L’amore
è la più insondabile delle passioni: coglie pienamente l’animo umano fino a
travolgerlo, riempirlo e a renderlo sede di contrastanti riflessioni, spesso
estreme. Se dovessi riassumere la tematica del romanzo di Paola Calvetti,
questa sarebbe la mia risposta. Non significa che abbiamo davanti un romance, siamo più vicini al genere noir. Entriamo nella vita di una coppia
apparentemente felice, di quelle che nonostante la differenza di età (ci sono
circa quindici anni di distanza tra Vera e Nicola, che è più giovane di lei)
riesce ad andare avanti fra alti e bassi, trovando un equilibrio tra le antipatie
musicali di lei e le “perfezioni” di lui.
I
veri protagonisti sono gli io narranti di Vera e Francesco, l’amico della
coppia eternamente infatuato di Nicola, che non riesce a concepire che lei
abbia commesso un omicidio/suicidio, ma soprattutto che non ha nessuna idea del
movente. Francesco è lo sguardo di chi vive in prima persona il dolore della
perdita, sebbene in lui
l’indignazione sia surclassata dall’ incapacità di reagire a qualcosa che non
sembra essere reale. Vera è invece la voce della coscienza, una scrittrice
precisa, cervellotica, che ha trovato nei libri i suoi amici, ha vissuto amori
tormentati e, come Francesco, vive il dolore di perdite di tutt’altro genere.
Il suo bisogno d’amore è così forte da decidere che non può rischiare che Nicola un giorno la abbandoni, non potrebbe sopportarlo, dunque sceglie di compiere un gesto estremo: determinare che lei stessa non possa vivere né con lui, né senza di lui. I caratteri dei personaggi, i loro pensieri, la loro storia permea il testo e avvolge il lettore, in un racconto fatto di ricordi, di soffi vitali, reperti della scientifica e verbali di autopsie che si susseguono in un tempo della storia che non corrisponde a quello del racconto, dove Vera è già morta ma rivive attraverso momenti salienti della sua vita.
Il suo bisogno d’amore è così forte da decidere che non può rischiare che Nicola un giorno la abbandoni, non potrebbe sopportarlo, dunque sceglie di compiere un gesto estremo: determinare che lei stessa non possa vivere né con lui, né senza di lui. I caratteri dei personaggi, i loro pensieri, la loro storia permea il testo e avvolge il lettore, in un racconto fatto di ricordi, di soffi vitali, reperti della scientifica e verbali di autopsie che si susseguono in un tempo della storia che non corrisponde a quello del racconto, dove Vera è già morta ma rivive attraverso momenti salienti della sua vita.
Lo
stile della Calvetti è accattivante e, come ho già annunciato, riesce a tener
su il ritmo di una storia che fondamentalmente non è fatta dell’assassinio, che
diventa antefatto delle vicende, ma da tutta l’emotività che vi sta dietro. La
scrittrice riesce a dare contorni psicologici ai personaggi con molta maestria
e dedizione, svelandoli a poco a poco attraverso le loro azioni e i loro
pensieri. In molti casi ho trovato una forte corrispondenza tra prosa e poesia:
ci sono alcuni passi che ho apprezzato tantissimo, come i vari “colloqui” tra
Vera bambina e i personaggi dei suoi libri preferiti, ad esempio Giulietta.
«La vera ragione per cui ti lasciano, a volte è la stessa per cui li attrai. La corda dell’altalena a un certo punto si strappa e te ne resta un lembo in mano senza che tu sappia bene cosa farne».
« Perché non hai capito, Nicola, che l’affanno verso l’amore puro accoglie in sé la certezza del fallimento?».
L’antefatto
è stato ispirato all’epilogo del film La
signora della porta accanto di François Truffaut, dal cui ultimo monologo
acquista anche il titolo, ma nel romanzo c’è una forte differenza: mentre nel
film la relazione raccontata è assolutamente “malata”, si gioca proprio sulla
malsanità che c’è nel rapporto tra Matilde e Bernard, un rapporto cominciato in
età giovanile, segnato dall’aborto di lei e dalla violenza di lui, e ultimato
in età adulta come adultero, patologico e mortale. Una visione totalmente
diversa è quella della Calvetti: spesso ciò che riceviamo nella vita, il modo
in cui l’amore ci colpisce e distrugge, è fondamentale nelle scelte che
facciamo, e questo merita di esser raccontato attraverso i pensieri, non gli
eventi. Il tutto viene narrato senza nessun giudizio: Francesco non dirà mai
che Vera è impazzita, piuttosto si focalizzerà sull’impossibilità di spiegarsi
l’accaduto, ridendo amaramente dell’ultima beffa della donna, che non spiega le motivazioni del suo gesto estremo, ma si limita a raccontare l’inizio del cammino che l’ha portata a
diventare un'assassina. Ve lo consiglio vivamente.
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