mercoledì 27 novembre 2013

Recensione: Mare al mattino di Margaret Mazzantini

Articolo di Tonino Mangano

"Pensava soltanto a quello. Riportare la sua vita a quel punto. Nel punto dove si era interrotta. Si trattava di unire due lembi di terra, due lembi di tempo. In mezzo c'era il mare. Si metteva i fichi aperti sugli occhi per ricordarsi quel sapore di dolce e di grumi. Vedeva rosso attraverso quei semi. Cercava il cuore del suo mondo lasciato". 

Farid e Jamila fuggono da una guerra che corre più veloce di loro. Angelina insegna a Vito che ogni patria può essere terra di tempesta, lei che è stata araba fino a undici anni. Sono due figli, due madri, due mondi. A guardarlo dalla riva, il mare che li divide è un tappeto volante, oppure una lastra di cristallo che si richiude sopra le cose. Ma sulla terra resta l'impronta di ogni passaggio, partenza o ritorno che la scrittura, come argilla fresca, conserva e restituisce. Un romanzo di promesse e di abbandoni, forte e luminoso come una favola. 
 

“Mare al mattino” presenta due storie differenti l’una dall’altra svolte entrambe nel corso dei tre capitoli che compongono il romanzo. Nel primo capitolo, intitolato “Farid e la gazzella”, si parla della vita di un bambino, Farid, e della tragica storia occorsa alla sua famiglia in Libia, in una delle ultime oasi del deserto sahariano. Il pathos di questo primo capitolo raggiunge il suo apice nel racconto dell’esodo di massa cui sono costretti i pochi superstiti della guerra civile, scenario non molto distante dal nostro presente, anzi reso attualissimo dai nomi di personalità che si ritrovano nell’intero romanzo e che siamo abituati a sentire quotidianamente tramite i mezzi di informazione. 

Il secondo capitolo, “Color silenzio”, presenta una scena differente. È la storia di Vito, un ragazzo siciliano, figlio di Italiani nati e cresciuti nel Maghreb. Quest’ultimo capitolo potrebbe suddividersi ulteriormente in due parti: un flusso di coscienza e la narrazione in discorso indiretto della nonna e della madre di Vito. Le due ricordano il periodo della loro vita vissuta tra gli odori del suq, tra le palme e le sabbie del mare sabbioso del Sahara, prima di imbarcarsi attraverso l’inferno blu, il mare. Sarà nella seconda parte del capitolo che le due donne e Vito ritorneranno a Tripoli, rivivendo e riconoscendo luoghi e volti della loro vita precedente. 
Il terzo ed ultimo capitolo riveste l’importanza che ogni finale di un romanzo inevitabilmente acquista. Si narra infatti l’epilogo della vicenda di Farid e di sua madre durante la traversata dello Stretto di Sicilia, nel disperato tentativo di fuggire dall’inferno attraversandone un altro. 
Vito, invece, riesce finalmente a trovare il suo posto nel mondo, il luogo che pensa gli si addica più degli altri, un luogo conservato nella memoria e che non ha connotazioni fisiche. Vito ha infatti un compito da assolvere: conservare le memorie di coloro il cui nome è perso tra le correnti marine, il cimitero di speranze inappagate. Solo un sacchetto portafortuna, un semplice ricordo, unirà, in questa storia semplice ma profonda, le vite dei due ragazzi. 
Il libro dimostra delle qualità tipiche di molti scrittori italiani contemporanei: la brevità e la profondità che solo un discorso conciso riesce a dare al tema trattato.
La storia sembra essere l’insieme delle sensazioni relative al tempo, alla memoria e agli eventi che si susseguono nel corso del romanzo e, più in generale, nella vita di ogni individuo. 
Si avverte quindi la nostalgia della casa, lo strappo del cuore allo svellersi delle radici, le difficoltà dei viaggi di fortuna e l’ancora più complicata necessità di riuscire ad integrarsi in un mondo del tutto diverso dal proprio. 
Non meno importante è il ricordo. La memoria che brucia rovente come le sabbie del deserto o che rende liberi come le gazzelle che lo abitano.
Come da titolo, lo stesso mare diviene cornice e protagonista delle tante vite dei personaggi della vicenda. All’inizio del libro viene identificato da Farid come una meta distante, rivestita di promesse e bellezza dalla curiosità del bambino. Successivamente si avverte però il contrasto tra la vita tranquilla passata a contatto con il deserto e l’effetto nauseabondo che la distesa d’acqua provoca durante la traversata. È proprio in questo contrasto che si avverte la tragicità della vicenda: l’anelare la vista del deserto liquido, la sorpresa del raggiungerlo e poi la conclusione, segnata dalla sventura che la “nuova” scoperta del mare arreca. Tuttavia è proprio da questo mare mortifero, che si erge a supremo giudice di innumerevoli vite umane e si presenta con uno splendido ma non meno terrificante aspetto, che scaturisce una maggiore coscienza di sé stessi, a partire dalla consapevolezza del mondo che ci circonda e sovrasta con le sue luci e le sue ombre.
Tramite una storia semplice come quella di Farid e Vito, la Mazzantini  è quindi riuscita a penetrare nell’animo di diversi personaggi, separati non solo dal mare, ma dagli stili di vita e di pensiero. Sono due personaggi che riportano alle due facce differenti dello stesso problema: le  traversate e gli sbarchi clandestini e la volontà di non dimenticare le stragi che si perpetrano nei paesi in via di democratizzazione. In mezzo c’è il mare, l’unica via di salvezza, una possibilità remota di ricominciare una nuova vita, al prezzo di insidie spaventose.

La narrazione è scorrevole e l’uso di termini appropriati e specifici rispetto alle aree geografiche descritte rende la storia più verosimile. La verosimiglianza è suffragata inoltre dalle coordinate e dalle nozioni storiche impiegate per contestualizzare al meglio le vicende che si intrecciano nel corso del romanzo. È una lettura adatta a un pubblico molto vasto, che può rivolgersi a lettori abituali, ma anche ai saltuari. Vi si trovano infatti una storia profonda e dalle ben esposte verità storiche, verità attuali sviluppate in un lasso di tempo particolarmente breve capace per altro di render onore al piacere della lettura e all’informazione che ne deriva.

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