(Trovi tutte le informazioni sul libro qui)
Stava per avviarsi un lungo processo di dipendenza che scommetto riguardi anche molti di voi. Sappiamo tutti che non è cibo salutare, eppure lo ingurgitiamo ugualmente.
Con Il dilemma dell'onnivoro, Pollan cerca di illustrarci come i fast-foods, veri e propri demoni della società americana, siano gli ingranaggi di una mostruosa macchina alimentare davvero poco preoccupata della nostra salute.
C'è una premessa da fare: Micheal Pollan è americano. Ogni esperienza cui si fa riferimento nel libro è avvenuta in America, la sua concezione del cibo è prettamente americana, gli impianti, le grandi aziende e i supermercati di cui si parla hanno tutte in comune la bandiera a stelle e strisce. Fatta eccezione per McDonald's, noi italiani non abbiamo importato nemmeno una di queste cooperative. E' dunque normale che durante la lettura ci si senta un po' smarriti davanti ad alcuni nomi sconosciuti, anche se non è altrettanto normale rendersi conto che Pollan si stupisca dell'esistenze di fattorie vere. Fattorie piene di galline che scorrazzano per l'aia, o prodotti di prima mano quali frutta e verdura venduti senza l'ausilio dei pesticidi. Pollan constata quasi con gioia che il pollo cresciuto in un ambiente naturale ha un sapore migliore di quello che troviamo al supermercato. Il fatto che rimanga perplessa di fronte a queste "scoperte" mi induce a sperare che, tutto sommato, non conduca un'alimentazione così sbagliata, visto che nella mia città i prodotti freschi si trovano molto facilmente e per me è un'ovvietà quella che Pollan fa passare per una cosa straordinaria.
Chiusa questa breve parentesi, possiamo parlare più approfonditamente del libro.
Il volume è una versione young-adult del libro omonimo già pubblicato in Italia da Adelphi. Questa versione per ragazzi però sembra essere stata resa tale da alcune precisazioni nel corso della narrazione francamente ridicole: quale "giovane adulto" non conosce i significati di termini come "scuoiare" e "foraggio", che Pollan ritiene necessario esplicare?
Troviamo il libro diviso in quattro sezioni: Il pasto industriale, Il pasto biologico industriale, Il pasto sostenibile locale e Il pasto fai-da-te.
Nella prima Pollan denuncia con veemenza gli impianti alimentari cui fa visita per tentare di venire a contatto con questa realtà. Partendo dall'agricoltura, scopre che tutte le coltivazioni presenti in America e che in teoria dovrebbero godere della biodiversità, sono in realtà ridotte ad un solo alimento: il mais.
Il mais è onnipresente, è cattivo, si infila dovunque: nelle nostre bibite, nella carne, persino nelle riviste patinate. Il mais viene forzatamente somministrato ai bovini da allevamento, che dovrebbero invece essere alimentati ad erba, con gravi danni sulla loro e sulla nostra salute. Ma questo non è l'unico strappo alla regola: l'elenco degli "ingredienti" che compongono l'alimentazioni degli animali destinati a finirci nello stomaco è raccapricciante (ma lascio a voi il piacere di scoprire quali siano).
La seconda parte è anche essa una denuncia nei confronti del cibo definito "biologico", venduto da aziende che usufruiscono ugualmente del reo mais (leggiamo per esempio: "la normativa ufficiale sul cibo biologico consente alle aziende di produrre sciroppo di mais biologico ad alto contenuto di fruttosio - parole che non avrei mai immaginato di vedere insieme") e che consentono paradossalmente l'esistenza di cibi preconfezionati... biologici!
La terza parte è quella clou, l'esperienza a quanto sembra più meravigliosa e totalizzante che Pollan abbia mai vissuto: una settimana di lavoro in una fattoria. Pollan apprende qui tutto ciò che c'è da sapere su agricoltura e allevamenti veramente naturali e supportati dall'ausilio di pochissime macchine. Descrivendo persino i metodi di uccisione delle bestie, l'autore intende puntualizzare quanto questi siano umani e rendano la morte il più veloce e indolore possibile.
Nell'ultima sezione, infine, Pollan condivide con noi le gioie e i dolori della caccia e della raccolta dei funghi.
Possiamo definire davvero lodevole lo sforzo di Pollan di perseguire in modo minuzioso l' obiettivo con cui ha cominciato a scrivere il libro: risolvere il dilemma dell'onnivoro, ovvero il dubbio, -originariamente da leggersi in chiave evoluzionistica, ma adesso tornato impellente a causa della pluralità dei cibi spazzatura di cui facciamo uso- su cosa si debba o non si debba mangiare.
Pollan intende svelare gli altarini, convertire la gente ad una scelta più consapevole di ciò che si porta in tavola.
Facendo questo, lancia un messaggio anche a proposito delle abitudini alimentari americane: un'azione che per noi è normale -riunirsi a tavola la sera per mangiare assieme e discutere in famiglia- rappresenta invece in America più che altro un'eccezione alla regola. Per questo il libro risulta molto lontano dalla nostra mentalità, anche se indubbiamente utile, soprattutto nella prima parte.
Un'altra cosa che mi ha dato sinceramente fastidio è stata la pretesa dell'autore di decretare se un animale sia felice o meno. La parola felicità viene utilizzata un numero smoderato di volte, e sempre riferito agli animali. Quelli del pasto industriale sono infelici, quelli del pasto sostenibile locale sono felici (persino quando muoiono!). Possiamo dire che essi vivano in condizioni migliori, che siano più liberi di muoversi secondo natura, ma non possiamo dire che siano felici. E' un concetto fondamentalmente errato e per niente oggettivo.
Detto questo, il libro non mi ha procurato un particolare senso di rabbia/dispiacere/disgusto. Sarò una persona malignamente indifferente, ma non è sorto in me nessun desiderio di diventare vegetariana e/o cambiare il mondo. A meno che non si tratti di rendere consapevole gli amici che quelle crocchette di pollo che stanno gustando al Mc contengono una sostanza talmente tossica che, se ingerita in quantità da 5 gr, li ucciderebbe. Per poi togliergliele dalle mani e mangiarle io, ovvio.
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