Recensione di Tonino Mangano
L'arrivo degli "alieni terrestri" sul
Pianeta rosso, l'incontro e lo scontro fra due civiltà e due maniere di
intendere la vita e l'universo. I racconti estrosi e poetici di uno scrittore
che ha travalicato la narrativa di genere per approdare alla grande letteratura.
Ray Bradbury,
narratore americano contemporaneo distintosi per la sua verve artistica in tema di fantascienza, regala in Cronache marziane
l’ennesimo scorcio delle sue grandi capacità “profetiche” che si materializzano
sotto forma di pensieri concisi e nitidi.
Proprio
come nel più conosciuto Fahrenheit 451,
Bradbury pone il lettore di fronte a un ipotetico futuro - che di ipotetico ha
solo le vicende – con un sottofondo tematico e
un contesto semi-apocalittico dalle tinte grigie e dal carattere
verosimile che spiazza chiunque si accinga alla lettura.
La
serie di racconti di Cronache Marziane,
che potrebbero apparire slegati tra loro, è
ambientata in un futuro che ormai, in gran parte, è divenuto presente. Le
vicende, infatti, si sviluppano in un arco temporale che abbraccia la fine
degli anni ’90 e termina nel 2026. Tutto il ciclo di storie - narrate dal punto
di vista di più personaggi calati in contesti geografici e temporali differenti
l’uno dall’altro - si impianta sulla scena delle esplorazioni e delle
successive colonizzazioni del pianeta
rosso, Marte, l’ennesimo limite da superare che si presenta all’uomo dopo
lo sbarco sulla luna.
Le
storie che Bradbury ci presenta si potrebbero definire anche un po’ tetre, ma
sicuramente filtrate da una luce di “stranezza”
e sature di riflessioni riguardanti la vita dei terrestri, le loro azioni, i
loro rapporti con le nuove esperienze e le nuove forme di vita. In poche
parole, il narratore tenta di dipingere con la sua opera le sensazioni, alle
volte anche contrastanti, che sorgono nell’animo umano quando si ritrova
dinanzi all’ignoto, a un nuovo cammino da intraprendere, con i suoi timori e le
sue speranze.
Particolare rilievo
hanno nei racconti due elementi: la paura e la sfiducia nella colonizzazione
di Marte da parte degli uomini a danno delle forme di vita autoctone e la
rottura operata dai futuri coloni nei confronti della loro vecchia patria.
Per
quanto riguarda il primo punto, si rimarca l’importanza del rispetto per il diverso, quel riguardo
che deriva da un’ammirazione nei confronti di un’altra civiltà che ha
dimostrato un approccio diverso alla vita rispetto agli esploratori dello
spazio. Insieme a questa riflessione si avverte però una cupa sensazione di misantropia che ci spinge a credere che
lo stesso Bradbury avrebbe scoraggiato una colonizzazione di un nuovo mondo –
se fosse possibile - proprio per evitare irreparabili danni alle popolazioni
indigene. In questa considerazione si rivede un’aperta denuncia al comportamento eccessivamente possessivo dell’uomo
nell’appropriarsi di ciò che non gli appartiene e di cui potrebbe godere anche
solo condividendone i benefici. Dell’uomo e della sua civiltà vengono mostrate
varie negligenze non trascurabili, in grado di condurre alla distruzione un
intero pianeta. Ne consegue, da parte dell’autore, un netto disprezzo per l’eccessivo carico che l’uomo impone alla Natura.
A
questa visione dell’uomo in chiave negativa, si aggiunge il desiderio, da parte
di quelli che saranno i coloni di Marte, di erigere un muro tra loro e i
terrestri. Strappare le proprie radici
non è tuttavia un rimedio a tutti i mali. È sempre difficile voltare le spalle
alle proprie origini, al mondo in cui si è cresciuti all’ombra di certe abitudini
e modi di vivere. Marte, di contro, costituisce la possibilità di voltare la
pagina del libro dell’esistenza, un finale alternativo per la tragica fine che
l’essere umano infliggerà al proprio mondo. Ne deriva un conflitto interiore incessante ed è questo Bradbury descrive: l’attaccamento
alla Terra, ma allo stesso tempo il desiderio di distaccarsi dal suolo natio. Nonostante
ciò, il richiamo della “patria” è
sempre molto forte.
L’attrattività
di questo libro e di tutte le opere di Ray Bradbury risiede nella capacità dell’autore di giudicare in modo
imparziale – forse un po’ troppo – la
società del XX e del XXI secolo. Una società che ha intrapreso un viaggio sempre
più spedito sui binari dell’abuso e del massiccio avanzamento tecnologico. A
differenza di Fahrenheit 451, in Cronache Marziane non è l’alienazione della
natura umana a catturare la critica dell’autore, ma l’uso smodato della
tecnologia, della fame di conoscenza e del consumo delle risorse necessarie al
continuo processo di modernizzazione. Si
comprende bene come l’autore non voglia assolutamente marchiare negativamente
lo sviluppo, tuttavia da queste pagine appare evidente il bisogno di ribadire
ai posteri l’importanza della moderazione.
La
bellezza dei testi di Bradbury risiede quindi nel saper comunicare messaggi decisamente attuali tramite la presentazione
di scorci temporali che non sembrano avere nessuna relazione con il nostro
presente, il tutto con una maestria che pochi autori del genere sanno vantare.
Sembra giocare sulla capacità di suscitare emozioni ed evocare immagini nel
lettore tramite un linguaggio lineare e l’uso esperto di un susseguirsi di
eventi che si intrecciano tra loro sulla base di temi ricorrenti. Il saltare da
una storia a un’altra e tra varie epoche e spazi, permette poi all’autore di
fare sfoggio di una fantasia fuori dal comune e concede per altro al lettore la
possibilità di interromperne la lettura e riprenderla in seguito senza risentire
della difficoltà di ripercorrere i vari eventi.
Voto:
Questo è il genere di libro adatto a me! Allunghiamo la lista *_*
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