Salve a tutti, e benvenuti ad
un'altra puntata de “Il tempio degli Otaku”. Oggi torniamo indietro nel tempo,
e dico sul serio: andiamo infatti alla fine degli anni '50. A
quell'epoca i manga erano quasi un fenomeno di nicchia, un po' come il rock
'n'roll prima dei Beatles: il target principale erano i bambini. Solo a loro
erano indirizzate le opere di grandi come Osamu Tezuka (di cui abbiamo già
ampiamente parlato) e le poche riviste in circolazione. Inoltre, i volumetti
potevano essere letti quasi solo in biblioteca.
Sotto la spinta di alcuni autori,
quindi, cominciò a formarsi un nuovo movimento artistico, che si proponeva di
creare storie per un pubblico più adulto: il gekiga. Il suo ideatore fu
Yoshihiro Tatsumi: e parleremo proprio di lui oggi, in quanto ha fatto un'autobiografia
– a fumetti, ovviamente – in cui racconta di questa fantastica avventura, che
ha contribuito a formare l'industria dei manga come la conosciamo ora. Signore
e signori, “Una vita tra i margini” di Yoshihiro Tatsumi. Buona lettura!
Il manga copre un arco di tempo
piuttosto ristretto, all'incirca dal 1948 al 1960, in cui seguiremo le
vicende dell'alter ego di Tatsumi, Hiroshi Katsumi. Lo vedremo evolversi
da ragazzino alle prime esperienze di disegno - insieme al fratello Okimasa -
alla creazione del gekiga, risultato di una carriera fatta di alti e bassi e
degli stimoli prodotti dalle opere occidentali, soprattutto in ambito
cinematografico.
“Una vita tra i margini” ha toni
molto pacati, quasi rassegnati. Come ogni artista che si rispetti, l'autore mette
l'accento non sul risultato, non sulla grande opera finale, ma a come ci
si è arrivati, senza tralasciare nessun tassello. Molto spazio, ad esempio,
viene dato ai primissimi tentativi di Hiroshi, che consistono nel partecipare a
quanti concorsi possibili di “cartoline manga”, ossia brevissime composizioni
di carattere umoristico. Esperienze altamente formative, che lo porteranno
addirittura a conoscere Osamu Tezuka, per cui nutre una vera e propria
venerazione. In seguito, vedremo Hiroshi
“affilare le armi”: studiare le varie tecniche di disegno, leggere classici,
guardare i film appena arrivati dall'Occidente.
La stessa cura viene usata al
momento di parlare degli aspetti pratici del lavoro di mangaka. Viene
sottolineato, ad esempio, come avere un ambiente confortevole, lontano il più
possibile da stress e distrazioni, sia fondamentale per ottenere buoni
risultati, come imparerà a sue spese il protagonista alle prese con i vizi di
Tokyo. Non vengono dimenticate, inoltre, anche le conseguenze che questo lavoro
– all'epoca così inusuale – comporta:
ritmi di lavoro estenuanti, non avere reali garanzie di successo e, in
alcuni casi, di paga, rinuncia quasi totale alla propria vita sociale.
Tutto questo rende l'opera forse
più appetibile a chi è interessato agli stimoli creativi e ne ha vissuti in
prima persona. Non bisogna mai dimenticare, infatti, che l'autobiografia è fatta
da un artista che parla di un artista.
Affiancate alle imprese
artistiche del nostro abbiamo poi diversi riferimenti alla realtà dell'epoca:
si parla spesso di film appena usciti – con tanto di riproduzione
dettagliatissima di locandine – di libri, e naturalmente di eventi storici, che
si concentrano più che altro sul difficile rapporto tra il Giappone e gli Stati
Uniti nel dopoguerra. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, però, spesso
il compito di questi avvenimenti nell'opera è soltanto di contestualizzazione
temporale; non a torto, perché è piuttosto facile perdere il filo del discorso
e rendersi conto in altro modo del passare del tempo.
Soprattutto per quanto riguarda i
fatti “reali”, infatti, questi non hanno influenza sulla vita di Hiroshi,
totalmente preso dalla febbre dei manga, come dice anche il titolo dell'opera.
“Una vita tra i margini”, infatti, può avere due significati: il primo, quello
letterale, si riferirebbe ai margini del foglio disegnato. Una vita vissuta tra
e per i manga, quindi. Se però i margini fossero quelli della società? Il
nostro, come dimostrano le sue povere storie d'amore, non ha dimestichezza con
quella che un giapponese definirebbe una vita normale, costituita dal lavoro in
ufficio, una bella casa, una famiglia, ecc.
Ma queste, ci tengo a
sottolinearlo, sono mie interpretazioni personali, in quanto il titolo inglese,
“A Drifting Life” - “Una vita trasportato dalla corrente” - racconta
tutt'altro: del ruolo tutto sommato marginale che Tatsumi ritiene di aver avuto
per i manga. Sia che si guardi al vero finale dell'opera, coincidente con il
naufragio del gekiga, che al flashforward ambientato dopo la morte di Tezuka
(1995) la fa da padrone un fortissimo pessimismo. Lo stesso vale
leggendo la postfazione, in cui l'autore rivela le sue perplessità su sé
stesso, sul suo operato, e su come ancora oggi il suo movimento venga osteggiato
dal pubblico “per bene”, a tal punto che il nostro è sinceramente sorpreso
dell'interesse all'estero per le sue opere. Tra parentesi, l'Italia non è tra
le nazioni coinvolte, come dimostra la deprimente bibliografia in calce al
volume, che comprende quasi esclusivamente opere del sempiterno Tezuka.
Come mai il giovane ed entusiasta
Hiroshi, capace di discutere violentemente con il fratello-rivale sui suoi
ideali di manga, è diventato l'adulto disilluso della fine del volume?
Sicuramente il gekiga gioca un ruolo cruciale, in quanto nella sua breve vita
si susseguono una sequenza di eventi negativi tali da mettere in crisi
il nostro sognatore. Tanto per cominciare, l'ostilità del progetto da parte
della casa editrice di fiducia di Hiroshi, che li porta a rompere i rapporti;
dopodiché, gli interessi economici ed egoistici degli autori in causa, che non
hanno la stessa passione e dedizione del loro capo. Dulcis in fundo, una severa
campagna di demonizzazione da parte di chi, non capendo che quello non è il
target di riferimento, si lamenta della violenza delle opere per bambini. Non
so a voi, ma a me ricorda molto la battaglia combattuta a casa nostra negli
anni '90 sugli anime... evidentemente la storia si ripete. In ogni caso, questo
è abbastanza per portare alla fine del progetto di “un manga che non è un
manga” e, a conti fatti, al passaggio definitivo tra l'adolescenza e l'età
adulta.
Il tratto di Yoshihiro
Tatsumi è molto semplice: fisionomie elementari dai pochi tratti distintivi,
sfondi poveri, utilizzo quasi nullo dei retini. E', però, uno stile versatile,
che diventa estremamente realistico quando si tratta di descrivere fatti al di
là della vita ristretta di Hiroshi, come le manifestazioni politiche o i film.
In questi frangenti, decisamente, si vede tutto il bagaglio tecnico
dell'autore, che dà il meglio di sé. Ottima anche la costruzione della tavola,
molto cinematografica e sempre al servizio della storia.
Nonostante la mole non
indifferente dell'edizione italiana di Bao Publishing – dal prezzo non modico,
ma di buona qualità - “Una vita tra i margini” si fa leggere molto rapidamente,
senza mai stancare o annoiare. Forse non tutti gli eventi narrati saranno
successi davvero in quel modo, tuttavia il titolo è un ottimo spaccato dei
manga, e del Giappone, degli anni '50. Un'opera perfetta per chi è interessato
a scoprire il cammino di questa forma d'arte nella storia.
...E con questo è tutto, cari
amici. Arrivederci alla prossima volta, con il Tempio degli Otaku!
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