questione, il valore aggiunto del possedere il profumo “One Million” è quello di diventare un uomo che ha successo in mille campi, da quello finanziario a quello sessuale. L’utilizzo del profumo, insomma, lo rende così sicuro di sé da portegli far conquistare il mondo. La versione femminile non è molto diversa: l’uomo sta guidando, ma la donna decide, sempre schiccando le dita, che è il suo turno e materializza lo sterzo nel posto passeggero, togliendolo all’uomo ed evitando che lui discuta trasformandolo in un cane. Ma l’uomo schiocca le dita e si rimaterializza nella parte posteriore dell’auto. Messaggio veicolato? La donna può credere di essere padrona delle proprie decisioni, ma in realtà l’ultima parola spetta all’uomo. Ecco cosa viene a crearsi se analizziamo le due pubblicità insieme utilizzando il quadrato semiotico:
Non si nota nessun cambiamento nella nuova campagna, dove la disponibilità della donna e l’onnipotenza del
maschio alfa vengono messi ancora più in risalto. Altri spot che veicolano lo stesso paradigma uomo onnipotente/donna compiacente sono quello della campagna per la fragranza “Invictus” (sempre Paco Rabanne) e “Eros” di Armani nei quali gli uomini ricordano pienamente i super palestrati e dotati delle copertine harmony. Naturalmente questi sono semplici esempi, poiché le pubblicità sfruttano molto questi meccanismi (pensate alla pubblicità della Saratoga). La linea non cambia nemmeno per la carta stampata: le riviste pullulano di immagini di donne in pose sessuali, preferibilmente sottomesse all’uomo. Anche qui è inevitabile non pensare alle locandine pubblicitarie che, insieme a ritratti poco realistici di famiglie felici dal sorriso smagliante, ribadivano la necessità di tenere le donne “al proprio posto”. Nulla dunque è cambiato, la disparità uomo-donne realmente inesistente continua ad essere il leitmotiv pubblicitario per eccellenza. Tanto più sono sessiste le campagne, maggiore possibilità hanno di risultare di successo.
maschio alfa vengono messi ancora più in risalto. Altri spot che veicolano lo stesso paradigma uomo onnipotente/donna compiacente sono quello della campagna per la fragranza “Invictus” (sempre Paco Rabanne) e “Eros” di Armani nei quali gli uomini ricordano pienamente i super palestrati e dotati delle copertine harmony. Naturalmente questi sono semplici esempi, poiché le pubblicità sfruttano molto questi meccanismi (pensate alla pubblicità della Saratoga). La linea non cambia nemmeno per la carta stampata: le riviste pullulano di immagini di donne in pose sessuali, preferibilmente sottomesse all’uomo. Anche qui è inevitabile non pensare alle locandine pubblicitarie che, insieme a ritratti poco realistici di famiglie felici dal sorriso smagliante, ribadivano la necessità di tenere le donne “al proprio posto”. Nulla dunque è cambiato, la disparità uomo-donne realmente inesistente continua ad essere il leitmotiv pubblicitario per eccellenza. Tanto più sono sessiste le campagne, maggiore possibilità hanno di risultare di successo.
La cosa che dovrebbe lasciare riflettere è che si sta cercando di persuadere il consumatore che il passato sia positivo rispetto al presente, che i suoi valori fossero più “sani” e contribuissero ad una maggiore stabilità sociale. E se prima si imboccavano le donne con la storia di come il principe ritrovò Cenerentola facendole calzare la scarpetta, oggi il “must have” è il tanto nominato Christian Grey. E per quanto sfacciata, perversa e trasgressiva – almeno in forma, non in sostanza - sia questa scelta dichiarata, ciò non fa altro che riproporre l’inconsistente dialettica servo-padrone che il passato ci ha abituato ad accettare come istituzionalizzata. Lasciamo che si pensi questo, ma ciò che le donne vogliono – e gli uomini lo sanno – è molto più complicato.
Articolo davvero bello. Ci pensavo anche io qualche mese fa, prima di entrare nel mondo dei blog, e sono d'accordo con te su tutto (soprattutto "anni e anni di lotta per l’indipendenza femminile debitamente finite nelle tubature dopo aver tirato lo sciacquone").
RispondiEliminaÈ davvero questo che le donne vogliono?
Me lo chiedo spesso, conoscendo davvero ragazze che vorrebbero un Christian Grey o che giustificano la violenza e la gelosia spropositata come "amore".
Nella pubblicità lo trovo anche un po' inquietante, ce ne sono alcune dove i modelli sono bambini e incarnano l'uomo sicuro di sé e padrone e la donna semplicemente un bel "soprammobile".
Tutto questo mi lascia senza parole.
Grazie mille, sono contenta che l'articolo ti sia piaciuto, Giulia. Vado molto fiera di quella frase che hai citato e proprio negli ultimi giorni me la sono ripetuta mentalmente non so quante volte - ho avuto a che fare con persone che non leggono e che, se lo fanno, si buttano sulle "Cinquanta sfumature" e ne dicono "è una bella storia d'amore". Quindi si, anch'io conosco molte di quelle ragazze.
EliminaPurtroppo il meccanismo pubblicitario ha i suoi capi salsi e lo sfruttamento dei vecchi valori, come dicevo, è basilare. Vedi quelle della Mix Muller o altro...
Articolo illuminante, davvero meraviglioso! Finalmente messo "su carta" ciò che ho sempre pensato!
RispondiEliminaGrazie mille, Vincenza. Lieta di aver dato voce anche al tuo pensiero!
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