giovedì 21 febbraio 2013

Recensione e intervista: Di mamma ce n'è più d'una di Loredana Lipperini




Lettura di fine gennaio ma che, per i miei onerosi impegni universitari, riesco a scrivere solo ora: il nuovo libro di Loredana Lipperini, Di mamma ce n'è più d'una, uscito ieri per Feltrinelli al prezzo di 15.00 euro (320 pagine), mia prima lettura davvero femminista esclusa forse Una donna di Sibilla Aleramo. Nonostante sia sempre stata femminista, nel mio piccolo, questo saggio ha sconvolto persino quelle che ritenevo le mie vedute molto aperte. Riporto un caso, nella recensione, piuttosto emblematico e per cui anche io mi sarei schierata dalla parte degli "aguzzini", se non in maniera acerrima -perché la perdita di un figlio è tanto traumatica da non poter essere seviziata- sicuramente dando dentro di me ragione a chi sostiene che una madre non può dimenticare un figlio piccolo perché occupata a lavorare, per poi twittare in diretta mentre lui è agonizzante in ospedale. Molte cose, leggendo questo libro, mi hanno aperto gli occhi sulla considerazione che si ha in questo paese e nel mondo del ruolo di madre: un ruolo che viene costantemente associato al sacrificio in virtù della sua "naturalità". E' naturale essere madre, è naturale sacrificarsi per i figli, e, se non lo fai, non sei una brava madre. Rifiuti il tuo ruolo, ciò per cui sei nata.
Sono rimasta basita e sinceramente sconvolta dalle testimonianze riportate nel saggio: donne umiliate in sala operatoria, fustigate e colpevolizzate, derise e calunniate per delle scelte personali. Abortire, non allattare, perfino scegliere l'epidurale per non soffrire durante il parto. Sembra facile condannarle, non stanno adempiendo al loro ruolo. Non sono brave madri, e allora perché hanno deciso di essere madri? L'arma più semplice è mirare al senso di colpa: il bambino non crescerà bene, sarà infelice. Quindi tu, donna, ritirati nelle tue stanze, allatta, gioca coi bambini, fai di loro il senso della tua vita, e, quando diventano grandi, continua a rimanere loro attaccata. La mamma non si tocca mica.
Ho molte cose da dire su questo libro, e ne ho dette già in abbondanza. Ringrazio Loredana Lipperini per la gentilezza concessami con l'intervista, che trovate sotto la recensione, in cui vengono esplicati ulteriori nodi della questione. Vorrei che, indipendentemente dalla pubblicazione del libro, venisse fatta una seria riflessione, attraverso queste parole, sull'esigenza di cambiare atteggiamento e mentalità verso le donne. La Lipperini è una che ci prova, e che vale la pena di leggere.



Image and video hosting by TinyPicDi mamma ce n'è più d'una - Loredana Lipperini
Il Palazzo d’Inverno di Pechino era luogo di meraviglie e splendore. Ma il suo nome era anche Città proibita. L’imperatore della Cina, che deteneva il potere più alto, era prigioniero del suo palazzo, proprio in virtù di quel potere. Anche la maternità è un Palazzo d’Inverno: dove è splendido aggirarsi ma da dove non si può uscire. Per secoli, anzi, è stato l’unico potere concesso alle donne, e oggi torna a essere prospettato come il più importante: l’irrinunciabile, anzi. Lo ribadiscono televisione, giornali, libri, pubblicità, blog: perché volere tutto se si può essere madri, possibilmente perfette? Alle donne, in nome del nuovo culto della Natura, si chiede dolcemente di allattare per anni e di dedicare ogni istante del proprio tempo ai figli: si dice loro che tornando a chiudersi in casa, facendo il sapone da sole e lasciando libero il proprio posto di lavoro salveranno il paese, e forse il mondo, da una crisi economica devastante. Oppure, se proprio vogliono lavorare, devono diventare "mamme acrobate" in grado non solo di conciliare lavoro e famiglia, ma di farlo con il sorriso sulle labbra e la battuta pronta, magari per raccontarsi su blog che sono il territorio di caccia preferito per tutte le aziende che producono passeggini e detersivi. Intanto, nell’Italia dove il mito del materno è potentissimo, per le madri si fa assai poco sul piano delle leggi, dei servizi, del welfare, dell’occupazione, dell’immaginario: e nella riproposizione dei cliché sembra profilarsi per le giovani donne quella che potrebbe non essere più scelta, ma Destino. Ma invece di unirsi, le donne si spaccano. Le fautrici dei pannolini lavabili contro le “madri al mojito”, che non disdegnano una vita sociale e lavorativa accanto agli impegni genitoriali. Le madri totalizzanti contro le madri dai mille impegni. Natura contro cultura. Femminismi contro femminismi, anche...


Voto: 


Femminismo negli anni dieci sembra a certuni una parola retrograda, antiquata. Quasi del femminismo non ci fosse più bisogno dopo la rivoluzione sessuale, pretesto per riconoscere alle donne una parità che non è mai arrivata e che le ha invece viste vittime di un nuovo pregiudizio.
Delle donne c’è invece la stessa concezione vigente negli scorsi anni ’50: il dono più bello che possa ricevere è un figlio, la maternità è un valore imprescindibile, mentre quelle che pensano alla carriera, che rifiutano o rimandano questa grande opportunità, sono delle arriviste senza scrupoli o, peggio, vanno compatite.
La donna resta quindi legata al suo ruolo di madre:  lei, grembo soffice dove sorge la vita, deve sottostare ed autocompiacersi della sua mansione “naturale”, obbedendo ad una logica del sacrificio che la costringe ad immolarsi sull’altare del bene dei figli. Rinunciare al lavoro per assistere i bambini nei primi anni di vita, se non è strettamente reso necessario dalle politiche maschiliste delle aziende che mal tollerano le gravidanze, lo diventa comunque per un’ instancabile pressione sulla coscienza delle neo-mamme:  allattare fino ai tre anni, seguire costantemente i pargoli, accorrere ad ogni loro pianto senza lasciarsi sopraffare dal sonno. Ma la libertà di decidere come essere madri –pena la colpa di allevare figli infelici o imperfetti- non è l’unica che viene tolta alla fragile primipara: se non desiderate un bambino probabilmente incontrerete notevoli difficoltà ad abortire. Dai movimenti per la vita che espongono negli ambulatori manifesti con foto di feti e scritte “mamma, ti voglio bene” ai frequentissimi obiettori di coscienza, le esperienze delle donne che abortiscono sono traumatiche: trattate come mostri, giudicate, vittime di cattiva informazione, mal indirizzate.
Perché la maternità è sacra e la donna, nel momento in cui diventa madre, non è più donna.

Questi  e moltissimi altri gli argomenti e le argomentazioni del nuovo libro di Loredana Lipperini, Di mamma ce n’è più d’una, in uscita da ieri per Feltrinelli: femminista, giornalista e scrittrice, conduttrice del noto programma di Radio 3 Fahrenheit, la Lipperini è al suo terzo ma non ultimo romanzo sul femminismo. Affronta le tematiche più spinose di una questione che, in Italia, è lastricata da morale cattolica, maschilismo, perbenismo e più che in ogni altro paese osteggia la realizzazione personale delle donne: la maternità. Non perché questa sia un ostacolo –l’autrice stessa è madre-, ma perché lo diventa a causa di una politica volta esclusivamente a minare le poche conquiste realizzate dalle donne. Pregiudizi che vigono ancora, nonostante abbiamo ormai superato la soglia del Terzo Millennio, e da cui non riusciamo a liberarci. La donna-madre è messa costantemente sotto accusa: pensare a se stessa prima che ai propri figli è uno scandalo inaccettabile. La Lipperini riporta alcuni casi estremi di maternità sotto torchio: quello, per esempio, di una blogger americana che ha raccontato in diretta su twitter le ore angosciose prima della morte del proprio bambino, caduto in piscina mentre lei pensava alla sua attività, e che è stata additata e maltrattata senza pietà per la sua disattenzione in virtù del blogging. Ma anche esempi decisamente a noi più vicini e quotidiani: l’impiegata delle poste che si lamenta perché ormai le madri pensano a se stesse, i commenti nei forum per cui “perché se queste donne che odiano allattare e non possono rinunciare a manicure e cinema mettono al mondo dei figli…”. Rinunciare è la parola d’ordine. Dolore è la parola-chiave. Rinunciare a se stesse e soffrire, perché la sofferenza è l’unica via per realizzare la piena soddisfazione del ruolo materno: quindi niente epidurale (“sei una frustrata arrogante, l’epidurale dovrebbero fartela in dosi massicce tutto il giorno, così ti rilassi. Continua a imbottirti di roba chimica, da brava ragazza. Sei suddita del progresso medico, incapace di affrontare il tuo corpo e la sua natura…”, oppure: “Il primario sono io e decido io, se dovessimo operare tutte le donne al primo lamento, figuriamoci! E’ che tutte le femmine moderne il dolore non lo vogliono sentire, e invece è scritto pure nella Bibbia partorirai con dolore!”), niente cesareo, gravidanze necessarie e aborti osteggiati, poi a casa ad allattare per anni.

Il resoconto del libro è traumatico: le esperienze riportate mi hanno toccato profondamente, la realtà paradossale del web e della tv, il bigottismo manifestato da medici e dalla gente comune mi ha profondamente aperto gli occhi su una realtà che non conosco, ma che ho trovato allarmante. Il confronto con l’estero, imbarazzante, non fa altro che accentuare una situazione catastrofica.
Ancora di più, oltre alle statistiche e alle testimonianze, mi ha colpito la dura verità  che anche io, sempre dalla parte delle donne, non fossi esente al 100% da questi pregiudizi: dare per scontato che una madre debba pensare prima di tutto al figlio, e poi a se stessa, è una concezione talmente radicata che nemmeno io l’avevo mai veramente messa in dubbio. Un dato di fatto inossidabile.
Ma è qui che Loredana Lipperini comincia a minare certe certezze, mettendo in luce la mostruosità di un comportamento che non solo fa della madre una santa, ma che la tiranneggia se così non è o non desidera esserlo. Oltre a scarsi o inesistenti interventi statali, sono i giudizi, spesso e volentieri delle altre donne, a destabilizzare la solidità famigliare e la stabilità psicologica della mamma: ricerche che sembrano voler sottolineare a tutti i costi  l’importanza della sua figura nella primissima infanzia, necessità di destreggiarsi tra lavoro e figli ai danni (presunti) di questi ultimi, colpevolizzazione della donna per il suo interessamento alla carriera e derisione e compatimento se non ha figli. Viene dipinto un quadro obiettivo, con dati alla mano, che lascia perplessi e sconcertati: anche perché spesso, la livrea di madre, viene esibita quasi fosse una qualità aggiunta, un livello più alto. Il messaggio che passa è “se non sei madre, non sei”. E quando lo sei devi contemporaneamente essere perfetta, smagliante e sorridente anche se affaticata: è questo che sembra risultare dalla moda delle mom-blogger, che hanno lanciato un vero trend in Italia e all’estero e sono spesso prede del marketing delle grandi aziende.

Di mamma ce n’è più d’una è quindi un’inchiesta, pragmatica e ragionevole, su una realtà sconcertante e a noi troppo vicina. Caratterizzato da un’amplissima pluralità (gli argomenti vanno dal fraintendimento della figura di Jane Austen, al matrimonio, all’aborto, alla rete, al marketing, al ruolo dei padri) il saggio professa una grande e inattaccabile necessità: liberare la maternità di ogni aspettativa, ogni abuso, ogni pregiudizio, ogni politica perbenista, ogni terrorismo perpetrato dai medici, dagli attivisti cattolici, dalle ostetriche e dalle altre madri. Un libro scritto per le donne e le madri, che scandalizzerà i più ortodossi su una pericolosissima verità: la maternità non è un problema naturale, ma culturale. 



Interview with...

Loredana Lipperini




Ciao Loredana, grazie mille per aver accettato l’intervista. Di mamma ce n’è più d’una è il tuo terzo libro sul femminismo: quali sono i punti di contatto e le differenze con i due precedenti?

Ciao Malitia, grazie a te! Dunque: la struttura è il sostanziale punto di contatto: come in Ancora dalla parte delle bambine e in Non è un paese per vecchie, ho provato a raccontare l’immaginario che riguarda le donne, e in questo caso le madri: sono sempre stata convinta che se non si conoscono i simboli, nessuna riforma politica e sociale riuscirà a essere davvero efficace, e comunque non per molto tempo. Basti pensare a quello che si chiama, tecnicamente, gender backlash, ovvero l’onda di riflusso delle conquiste delle donne: è, mi sembra, sotto i nostri occhi. Quanto alle differenze: questo è un argomento enormemente più complesso. Proprio perché l’icona del materno è un tabù: guai a chi tocca la Madre. Guai a mettere in discussione l’istinto materno. Elisabeth Badinter, la filosofa francese che ha provato a farlo (come, prima di lei, Simone de Beauvoir) è stata massacrata. Eppure, a me sembra che sostituire la parola “istinto” con la parola “amore” dovrebbe essere infinitamente più rassicurante.

Nel libro analizzi la figura della donna in quanto madre, due facce che sembrano inscindibili l’una dall’ altra: quanto è forte questa connessione in un paese come il nostro e quali sono le differenze con l’estero?

E’ molto più forte. Non solo in Italia, ma soprattutto in Italia. Nel libro riporto una ricerca    dell’European Value Study  realizzata nel 2008, dove si chiedeva a donne e uomini se veniva condivisa l’affermazione secondo la quale i bambini in età prescolare soffrono se la loro mamma lavora. In Italia hanno risposto sì il 75% degli intervistati. Quote analoghe a quelle italiane sono presenti in Portogallo (69% circa) e Grecia (72% circa). In assoluto, nei paesi fortemente segnati da una confessione religiosa si è convinti che la presenza della madre sia indispensabile per i bambini fino a tre anni e più. Anzi, che quei bambini siano danneggiati da una madre lavoratrice. Nelle 32 nazioni dove gli intervistati condividono questa visione, la relazione fra percentuale di cattolici e ortodossi e necessità dell’altissimo contatto materno è evidente. E questa è la motivazione più rilevante, credo. Considera anche che in Italia si fa praticamente coincidere femminile, materno e sacro. Michela Murgia ha ripercorso, in Ave Mary, tutti i nodi dell’identificazione delle donne italiane con Maria: specie con la Mater dolorosa, dolorosissima, che senza sofferenza non può esistere.

I metodi educativi e le scelte per la crescita e il benessere del bambino mettono in crisi le neo-mamme, bombardate da messaggi pubblicitari e soprattutto da politiche che le vogliono in casa ad accudire pargoli il più a lungo possibile, facendo leva sul senso di colpa. Qual è il vantaggio di tutto ciò? Perché le donne non vengono invece incoraggiate a lavorare, incrementando la forza lavoro?

Per i motivi che ti esponevo sopra. E perché le madri sono bombardate da ricerche apocalittiche sulle conseguenze che un bambino che frequenta l’asilo nido potrebbe avere crescendo: invece, è vero il contrario, ovvero che al nido si sviluppano maggiori competenze e maggiori attitudini alla vita sociale. Ma il punto non è questo. Il punto è che le donne dovrebbero poter scegliere se rimanere in casa con i figli (e il vantaggio sociale c’è: con un welfare inesistente, le mamme  fanno le veci di asili nido carenti, tempo pieno scolastico quasi azzerato, e così via) o lavorare. Di fatto, la scelta non c’è: rimanere incinte significa ancora, nel 2013, rischiare di perdere il lavoro. Non si licenzia (non ufficialmente), ma non si rinnovano contratti atipici, per esempio. E gli asili nido, come detto, sono pochissimi, in barba a tutte le raccomandazioni europee.

Hai parlato anche di Jane Austen e della sua “interpretazione” moderna presso il pubblico femminile e non solo. Ci riassumi brevemente il tuo pensiero e le motivazioni per cui viene vista come un’autrice che parla solo di amore e matrimoni?

 Mi sono sempre chiesta perché una (grandissima) scrittrice come Austen, che Virginia Woolf aveva soprannominato “l’attizzatoio” venisse identificata come la capostipite del romance. E’ vero, nei libri di Austen si parla di coppie, ma si parla soprattutto di matrimoni. come scrisse Pietro Citati,  “in una società di classe come quella in cui le eroine di Jane Austen vivono, non d'amore si tratta, ma di patrimoni e matrimoni, che si combinano a seconda del reddito.” Dopo di che, benissimo leggerla anche in chiave esclusivamente sentimentale, intendiamoci: non intacca il suo genio. Però, sarebbe bello coglierne anche l’ironia, la lucidità, i legami col gotico. Solo che la miriade di libri post-austeniani mira in una sola direzione: esistono persino manuali su come trovare marito fondandosi sui romanzi di Austen, per dirne una.


Il mondo dei blog, soprattutto quello delle mamme, è un altro aspetto da te affrontato negli ultimi capitoli. Sembra che condizione indispensabile per tenerne uno di successo sia una natura “acrobata” e il riuscire a districarsi tra mille impegni, pappe e riunioni scolastiche con il sorriso sulle labbra, quasi beandosi della propria condizione. Secondo te quanto di autentico c’è in blog simili?

Più che di autenticità, parlerei di assalto ai mom-blog da parte del marketing aziendale. E’ qualcosa di già visto in altri ambiti, ma essendo i blog delle mamme i più numerosi, il fenomeno è ancora più evidente rispetto a food-blogger e fashion-blogger. Dopo il successo dei primi blog che raccontavano ironicamente, o umoristicamente addirittura, il “ma come fa a far tutto” della madre acrobata, i marchi di prodotti per bambini hanno quasi fagocitato i blog con sponsorizzazioni, inviti a convention, offerta di testare passeggini e pannolini. Di conseguenza, è nato un intero filone: a volte spontaneo, a volte creato per calcolo e ambizione. Detto questo, non si può neanche generalizzare: i blog sono tanti quante sono le madri, ed esiste anche un codice di autoregolamentazione che evidenzia quali blog fanno uso di pubblicità e quali no. Detto anche questo, sarebbe bello che i blog medesimi venissero usati per fare fronte comune più spesso, invece di cedere al corteggiamento delle aziende. Il più delle volte per un piatto di lenticchie.

L’intero libro è percorso dalla constatazione che sono spesso le donne –madri, ginecologhe, attiviste- a scagliarsi contro altre donne, giudicandole con un senso di superiorità e volendole relegare, forse anche più degli uomini, al ruolo di madre. Perché non esiste un clima di collaborazione? Cosa spinge le donne a crocifiggere le proprie simili?

Simone de Beauvoir avrebbe risposto che è il risentimento delle schiave. Sono passati settant’anni dal suo Il secondo sesso. Pochi, per fare i conti con una condizione antica. E’ vero, il branco femminile è tuttora feroce e pronto a scagliarsi contro altre donne molto più spesso di quanto non avvenga fra gli uomini. Ma io ho fiducia soprattutto nelle generazioni più giovani: penso che ci sia abbastanza forza e consapevolezza per ribaltare la situazione.


Scriverai il prossimo libro, sempre sul femminismo, con Michela Murgia, autrice tra l’altro di Ave Mary, sul ruolo della donna nella Chiesa. Com’è nata questa collaborazione?

Michela e io ci vogliamo bene e ci stimiamo e siamo in sintonia su molti argomenti.La collaborazione è recentissima: Laterza ci ha chiesto se avevamo voglia di scrivere un pamphlet sul femminicidio. Era dicembre e io ero a Courmayeur per la riunione di giuria del Premio Scerbanenco. Abbiamo accettato e il libro è stato terminato mentre Michela era a sua volta in Val d’Aosta, il che sembra un segno del destino. Uscirà ad aprile, si chiama “L’ho uccisa perché l’amavo” ed è un breve saggio sulle parole, che sono sempre pietre, ma nel caso dei femminicidi ancora di più.

Sei un’affermata giornalista e una scrittrice, ma anche tu una madre. Molte delle tue esperienze, comprese quelle dolorose, sono riportare in questo libro. Quanto ti ci è voluto per liberarti dai dubbi e dalle preoccupazioni di cui fai cenno in Di mamma ce n’è più d’una?

Ma io non me ne sono liberata affatto. Penso che difficilmente si riesca a svincolarsi da dubbi e preoccupazioni e ferite: la maternità è sempre sottoposta a giudizi, critiche, fragilità. Finchè, almeno, non si accetta l’imperfezione. Con una differenza: negli anni Settanta, le madri venivano incoraggiate a sentirsi forti (penso ai libri, bellissimi, di Marcello Bernardi). Oggi sono soprattutto bersagli: devono essere impeccabili e, soprattutto, allevare e ostentare impeccabili figli. E’ molto più difficile, e le giovani mamme sono molto più sole.

Quali sono state le letture che hanno formato il tuo pensiero femminista?

La già molto citata Simone de Beauvoir, Il secondo sesso. Elena Gianini Belotti, Dalla parte delle bambine. E poi Ida Magli, di cui sono stata allieva. E Virginia Woolf, e Katherine Mansfield, e Austen medesima. Solo per fare pochi, pochissimi nomi.

Ultima domanda: hai fatto un paio di brevi accenni ai blog letterari e al fatto che spesso non si sottraggono alla recensione compiacente per paura di “perdere l’occasione” con le case editrici. In quale misura hai osservato questo fenomeno? Che ruolo hanno oggi, secondo te, i blog letterari?

Punto dolente. Sì, ho accennato al fatto che un fenomeno simile a quello delle mom-blogger avviene con i blog letterari. Non è un mistero che le case editrici puntino molto sui medesimi: ma non considerano “influencer” quelli che parlano di cultura e letteratura quando e come vogliono, bensì quelli che sono ben disposti a pubblicare il comunicato stampa o la recensione benevola. Notavo che nelle quarte di copertina si citano sempre più spesso i lit-blog e meno i giornali. Bene, questo è un punto di enorme forza che dalle blogger (sono quasi tutte donne, ormai) andrebbe sfruttato al massimo: per ribadire la propria autonomia, e non limitarsi alla copia omaggio o al contatto con l’editore che può tornare utile, si sa mai. Deve pur esistere una via di mezzo fra promozione o semplice vis polemica, tra adesione incondizionata agli uffici marketing e voglia di flame. Siete brave, siete tante: unitevi, no?



Loredana Lipperini
è nata a Roma, collabora con le pagine culturali di “Repubblica”, conduce il programma Fahrenheit su Radio3, scrive sul blog Lipperatura.it. Con Feltrinelli ha pubblicato Ancora dalla parte delle bambine (2007) e Non è un paese per vecchie (2010).

1 commento:

  1. penso che ogni genitore, madre o padre, dovrebbe mettere il bene dei figli al primo posto e ciò non significa annullare se stessi (anzi credo che chi si annulla non faccia bene ai propri bambini).non è mai facile e non è facile capire quale sia il bene dei figli e ogni genitore ha le sue idee..non credo ci sia un solo modo di essere un bravo genitore..e chi allatta al seno e/o sta a casa non è di per sè una madre nè migliore nè peggiore di chi lavora e/o sceglie per varie ragioni, il latte atificiale. Credo comunque che oggi come oggi i figli se si fanno si fanno perchè li si vuole nella stragrande maggioranza dei casi il che certamente non esclude ambivalenze, problemi, difficoltà

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