venerdì 1 novembre 2013

Il tempio degli otaku #92: "Le bizzarre avventure di JoJo: Diamond is Unbreakable"



Salve a tutti, e benvenuti ad una nuova puntata de “Il Tempio degli Otaku”! Potremmo dire che l'ospite di oggi oramai ci ha fatto le tende in questa rubrica, visto che è la quarta volta che è qui: ma levarsi di torno, no? No, perché nonostante le sue storie siano l'apoteosi del trash, del citazionismo spinto, della violenza gratuita, dei personaggi che non capisci se ci sono o ci fanno, rimangono sempre godibili e divertenti, e perciò degne di menzione. Bando alle ciance, quindi: il manga di questa settimana è “Le bizzarre avventure di JoJo: Diamond is Unbreakable” di Hirohiko Araki. Buona lettura (di nuovo)!

Josuke Higashikata è un ragazzino comune, o meglio lo sarebbe se questo fosse uno shonen come tutti gli altri. Figlio di una relazione illegittima tra una donna e il protagonista delle saghe precedenti, il vecchio Joseph Joestar, conduce una vita normale nella tranquilla cittadina di Morio-cho. Fino a quando irrompe suo zio, Jotaro Kujo (un'altra vecchia conoscenza), a comunicargli che: a) anche lui ha uno stand, proprio come i suoi parenti; b) Morio-cho, a dispetto delle apparenze, raggruppa un numero imprecisato di portatori di stand. Alcuni di loro potrebbero usare i loro bizzarri poteri in maniera innocua, ma che succede se questi capitano nelle famigerate mani sbagliate, come - esempio a caso -  un serial killer che opera proprio nei paraggi? A Josuke, i suoi parenti, e i suoi amici scoprirlo, con le buone o con le cattive...

Se per caso voi quattro gatti che mi seguite avete letto anche le altre serie made in Araki sapete che la narrazione non è decisamente il suo punto forte. Tuttavia in “Diamond is Unbreakable” - o “Diamond is not Crash”, come una storica ed esilarante traduzione amatoriale – si passa il limite. Detto francamente, il primo volume è quasi illeggibile: personaggi che spiegano ai loro interlocutori la loro stessa vita (“Sei nato a X... hai vissuto a Z...”), narratori che sanno tutto di tutti, nemici che per motivi assurdi si fissano proprio con i protagonisti.... Stendiamo un velo pietoso, perché sono buona e soprattutto perché questa è una recensione positiva. Per fortuna dal secondo volume la situazione migliora gradualmente, fino a ristabilirsi del tutto con il quarto volume, e non essere più vittima di cali narrativi.

Si possono dire tante cose delle saghe di JoJo, ma non che siano l'una la fotocopia dell'altra; ed anche questa non fa eccezione. La differenza la fa l'ambientazione, sopratutto per quanto riguarda la serie precedente, “Stardust Crusaders”, dove la storia si svolgeva in diversi luoghi del mondo. Qui, invece – ispirato forse a serial occidentali come “Twin Peaks” - rimaniamo sempre a Morio-cho, che impariamo a conoscere come le nostre tasche. Stand dopo stand, infatti, scopriremo leggende locali, negozi, punti di ritrovo, ecc. E' un'ambientazione realistica, che fa da contrappeso alla stravaganza delle vicende narrate.
Già che siamo in argomento, spendiamo due parole anche sugli stand ed i combattimenti, il vero punto di forza di JoJo. L'andazzo si era intravisto anche prima, ma mai come ora Araki si sbizzarrisce nel creare poteri talmente assurdi da essere geniali: si va dal poter utilizzare le onomatopee come arma al ricostruire la faccia per scopi sentimentali, passando per la capacità di leggere – letteralmente – le persone come libri aperti. E l'elenco potrebbe andare avanti a lungo. Va da sé, perciò, che gli scontri siano fondati non sulla forza fisica, bensì su come avere ragione dell'altro utilizzando l'astuzia e l'ambiente circostante. Aiutano poi le diverse citazioni sparse qua e là, ennesimo marchio di fabbrica: oltre a quelle musicali (ritorneremo sul discorso dopo), adesso c'è anche il cinema – ad esempio una rievocazione della famosa scena della carrozzina ne “La corazzata Potemkin -  i libri, e perfino la mitologia, con il mito di Orfeo ed Euridice. La varietà non manca di certo.

Per quanto riguarda i personaggi, invece, bisogna dire che la situazione non è così semplice. I protagonisti sono degli “eroi per caso”, che non prendono scientemente atto del pericolo che aleggia sulla città, bensì si ritrovano coinvolti loro malgrado: sono gli portatori di stand che provocano lo scontro – a volte con cognizione di causa, a volte no – e non viceversa. Ovviamente, essendo dalla parte dei buoni, in loro c'è anche una parte consistente di altruismo, ma non certo l'epicità del tipico protagonista shonen che sacrifica tutto per la giustizia. No: i nostri personaggi sono uno studente la cui più grande passione è la sua capigliatura (Josuke), il suo amico senza arte né parte, che però paradossalmente sarà quello che crescerà di più nel corso della storia (Koichi), un altro amico ha un grandissimo potere, ma è anche altrettanto stupido (Okuyasu), ed infine un mangaka mezzo alter ego dell'autore che non c'è proprio tutto con la testa (Rohan Kishibe). Ci sono altri personaggi ricorrenti, che hanno perfino delle side stories a loro dedicate, ma non sono veri e propri protagonisti. Per quanto riguarda gli JoJo, il loro ruolo è marginale e, soprattutto nel caso di Jotaro, viene da chiedersi quanto fossero necessari per la storia e quanto per incrementare le vendite.
Alcuni antagonisti minori si distinguono in positivo (la stalker Yukako, ad esempio), altri durano lo spazio di un combattimento e poi tornano di nuovo nell'anonimato. Diverso, per fortuna, è invece il caso del super cattivo Yoshikage Kira, lui sì con delle motivazioni concrete per le sue azioni – se poi sono involontariamente divertenti, beh, quella è un'altra storia – e realmente capace di calamitare l'attenzione degli spettatori. Non ha il carisma del buon vecchio Dio Brando, e nemmeno le sue ambizioni, ma si difende bene, sopratutto in questo panorama così piatto.

Il tratto di Araki si affina sempre di più con il passare delle serie. Partito come una brutta copia di Tetsuo Hara (“Ken il Guerriero”) adesso lo troviamo alle prese con fisici longilinei, grande cura nei retini e nelle sfumature, inquadrature dinamiche e cinematografiche. E poi scusate un attimo: Kira è la copia sputata del fantastico (e bellissimo) David Bowie... che cosa volete di più?

… E con questa parantesi bimbominkiosa si conclude questa puntata. Arrivederci alla prossima volta, con il Tempio degli Otaku!


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