venerdì 8 novembre 2013

Recensione: Cronache Marziane di Ray Bradbury

Recensione di Tonino Mangano

L'arrivo degli "alieni terrestri" sul Pianeta rosso, l'incontro e lo scontro fra due civiltà e due maniere di intendere la vita e l'universo. I racconti estrosi e poetici di uno scrittore che ha travalicato la narrativa di genere per approdare alla grande letteratura.

Ray Bradbury, narratore americano contemporaneo distintosi per la sua verve artistica in tema di fantascienza, regala in Cronache marziane l’ennesimo scorcio delle sue grandi capacità “profetiche” che si materializzano sotto forma di pensieri concisi e nitidi.
Proprio come nel più conosciuto Fahrenheit 451, Bradbury pone il lettore di fronte a un ipotetico futuro - che di ipotetico ha solo le vicende – con un sottofondo tematico e  un contesto semi-apocalittico dalle tinte grigie e dal carattere verosimile che spiazza chiunque si accinga alla lettura.
La serie di racconti di Cronache Marziane, che potrebbero apparire slegati tra loro, è ambientata in un futuro che ormai, in gran parte, è divenuto presente. Le vicende, infatti, si sviluppano in un arco temporale che abbraccia la fine degli anni ’90 e termina nel 2026. Tutto il ciclo di storie - narrate dal punto di vista di più personaggi calati in contesti geografici e temporali differenti l’uno dall’altro - si impianta sulla scena delle esplorazioni e delle successive colonizzazioni del pianeta rosso, Marte, l’ennesimo limite da superare che si presenta all’uomo dopo lo sbarco sulla luna.
Le storie che Bradbury ci presenta si potrebbero definire anche un po’ tetre, ma sicuramente filtrate da una luce di “stranezza” e sature di riflessioni riguardanti la vita dei terrestri, le loro azioni, i loro rapporti con le nuove esperienze e le nuove forme di vita. In poche parole, il narratore tenta di dipingere con la sua opera le sensazioni, alle volte anche contrastanti, che sorgono nell’animo umano quando si ritrova dinanzi all’ignoto, a un nuovo cammino da intraprendere, con i suoi timori e le sue speranze.
Particolare rilievo hanno nei racconti due elementi: la paura e la sfiducia nella colonizzazione di Marte da parte degli uomini a danno delle forme di vita autoctone e la rottura operata dai futuri coloni nei confronti della loro vecchia patria.
Per quanto riguarda il primo punto, si rimarca l’importanza del rispetto per il diverso, quel riguardo che deriva da un’ammirazione nei confronti di un’altra civiltà che ha dimostrato un approccio diverso alla vita rispetto agli esploratori dello spazio. Insieme a questa riflessione si avverte però una cupa sensazione di misantropia che ci spinge a credere che lo stesso Bradbury avrebbe scoraggiato una colonizzazione di un nuovo mondo – se fosse possibile - proprio per evitare irreparabili danni alle popolazioni indigene. In questa considerazione si rivede un’aperta denuncia al comportamento eccessivamente possessivo dell’uomo nell’appropriarsi di ciò che non gli appartiene e di cui potrebbe godere anche solo condividendone i benefici. Dell’uomo e della sua civiltà vengono mostrate varie negligenze non trascurabili, in grado di condurre alla distruzione un intero pianeta. Ne consegue, da parte dell’autore, un netto disprezzo per l’eccessivo carico che l’uomo impone alla Natura.
A questa visione dell’uomo in chiave negativa, si aggiunge il desiderio, da parte di quelli che saranno i coloni di Marte, di erigere un muro tra loro e i terrestri.  Strappare le proprie radici non è tuttavia un rimedio a tutti i mali. È sempre difficile voltare le spalle alle proprie origini, al mondo in cui si è cresciuti all’ombra di certe abitudini e modi di vivere. Marte, di contro, costituisce la possibilità di voltare la pagina del libro dell’esistenza, un finale alternativo per la tragica fine che l’essere umano infliggerà al proprio mondo. Ne deriva un conflitto interiore incessante  ed è questo Bradbury descrive: l’attaccamento alla Terra, ma allo stesso tempo il desiderio di distaccarsi dal suolo natio. Nonostante ciò, il richiamo della “patria” è sempre molto forte.
L’attrattività di questo libro e di tutte le opere di Ray Bradbury risiede nella capacità dell’autore di giudicare in modo imparziale – forse un po’ troppo – la società del XX e del XXI secolo. Una società che ha intrapreso un viaggio sempre più spedito sui binari dell’abuso e del massiccio avanzamento tecnologico. A differenza di Fahrenheit 451, in Cronache Marziane non è l’alienazione della natura umana a catturare la critica dell’autore, ma l’uso smodato della tecnologia, della fame di conoscenza e del consumo delle risorse necessarie al continuo processo di modernizzazione. Si comprende bene come l’autore non voglia assolutamente marchiare negativamente lo sviluppo, tuttavia da queste pagine appare evidente il bisogno di ribadire ai posteri l’importanza della moderazione.

La bellezza dei testi di Bradbury risiede quindi nel saper comunicare messaggi decisamente attuali tramite la presentazione di scorci temporali che non sembrano avere nessuna relazione con il nostro presente, il tutto con una maestria che pochi autori del genere sanno vantare. Sembra giocare sulla capacità di suscitare emozioni ed evocare immagini nel lettore tramite un linguaggio lineare e l’uso esperto di un susseguirsi di eventi che si intrecciano tra loro sulla base di temi ricorrenti. Il saltare da una storia a un’altra e tra varie epoche e spazi, permette poi all’autore di fare sfoggio di una fantasia fuori dal comune e concede per altro al lettore la possibilità di interromperne la lettura e riprenderla in seguito senza risentire della difficoltà di ripercorrere i vari eventi.

Voto: 

1 commento:

  1. Questo è il genere di libro adatto a me! Allunghiamo la lista *_*

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