Aravind Adiga non è nuovo del panorama editoriale italiano: pubblicato da Einaudi, ha esordito con La tigre bianca -che vanta la vincita del Booker Prize 2008, 4 stelle su Anobii sebbene la prima recensione sia dissacrante-, seguito due anni dopo da Fra due omicidi, che per i nostrani ha invece valore 3 stelline e mezzo. La Einaudi ci riprova allora con Last man in tower, L'ultimo uomo nella torre, in uscita domani per ben 20.00 euro e 454 pagine. Valutato 4 stelle dai lettori americani di Goodreads, alterna giudizi entusiastici ad altri molto meno positivi -delusi, più che altro, dal confronto con La tigre bianca-. Ambientato a Mumbai (Bombay) in India, racconta la vicenda di un gruppo di condomini del Vishram: corrotti dal costruttore Dharmen Shah, sono disposti, dietro lauta compensa, a far distruggere il proprio stabile per lasciar spazio a grattacieli di lusso. Tutti d'accordo tranne uno, l'ultimo uomo nella torre, che si frappone alla decisione capitalistica di eliminare non solo l'emblema di un crogiolo di culture che convivono pacificamente, ma anche una parte del cuore della città.
Inaugurata il 14 novembre 1959, nel settantesimo compleanno di Jawaharlal Nehru, la società edile cooperativa Vishram è la nonna di tutti i condomìni pucca da allora sorti in un quartiere di Mumbai, Vakola, che decoroso non è affatto. I suoi abitanti, suddivisi in cattolici, indù e perfino qualche musulmano «del tipo migliore», come in una felice applicazione dei valori nehruviani di cooperazione e convivenza, difendono a oltranza quello status borghese, a dispetto degli inequivocabili segni di decadenza mostrati da uno stabile dove i muri fioriscono di umidità, il tetto rischia di cedere sotto la pressione dei monsoni e l'acqua scorre dai rubinetti per poche ore al giorno. Ma a Mumbai il nuovissimo scalza il nuovo alla velocità di un treno in corsa, il lusso scalza il decoro, e chi non salta in tempo può facilmente finire stritolato sotto le sue ruote. Nella folle corsa per accaparrarsi terra da edificare, il grande costruttore Dharmen Shah fa ai condòmini un'offerta irrifiutabile: acquistare i vari appartamenti al doppio del loro valore di mercato per poter demolire l'edificio ed erigere al suo posto quel luccicante coacervo di stili che sarà lo Shanghai, il progetto di tutta la sua vita. Sono previsti un «regalino» extra per invogliare i dubbiosi, le minacce del truce «braccio sinistro» Shanmugham per ammorbidire i refrattari, e una condizione per tutti: che l'offerta sia firmata all'unanimità. In un attimo la cooperativa torna ad essere accozzaglia di individui non cooperanti - i coniugi Puri e il loro diciottenne figlio down; lo spregiudicato agente immobiliare Ramesh Ajwani, appassionato di donne e comodità, e il gioviale Ibrahim Kudwa, proprietario di un internet café e paradigmatico «uomo medio» del condominio, ansioso di compiacere e partecipare; l'ambiguo amministratore dello stabile, Ashvin Kothari, con un sogno in ogni cassetto, e la «Corazzata» Georgina Rego, assistente sociale abbandonata dal marito con due figli adolescenti; gli anziani coniugi Pinto e il loro amico di vecchia data Yogesh Murthy, detto Masterji, insegnante in pensione da poco rimasto vedovo; la donna delle pulizie Mary e la guardia giurata dello stabile Ram Khare - ciascuno determinato a fare i conti nelle tasche proprie e altrui. Non appena l'esito si profila negativo - tutti i condòmini a favore della vendita tranne uno - l'armonia cinquantennale deflagra e fra i potenziali firmatari dell'accordo e «l'ultimo uomo nella torre» si scava un solco che nessun comune senso di umanità sembra più saper colmare.
«Adiga riesce a dare voce e senso dello humor agli ultimi, a chi non ha potere: l 'umorismo è "la nostra unica arma" dice un personaggio. E, fortunatamente, questo libro è pieno di "armi" del genere. Magnifico».
«The Tatler»
Gli altri libri dell'autore:
Seduto alla sua scrivania, l'imprenditore autodidatta Balram Halway, detto la Tigre Bianca, scrive sette lucide e impietose lettere al primo ministro cinese che si appresta a visitare l'India. Gli racconta delle proprie origini e delle propria storia: la storia di un ragazzo di una delle caste piú basse che da un fangoso villaggio all'interno del paese (dove «ogni buona notizia si tramuta in una cattiva notizia, e in fretta») arriva a New Delhi, dove mall luccicanti, sontuosi palazzi e auto tirate a lucido da magri autisti in ciabatte si accostano a bordelli di lusso con bionde prostitute dell'Europa dell'est. Qui, nel nuovissimo quartiere di Gurgaon, Balram Halway assiste alla progressiva e inarrestabile corruzione del suo padrone, ne assimila la mentalità e intuisce che il modo per fuggire dalla gabbia della miseria esiste: commettere un omicidio, rubare e mettersi in proprio. Grazie a un duro lavoro, a pasti trangugiati in fretta, a un codice morale dettato dalle necessità produttive, ma soprattutto applicando le auree regole degli affari apprese da Mr Ashok, il suo defunto ex principale, il successo non tarda ad arrivare. Per il futuro si vedrà: forse potrebbe investire parte del proprio capitale in una scuola per bambini poveri di Bangalore: una scuola piena di Tigri Bianche, in cui non si parla né di Gandhi, né dei 36 milioni di divinità indiane.
A volere dare credito alle guide turistiche, Kittur - città immaginaria, ma fin troppo reale, che sorge sulla costa sudoccidentale dell'India, circa a metà strada fra Goa e Calicut - è un centro di grande interesse storico, in cui convivono pacificamente uomini di religioni, razze e lingue diverse. Ma a osservare le cose più da vicino, ci si accorge quanto sia drammaticamente difficile viverci. Della stazione ferroviaria le guide parlano diffusamente: non dicono però, che è qui che vive Ziauddin, un giovanissimo musulmano spedito in città dai genitori senza un centesimo in tasca; dorme per strada, è maltrattato e ricattato da tutti a causa della sua religione, sino a quando un tale, non inizia a pagarlo perché tenga d'occhio i treni adibiti al trasporto di soldati; il suo sussulto di rivolta gli costerà caro. Al maidan dedicato a Jawaharlal Nehru, è invece facile imbattersi in una specie di santone che sta sempre appollaiato su una balaustra spartitraffico e si nutre piluccando in mezzo agli escrementi animali. Si chiama Keshava, e un tempo era il re dell'autobus numero cinque, un vero diavolo quando si trattava di rubare passeggeri alle compagnie concorrenti. Poi c'è Cool Water Well Junction, la zona elegante della città, dove in un cantiere edile lavora il padre tossicomane di Soumya: la bambina assiste alle sue umiliazioni e nella vana speranza di un gesto di affetto, passa la giornata insieme al fratellino a chiedere l'elemosina per potere così comprare al padre la dose quotidiana di crack. Collegate fra loro dal contesto urbano e dalla cornice di un preciso periodo storico - gli anni che vanno dalla morte di Indira Gandhi a quella di suo figlio Rajiv - le quattordici vicende narrate in Fra due omicidi fanno emergere uno straordinario microcosmo fatto di solitudini, delusioni, ambizioni mancate, e ci propongono l'immagine di un'umanità lasciata disperatamente ai margini
Aravind Adiga
è nato a Madras nel 1974. Dopo avere soggiornato in vari paesi - fra cui l'Australia, l'Inghilterra e gli Stati Uniti - attualmente vive a Mumbai. Con La Tigre Bianca («Supercoralli», 2008 e «Super ET», 2010) ha vinto il Booker Prize 2008. Per Einaudi ha pubblicato anche Fra due omicidi (2010) e L'ultimo uomo nella torre («Supercoralli», 2012).
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