Articolo di Tonino Mangano
"Pensava
soltanto a quello. Riportare la sua vita a quel punto. Nel punto dove si era
interrotta. Si trattava di unire due lembi di terra, due lembi di tempo. In
mezzo c'era il mare. Si metteva i fichi aperti sugli occhi per ricordarsi quel
sapore di dolce e di grumi. Vedeva rosso attraverso quei semi. Cercava il cuore
del suo mondo lasciato".
Farid e Jamila fuggono da una guerra che corre
più veloce di loro. Angelina insegna a Vito che ogni patria può essere terra di
tempesta, lei che è stata araba fino a undici anni. Sono due figli, due madri,
due mondi. A guardarlo dalla riva, il mare che li divide è un tappeto volante,
oppure una lastra di cristallo che si richiude sopra le cose. Ma sulla terra
resta l'impronta di ogni passaggio, partenza o ritorno che la scrittura, come
argilla fresca, conserva e restituisce. Un romanzo di promesse e di abbandoni,
forte e luminoso come una favola.
“Mare al mattino” presenta
due storie differenti l’una dall’altra svolte entrambe nel corso dei tre capitoli
che compongono il romanzo. Nel primo capitolo, intitolato “Farid e la gazzella”,
si parla della vita di un bambino, Farid, e della tragica storia occorsa alla
sua famiglia in Libia, in una delle ultime oasi del deserto sahariano. Il
pathos di questo primo capitolo raggiunge il suo apice nel racconto dell’esodo
di massa cui sono costretti i pochi superstiti della guerra civile, scenario
non molto distante dal nostro presente, anzi reso attualissimo dai nomi di
personalità che si ritrovano nell’intero romanzo e che siamo abituati a sentire
quotidianamente tramite i mezzi di informazione.
Il secondo capitolo, “Color silenzio”, presenta una scena differente. È la
storia di Vito, un ragazzo siciliano, figlio di Italiani nati e cresciuti nel
Maghreb. Quest’ultimo capitolo potrebbe suddividersi ulteriormente in due
parti: un flusso di coscienza e la narrazione in discorso indiretto della nonna
e della madre di Vito. Le due ricordano il periodo della loro vita vissuta tra
gli odori del suq, tra le palme e le sabbie del mare sabbioso del Sahara, prima
di imbarcarsi attraverso l’inferno blu, il mare. Sarà nella seconda parte del
capitolo che le due donne e Vito ritorneranno a Tripoli, rivivendo e
riconoscendo luoghi e volti della loro vita precedente.
Il terzo ed ultimo capitolo riveste l’importanza che ogni finale di un romanzo inevitabilmente
acquista. Si narra infatti l’epilogo della vicenda di Farid e di sua madre
durante la traversata dello Stretto di Sicilia, nel disperato tentativo di
fuggire dall’inferno attraversandone un altro.
Vito, invece, riesce finalmente a trovare il suo posto nel mondo, il luogo che
pensa gli si addica più degli altri, un luogo conservato nella memoria e che
non ha connotazioni fisiche. Vito ha infatti un compito da assolvere:
conservare le memorie di coloro il cui nome è perso tra le correnti marine, il
cimitero di speranze inappagate. Solo un sacchetto portafortuna, un semplice
ricordo, unirà, in questa storia semplice ma profonda, le vite dei due ragazzi.
Il libro dimostra delle qualità tipiche di molti scrittori italiani
contemporanei: la brevità e la profondità che solo un discorso conciso riesce a
dare al tema trattato.
La storia sembra essere l’insieme delle sensazioni relative al tempo, alla
memoria e agli eventi che si susseguono nel corso del romanzo e, più in
generale, nella vita di ogni individuo.
Si avverte quindi la nostalgia della casa, lo strappo del cuore allo svellersi
delle radici, le difficoltà dei viaggi di fortuna e l’ancora più complicata
necessità di riuscire ad integrarsi in un mondo del tutto diverso dal proprio.
Non meno importante è il ricordo. La memoria che brucia rovente come le sabbie
del deserto o che rende liberi come le gazzelle che lo abitano.
Come da titolo, lo stesso mare diviene cornice e protagonista delle tante vite dei
personaggi della vicenda. All’inizio del libro viene identificato da Farid come
una meta distante, rivestita di promesse e bellezza dalla curiosità del
bambino. Successivamente si avverte però il contrasto tra la vita tranquilla
passata a contatto con il deserto e l’effetto nauseabondo che la distesa
d’acqua provoca durante la traversata. È proprio in questo contrasto che si
avverte la tragicità della vicenda: l’anelare la vista del deserto liquido, la
sorpresa del raggiungerlo e poi la conclusione, segnata dalla sventura che la
“nuova” scoperta del mare arreca. Tuttavia è proprio da questo mare mortifero, che
si erge a supremo giudice di innumerevoli vite umane e si presenta con uno
splendido ma non meno terrificante aspetto, che scaturisce una maggiore coscienza
di sé stessi, a partire dalla consapevolezza del mondo che ci circonda e
sovrasta con le sue luci e le sue ombre.
Tramite una storia semplice
come quella di Farid e Vito, la Mazzantini è quindi riuscita a penetrare nell’animo di
diversi personaggi, separati non solo dal mare, ma dagli stili di vita e di
pensiero. Sono due personaggi che riportano alle due facce differenti dello
stesso problema: le traversate e gli
sbarchi clandestini e la volontà di non dimenticare le stragi che si perpetrano
nei paesi in via di democratizzazione. In mezzo c’è il mare, l’unica via di
salvezza, una possibilità remota di ricominciare una nuova vita, al prezzo di insidie
spaventose.
La narrazione è scorrevole e
l’uso di termini appropriati e specifici rispetto alle aree geografiche
descritte rende la storia più verosimile. La verosimiglianza è suffragata
inoltre dalle coordinate e dalle nozioni storiche impiegate per
contestualizzare al meglio le vicende che si intrecciano nel corso del romanzo.
È una lettura adatta a un pubblico molto vasto, che può rivolgersi a lettori abituali,
ma anche ai saltuari. Vi si trovano infatti una storia profonda e dalle ben
esposte verità storiche, verità attuali sviluppate in un lasso di tempo
particolarmente breve capace per altro di render onore al piacere della lettura
e all’informazione che ne deriva.
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