mercoledì 27 febbraio 2013

Mondadori e il precariato, la protesta inascoltata di 51 dipendenti


A cura di Lamia.



In Italia, ormai, la parola precario è una triste realtà con cui moltissimi si trovano a dover fare i conti. Dove inizi la necessità di un datore di lavoro e dove, invece, sia pura e semplice speculazione resta però da verificare. Che dire quindi di un colosso come Mondadori, un gigante dell'editoria, che si basa in modo sistematico sul precariato? Necessità? In pochi ci credono.
La situazione dei quasi 300 lavoratori atipici della casa editrice -che si protrae da anni- ha conosciuto una grande visibilità grazie al caso Giulia Ichino – Chiara di Domenico, che purtroppo, come spesso avviene, anziché porre l'accento su un problema importante da risolvere al più presto, si è spostato su quello più gestibile delle raccomandazioni e del nepotismo. Per chi non avesse seguito le cronache, in breve: la signora di Domenico fa parte dei “quasi dipendenti” di Mondadori, e chiamata a parlare del suo ruolo di precaria ad un incontro con il Pd, ha raccontato la sua storia e quella di tanti come lei. Per concludere l'analisi della situazione, la signora ha poi accennato anche ai tanto famosi raccomandati, tirando in causa Giulia Ichino, figlia del politico Pietro Ichino, grazie al quale sarebbe entrata giovanissima in Mondadori con un posto fisso. Se la raccomandazione ci sia effettivamente stata, non sta a me dirlo, né voglio scendere nei dettagli, poiché il quesito ben più importante, che emerge forte e chiaro dalle parole della di Domenico è:
“Perchè i lavoratori non hanno tutti gli stessi diritti?”.
Purtroppo, a questa domanda nessuno ha prestato attenzione, né il giorno dell'incontro, né quelli seguenti, nella solita infantile convinzione che se non guardi il problema, lui non guarderà te, e poi chissà, magari si risolverà da solo. Soltanto lo scorso 20 febbraio è stata data una risposta che non è tale: attendere il rinnovo del contratto collettivo nazionale Grafici Editoriali, senza la garanzia che questo risolverà alcunché.  Ancora una volta il problema dei lavoratori precari è stato abilmente schivato e posticipato, a quando non si sa.
Cogliendo al volo la scappatoia fornita dal nome Ichino, il dibattito si è quindi spostato sul terreno più sicuro dei raccomandati, finendo per diventare, anche tramite il contributo dei media, lo scontro Chiara di Domenico – Giulia Ichino, e perdendo completamente di vista lo scopo principale dell'intervento.
Eppure il precariato a Mondadori esiste da tempo e oltre a non garantire nessuna sicurezza per il futuro dei lavoratori, è estremamente scorretto: molte di queste persone vivono da anni grazie a un susseguirsi di contratti a progetto, ad altre è stato addirittura imposto di crearsi una partita IVA, che le identifica pertanto come freelance con prestazioni di servizio dipendente, nonostante di datore di lavoro ne abbiano uno soltanto. Quello del lavoratore parasubordinato è un tipo di contratto che la legislazione stessa fa fatica a definire ed è pertanto più facile limitare i diritti dei "quasi dipendenti" a favore del loro datore di lavoro.
Parliamo di fatto -senza tanti giri di parole- di lavoratori sfruttati. La presa in giro è ancora più accentuata dal constatare che a Mondadori non sono tutti lavoratori atipici, tutt'altro. Questa enorme disparità fra persone che condividono lo stesso ambiente lavorativo e le stesse mansioni è inspiegabile e non ha alcuna ragione di esistere. Mondadori è un colosso nel mondo dell'editoria, non ha giustificazioni per questo suo comportamento, se non una poco professionale ed egoistica volontà di guadagnare il più possibile a discapito dei suoi stessi dipendenti, mancanza che si palesa anche nel non voler rispondere alla lettera, che cinquanta di questi lavoratori, facendosi portavoce di tutti e 300, hanno scritto, chiedendo spiegazioni e condizioni di lavoro migliori, e che potete leggere sotto.
Fra questi precari ci sono vari tipo di professionalità lavorative che Mondadori richiede e ottiene ma non riconosce. Quale datore di lavoro può avere una mancanza di rispetto così grande verso i suoi dipendenti? Non è forse merito dei dipendenti se la casa editrice ha raggiunto le dimensioni e gli introiti che ha?
Stiamo anche noi in attesa insieme ai suoi precari, augurandoci che qualcosa si muova e che il gigante guardi finalmente verso il basso e si accorga di chi lo tiene in piedi.



Siamo 50 lavoratori atipici della casa editrice Mondadori e riteniamo essenziale portare all’attenzione generale quello che è il vero problema nella gestione del personale dell’azienda in cui lavoriamo, al di là delle pretestuose polemiche - non esenti da strumentalizzazioni politiche - circa l’assunzione di Giulia Ichino, persona il cui valore e la cui correttezza sono fuori discussione.
La questione vera è un’altra: da anni la casa editrice non assume più a tempo indeterminato e basa la sua poderosa produzione sul lavoro parasubordinato, ma illegalmente non riconosciuto come tale, di una schiera di lavoratori a progetto. Un organico ombra, che assicura all’azienda la presenza quotidiana e la competenza per pubblicare i libri senza averne in cambio alcuna garanzia.
Non basta. Mondadori ha approfittato della recente legge Fornero, che restringe i parametri per la stipula di nuovi contratti a progetto, per precarizzare ulteriormente i lavoratori delle redazioni, imponendo loro di aprire la partita Iva o di prestare il proprio lavoro attraverso l’intermediazione di un’agenzia interinale.
A fronte di ciò, ci siamo uniti per proporre all’azienda una soluzione alternativa all’esternalizzazione selvaggia, che preveda la trasformazione delle collaborazioni autonome in rapporti di lavoro subordinato, anche rinunciando ad alcune delle prerogative di questi rapporti, e rispettando la necessità di evitare aumenti di costo e di rigidità per l’azienda. Tutti insieme e tutti d’accordo abbiamo chiesto anche una consulenza al professor Ichino, certamente uno dei massimi esperti in materia.
La nostra proposta è stata trasmessa all’azienda con una lettera raccomandata dello scorso 18 gennaio. Chiedevamo una risposta entro 15 giorni. Ebbene, quel termine è scaduto ma la risposta, finora, è stata solo un ferreo silenzio, mentre proseguono i contatti con i singoli per la firma dei nuovi contratti di esternalizzazione.

Lunedì, 11 Febbraio 2013

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