Oggi
mi sono imbattuta in un interessantissimo articolo del lontano 2007 di Alan
Wall, scrittore che di tanto in tanto contribuisce con i suoi pezzi a ReadySteadyBook,
blog britannico indipendente nella top 10 del Guardian tra i migliori
siti che si occupano di letteratura, che mirava a difendere la “dignità” del
libro cartaceo in uno scenario apocalittico che profetizzava la morte dello
stesso a causa della digitalizzazione. Curioso è pensare come questo pamplet nasca in un’epoca nella quale
non esistevano ancora i dispositivi di lettura che conosciamo oggi e che ci
permettono di portare con noi l’intera libreria - il primo ebook reader, il
Kindle, arriverà solo due anni dopo la stesura di A defens of the Book –, ma ciò che lo scrittore sottolinea non ha nulla a che fare col formato dei
volumi che leggiamo, piuttosto è una chiara denuncia nei confronti della patologica “automizzazione” della
conoscenza. Il divertente commento con il quale si apre questo pezzo
riguarda la constatazione che si è parlato della morte del libro per oltre
quaranta anni e che quest’ultimo, nonostante il progresso tecnologico, non ha
ancora perso la sua importanza ed è “ancora con noi”.
Contrariamente alla
logica dell’acquisizione tecnica, legata al download e all’archiviazione per
l’uso futuro, il libro gioca ancora un ruolo formativo laddove permette una
“reale conoscenza” performante che modifica l’animo umano al momento
dell’acquisizione dell’informazione e lo spinge alla partecipazione. La
conoscenza moderna non può limitarsi ad essere un archivio di file temporanei
da eliminare attraverso la pulizia della cache, ricerca della soluzione
momentanea al problema che si presenta di volta in volta. La vera archiviazione dell’esperienza avviene attraverso la lettura,
capace di trasmettere competenze teoriche che vanno a farsi supporto di quelle
pratiche. Per rafforzare la sua tesi, Wall si avvale dell’esempio del
lavoro svolto dai musicisti e dai chirurghi, per i quali a nulla varrebbe
l’abilità tecnica se non avessero studiato le note o il modo di suonare lo
strumento i primi, l’anatomia umana i secondi.
Il libro è forse una delle più importanti innovazioni tecnologiche
della storia: l’invenzione della stampa lo ha portato ad essere prodotto
creato per diffondere la conoscenza, contribuire alla dissertazione sulle cose
del mondo (e non), creare aggregati sociali – ricordiamoci che proprio la
diffusione delle Sacre Scritture nelle case dei comunitari ha portato alla
costruzione della religione protestante, basata proprio sulla possibilità di
qualsiasi uomo di affidarsi alla lettura del testo per cogliere l’essenza del
divino. In conclusione, il breve saggio di Wall riporta forse uno dei più
grandi timori: la pratica dello short message service sta trasformando
irrimediabilmente la lingua, così tanto che i giovani non sanno più farne
il corretto uso; bisognerebbe sforzarsi di non ridurre i caratteri e leggere di
più, ma in questo devono avere un ruolo fondamentale gli insegnanti, che hanno
il compito di spronare gli alunni ad un più regolare uso delle forme
grammaticali. Mi viene da chiedere cosa penserebbe l’autore dell’articolo dei
messaggi da 140 caratteri di Twitter,
forse il social network dove si utilizzano maggiormente le abbreviazioni e
articoli e congiunzioni perdono la loro funzione – nel 2007 era ancora poco
diffuso rispetto ad oggi.
Si parla tanto di quanto il libro digitale stia
cominciando a sostituire il cartaceo, ma come dicevo all’inizio, credo che il
formato non sia importante, purché si
legga. I dati sulla lettura purtroppo non sono rassicuranti, perché
nonostante il proliferare di blog letterari, gestiti da amministratori capaci
di divorare tra i 50-80 libri (minimo) l’anno, la maggioranza del popolo
lettore si limita alla letture di 2-4 libri l’anno. La conoscenza è importante,
determina le donne e gli uomini che saremo in futuro, continuate dunque a
leggere e, per un’oretta al giorno, dimenticatevi del pc. Il vostro cervello e
i voi futuri vi ringrazieranno.
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