Storia di una ladra di libri, Markus Zusak Frassinelli 563 pagine, 16.90 euro |
Possono
le parole e i libri rivoluzionare una vita?
Sembra
questo il quesito che imperversa nel romanzo di Markus Zusak,
ambientato nella Germania nazista tra Gioventù hitleriana e ladri di
vocaboli. È la storia di una ragazzina, Liesel, figlia di una
presunta comunista, adottata dalla coppia tedesca degli Hubermann,
traumatizzata dall’abbandono e dalla morte del fratellino minore -
avvenuta durante il viaggio verso Himmel Street a Molching.
Riassumendola con le parole del narratore,
“la storia di quei tanti sopravvissuti – un’esperta nell’arte di essere lasciata indietro – che, tra le altre cose, riguarda: una ragazza; qualche parola; un suonatore di fisarmonica; alcuni tedeschi fanatici; e un bel po’ di furti”.
Liesel
vive due forti perdite che la spingono a essere aggressiva,
soprattutto verso i compagni di scuola che la deridono perché non sa
leggere. Ciò stressa a tal punto la bambina da farle venire gli
incubi e bagnare il letto. Ma queste notti burrascose vengono presto
mitigate dalla bontà del padre adottivo Hans, che le insegna a
leggere il piccolo libro che Liesel ha rubato durante il funerale del
fratellino: il “Manuale del necroforo”. Da questo momento la
bambina svilupperà un intenso amore per i libri, letti di soppiatto
durante la notte e grazie alla signora Hermann che, successivamente
al suo secondo furto, le consentirà di leggere nella grande
biblioteca del borgomastro quei libri che le apriranno gli occhi e il
cuore. Durante la giovinezza avranno grande importanza Rudy, l’amico
coetaneo perennemente impegnato a strapparle un bacio, e l’arrivo
di Max, pugile ebreo che verrà nascosto nella cantina di casa
Hubermann per una promessa fatta da Hans al padre di Max durante la
Prima guerra mondiale, nel quale quest’ultimo ha perso la vita. Tra
la paura di venire scoperti a dare asilo ad un ebreo e gli orrori
della guerra, il romanzo ci trasporta in un’epoca della quale ci
restano oggi numerosi documentari e testimonianze, e ce la racconta
in un modo inedito e straziante, attraverso la centralità di una
bambina che non vive sulla propria pelle la guerra, ma che riesce
comunque a intuirla.
La
storia prende il via raccontata da un narratore d’eccezione, la
morte, che sarà svelato durante il racconto attraverso dei giochi
linguistici, senza autonominarsi. Questo è onnisciente e
irriverentemente sadico: spesso interrompe volontariamente la storia
di un personaggio per poi tornarvi successivamente, lasciando in
sospeso il lettore e spingendolo ad accelerare la lettura, ma più
frequentemente svela qualcosa che, sul momento, sembra essenziale,
per poi risultare superfluo.
“Ho deciso di non essere gentile. Ti rovinerò o finale, e non solo del libro, ma di questa parte specifica. Ho già anticipato due fatti, perché non mi piace fare misteri. Il mistero mi annoia. So già che cosa succederà, e ora lo sai anche tu; è il percorso che ci ha condotti qui che ci inquieta e ci affascina”.
I
personaggi di questo libro sono vividi e pieni di colore, ognuno di
loro assume dei contorni caratteriali ben definiti: Liesel è la
ragazza tormentata, Hans il padre buono, Rosa la madre burbera e
impenetrabile, Rudy l’eterno innamorato e Max l’eroe romantico.
Il tutto viene arricchito da un linguaggio ben preciso che li
contraddistingue e rende inconfondibili all’interno della
narrazione.
La
lingua, sia nel testo originale che nella sua traduzione, è molto
particolare: il traduttore ha deciso di mantenere i termini tedeschi
che imperniano il testo e che sono funzionali non solo a
caratterizzare i protagonisti della storia come ho detto prima, ma
anche a determinare in modo definito lo spazio storico nel quale i
fatti accadono – non per nulla, ho trovato un po’ fastidioso che
“saumensch”,
dispregiativo che Rosa utilizza rivolgendosi a Liesel, venisse
tradotto nel film con un più neutro “furfante”. Inoltre il
layout della storia è del tutto particolare: spesso, in coincidenza
con il flusso di pensieri della Morte-narratore, si aprono dei
“sottoparagrafi” esplicativi che hanno una stesura diversa da
quella del resto del testo, con margine molto grande, titolo in
grassetto e testo in corsivo, sintomo che forma e sostanza per
l’autore sono coincidenti.
È
indubbio che Zusak abbia saputo costruire un romanzo di formazione
geniale e carico di sperimentazione, ma anche un romanzo storico
leggero e adatto a tutte le fasce d’età. Tra le critiche che ho
ascoltato da amici che lo hanno letto e articoli sul web ce ne sono
tante che penso siano dovute ad un erronea aspettativa prima della
lettura: la trama può essere fuorviante, visto che non si tratta di
una storia sulla Shoah o sul nazismo ma, come dicevo all’inizio di
questa recensione, di un romanzo sul peso della lettura nella
formazione umana e delle parole nei diversi contesti nei quali
vengono utilizzate. L’ho trovato davvero incantevole. Lo consiglio
vivamente a chi è innamorato della lettura.
Ora
qualche parola sul film. L’ho visto al cinema quando avevo appena
cominciato a leggere il libro, ma questo non mi ha impedito di notare
le prime differenze sin dall’inizio della storia. Tuttavia non sono
qui per parlare di questo, visto che, riguardo la scelta di cambiare
alcuni elementi, la prima giustificazione che ho dato e che mi sento
di dare adesso, dopo aver letto il volume, è quella della durata
della pellicola troppo ridotta per raccontare tutto nei minimi
dettagli. Ho letto in giro per il web numerose recensioni alquanto
negative, ma il mio parere è divergente: l’ho trovato un film
fortemente evocativo e istruttivo, un film per tutta la famiglia
nonostante la drammaticità della storia. Sapevo già che ci
sarebbero state amarezze sin dal principio (avevo già letto della
morte del fratello di Liesel), ma ammetto che poter vedere insieme in
un film Geoffrey Rush (Shine*,
Shakespeare
in love,
Pirati
dei Caraibi,
Il
discorso del re,
La
migliore offerta)
ed Emily Watson (Le
onde del destino,*
Hilary
e Jackie*,
La
sposa cadavere,
Anna
Karenina)
mi ha definitivamente convinta ad andare al cinema. Brian Percival ha
saputo costruire un film essenziale che, pur condensato e
semplificato in alcuni casi, non perde la forte dipendenza da un
romanzo particolare come quello di Zusak, offrendoci una pellicola
molto interessante che ricorda le vecchie trasposizioni
cinematografiche. L’interpretazione di Rush è impeccabile e
trascinante, ma senza mai togliere l’occhio di bue dalla bellissima
Sophie Nélisse, che ha saputo reggere molto bene il ruolo da
protagonista pur essendo davvero giovane. Magnifiche poi la
fotografia e le musiche, affidate al celebre John Williams, che
riportano alla memoria lo splendore della colonna sonora di
Schindler's List. Un film meraviglioso, dal sapore un po’ retrò,
che ha saputo davvero conquistarmi.
Voto:
Questa recensione del film mi risolleva un po' lo spirito: ho amato il libro, ed ero felice per la trasposizione cinematografica, ma le recensioni negativissime mi avevano ridimensionata nell'entusiasmo. Adesso sono più tranquilla :)
RispondiEliminaIo ho imparato a giudicare da me :) Troppe volte mi sono trovata nella situazione di pentirmi di non essere andata a vedere un film perché avevo letto recensioni negative. Seguire il proprio istinto cinefilo, alle volte paga. Lieta che ti sia nuovamente venuta voglia di andarlo a vedere, ne vale la pena!
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