venerdì 19 luglio 2013

Recensione: Le notti di Villjamur di Mark Charan Newton


Le notti di Villjamur - Mark Charan Newton
Rischiarata dalla fioca luce di un rosso sole morente, si erge fiera l’antica città di Villjamur, capitale di un impero ormai inerme di fronte alla minaccia di un’incombente era glaciale.
Mentre migliaia di persone cercano rifugio alle porte della città, tra le mura si discute animatamente del loro imminente destino. Ecco però che accade una tragedia e la figlia dell’Imperatore, Jamur Rika, deve salire al trono per governare la crisi. Ma i membri della sua corte non sono innocui come sembrano.
Nel frattempo, il macabro omicidio di un consigliere attira l’attenzione dell’Ispettore Rumex Jeryd, un rumel, una sorta di non-umano che può vivere per centinaia di anni e abita nella stessa città con umani, garuda simili a uccelli e inquietanti banshee, i cui pianti sconsolati preannunciano la morte.
Le indagini condurranno Jeryd a una rete di corruzione e a una turpe cospirazione che metterà in pericolo la vita di Rika e di sua sorella Eir, oltre che il futuro della stessa città di Villjamur.
Ma nel lontano Nord, dove il lungo inverno è già iniziato, fa la sua comparsa un pericolo anche più grande. Un’insidia che giunge da un altro mondo, contro cui qualunque potere, militare o magico, potrebbe rivelarsi inutile.
Sulle orme di scrittori come China Miéville e Richard K. Morgan, Mark Charan Newton segna con Le Notti di Villjamur l’inizio di un nuovo travolgente epic fantasy.
Editore: Gargoyle
Pagine: 530
Prezzo:  19.50 euro


Voto: 


“Se amate le Cornache del ghiaccio e del fuoco di George R.R. Martin, questo romanzo fa per voi”
Fantasy Book Review


Questa è la frase che mi ha spinta verso questo libro, ed è quindi quella da cui partirei per la mia recensione. C'è davvero qualcosa di George Martin in questo libro? Sì, ma purtroppo non in positivo. Per la sua trama, Newton parte dagli stessi presupposti di A Song of Ice and Fire (ASOIAF), ossia un regno alle prese con un'imminente glaciazione e sprovvisto di un vertice forte, a causa dell'improvvisa morte dell'imperatore e delle conseguenti lotte interne per il potere. A peggiorare il tutto si aggiunge una minaccia proveniente dal nord, qualcosa di nuovo, che mai nessuno ha affrontato, ma che sta generando schiere di profughi dalle terre più settentrionali dell'impero. Per contrastare il pericolo viene inviata la Guarnigione della Notte, un manipolo scelto di soldati la cui divisa è -indovinate un po'- nera.
Fin qui, la trama si adatta perfettamente sia a ASOIAF sia a Le notti di Villjamur. Newton varia poi
l'entità della minaccia che si profila al nord - che per non anticiparvi nulla non vi svelerò - però, sulla scia delle “analogie” con Martin, non si scorda dei morti-viventi che inserisce comunque nella narrazione.
A difesa dell'autore va detto che, nonostante le evidenti scopiazzature, da questi presupposti ha comunque saputo creare un'opera piuttosto originale e non del tutto negativa; tralasciati momentaneamente i numerosi punti deboli della narrazione, ci sono interi capitoli - soprattutto nell'ultima parte- e perfino alcuni personaggi che sanno incuriosire il lettore, e spronarlo ad andare avanti per scoprire cosa accadrà. Questo dipende principalmente dal fatto che Newton è riuscito a costruire un mondo interessante e plausibile, che è sempre la base di un fantasy che si rispetti. Stranamente, dopo aver assolto un simile compito con sufficiente bravura, l'autore si è arenato e non è stato altrettanto bravo a muovere le sue creature all'interno di questo mondo.
La prima cosa che infastidisce e genera un po' di caos nel lettore è che tutto è dato per scontato. Newton inventa tantissime creature e oggetti particolari, e di ognuno dà il nome ma non la descrizione. Abbiamo quindi garuda, rumelidi, gheni, pterodette e via dicendo, ma non sappiamo cosa siano - quasi da qualche parte esista un prequel o una guida che abbiamo dimenticato di acquistare. I garuda, pesenti fin dal primo capitolo, vengono descritti solo a pagina 130, altri invece non sapremo mai come sono fatti. Una nota divertente sono le banshee, e qui si inizia a parlare delle tante cose inutili del libro: queste infatti sono un gruppo di donne che dopo aver avuto una visione su una persona morente, si recano nel luogo dove avviene il fattaccio e, a morte avvenuta, gridano. Oltre alla trama, Newton ha cercato di ispirarsi a Martin anche per lo stile, tentando di ricreare le cupe atmosfere medievaleggianti e crudeli di quest'ultimo, come pure la sua propensione a sbarazzarsi, con una vena sadica, di qualsiasi personaggio. Ciò che risulta non è altro che una
scrittura quasi parodica. Cercando di riprendere il clima brutale di ASOIAF l'autore finisce per portarlo esageratamente al limite, così da ritrovarsi con una città, Villjamur, in cui ogni vicolo descritto è sede di spacciatori e di ubriaconi, ogni casa è abitata da prostitute o donne lascive di vari gradi sociali e tutto è fatiscente e losco, tranne il palazzo imperiale e la casa dell'Inquisitore Jeryd, dove, come in una sorta di isola felice, si respira amore e buon senso. Continuando sul modello del “rendiamo il libro più turpe” c'è una dose di erotismo molto scadente che pervade qualsiasi cosa; le donne nominate, tutte quante, sono lascive e piene di desideri da appagare con chiunque, e non accade mai che due persone di sesso opposto si incontrino senza dare il via a una serie di provocazioni di tipo sessuale, se non un vero e proprio coito. L'apice si raggiunge verso la fine, quando uno dei personaggi, il giovaneTyrst,si trova a comprare determinate cose da una vecchina sconosciuta che oltre al pagamento pretende anche di veder soddisfatte le proprie voglie. Oppure nel momento in cui la principessa accetta senza batter ciglio di perdere la sua verginità in un vicolo nei quartieri poveri di Villjamur.
Un altro modo in cui Newton cerca di degradare il suo mondo è il linguaggio sboccato. Di nuovo tutti i personaggi, dalla principessa Eir allo sbandato Denlin, hanno una padronanza di imprecazioni e parolacce degna dei peggiori scaricatori di porto. Non importa a chi vi rivolgiate o in che occasione vi troviate, a Villjamur se non inserite volgarità in ogni frase non vi ascoltano nemmeno a palazzo.
Al di là di questo tentativo maldestro di rendere tutto tetro e cattivo, il linguaggio è basilare. Non ci sono errori, questo no, ma molti passaggi sono troppo infelici e il testo sembra spesso slegato, a volte è addirittura contraddittorio, creando una lettura piuttosto pesante.
Veniamo ora ai personaggi. A parte Jeryd, l'Inquisitore che indaga su una serie di crimini commessi dentro la città, e che risulta piuttosto interessante, gli altri sono banali e spesso noiosi. Sono in tutto e per tutto simili al vicino di casa o alla cuoca della mensa, non hanno nulla di particolare, sono scarsamente caratterizzati e, come accennavo sopra, la decisione di farli parlare tutti allo stesso modo contribuisce ad appiattirli. In certi punti si rasenta addirittura la comicità. Prendiamo uno dei protagonisti, Brynd: lui è albino, e si premura di informarci ogni dieci minuti che per questo motivo nessuno si fida di lui, che tutti lo guardano come fosse un fenomeno da baraccone e lo evitano come avesse la peste, cerca continuamente di suscitare un senso di simpatia nel lettore tramite la compassione. Dopo tutte queste lamentele ci si aspetterebbe un reietto che vive alla giornata: ebbene, Brynd è il Comandante della Guarnigione della Notte. Ma non solo: il suo grado gli conferisce il controllo di tutte le truppe imperiali.
I dialoghi sembrano quasi uno scherzo, sono banali e la maggior parte delle volte inutili e molto poco realistici, spesso nemmeno coerenti, e ci si trova pertanto con un personaggio che fa una domanda e con il suo interlocutore che risponde qualcosa di totalmente fuori luogo. Per riprendere Brynd, a pagina 112, si reca da Jurro - un personaggio che viene introdotto inutilmente perché tanto non avrà nessun ruolo nel libro se non quello di esistere - ed esordisce con un: “Mi avete fatto chiamare?”. L'aspettativa è che Jurro abbia qualche particolare comunicazione per il comandante, invece il capitolo si conclude dopo una serie di vagheggiamenti filosofici sulla vita, senza che niente di sensato venga detto da ambo le parti.
Coerentemente con l'esistenza di questi dialoghi inutili ci sono anche intere scene altrettanto irrilevanti al fine della trama. A pagina 146 l'Inquisitore Jeryd si reca dal “medico legale” per conoscere i risultati dell'esame di un nuovo cadavere. Non trovandolo, lo raggiunge in una specie di tempio dove i due scambiano ancora convenevoli casuali e poi si lasciano dandosi appuntamento in obitorio. Ma a che serve un capitolo simile se non a spazientire il lettore? Non fa conoscere il carattere dei personaggi e non aggiunge nulla di nuovo alla narrazione, perché non levarlo?
Al contrario della maggior parte dei fantasy, questo è un romanzo che attrae il lettore fin dalle prime frasi, per poi respingerlo sempre più, pagina dopo pagina, a causa dell'incredibile lentezza dell'azione. Per capitoli interi non accade assolutamente nulla. Si recupera un po' di piacevolezza nei capitoli finali, ammesso che siate in grado di arrivarci.


Mark Charan Newton (1981)
a ventitré anni entra a far parte del mondo editoriale lavorando come editor di fantasy e fantascienza per il mercato inglese e americano. Le notti di Villjamur è il primo volume della saga Le leggende del sole rosso.

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