mercoledì 23 aprile 2014

Recensione libro e film: Storia di una ladra di libri



Storia di una ladra di libri, Markus Zusak
Frassinelli
563 pagine, 16.90 euro
Possono le parole e i libri rivoluzionare una vita?
Sembra questo il quesito che imperversa nel romanzo di Markus Zusak, ambientato nella Germania nazista tra Gioventù hitleriana e ladri di vocaboli. È la storia di una ragazzina, Liesel, figlia di una presunta comunista, adottata dalla coppia tedesca degli Hubermann, traumatizzata dall’abbandono e dalla morte del fratellino minore - avvenuta durante il viaggio verso Himmel Street a Molching. Riassumendola con le parole del narratore,
la storia di quei tanti sopravvissuti – un’esperta nell’arte di essere lasciata indietro – che, tra le altre cose, riguarda: una ragazza; qualche parola; un suonatore di fisarmonica; alcuni tedeschi fanatici; e un bel po’ di furti”.

Liesel vive due forti perdite che la spingono a essere aggressiva, soprattutto verso i compagni di scuola che la deridono perché non sa leggere. Ciò stressa a tal punto la bambina da farle venire gli incubi e bagnare il letto. Ma queste notti burrascose vengono presto mitigate dalla bontà del padre adottivo Hans, che le insegna a leggere il piccolo libro che Liesel ha rubato durante il funerale del fratellino: il “Manuale del necroforo”. Da questo momento la bambina svilupperà un intenso amore per i libri, letti di soppiatto durante la notte e grazie alla signora Hermann che, successivamente al suo secondo furto, le consentirà di leggere nella grande biblioteca del borgomastro quei libri che le apriranno gli occhi e il cuore. Durante la giovinezza avranno grande importanza Rudy, l’amico coetaneo perennemente impegnato a strapparle un bacio, e l’arrivo di Max, pugile ebreo che verrà nascosto nella cantina di casa Hubermann per una promessa fatta da Hans al padre di Max durante la Prima guerra mondiale, nel quale quest’ultimo ha perso la vita. Tra la paura di venire scoperti a dare asilo ad un ebreo e gli orrori della guerra, il romanzo ci trasporta in un’epoca della quale ci restano oggi numerosi documentari e testimonianze, e ce la racconta in un modo inedito e straziante, attraverso la centralità di una bambina che non vive sulla propria pelle la guerra, ma che riesce comunque a intuirla.
La storia prende il via raccontata da un narratore d’eccezione, la morte, che sarà svelato durante il racconto attraverso dei giochi linguistici, senza autonominarsi. Questo è onnisciente e irriverentemente sadico: spesso interrompe volontariamente la storia di un personaggio per poi tornarvi successivamente, lasciando in sospeso il lettore e spingendolo ad accelerare la lettura, ma più frequentemente svela qualcosa che, sul momento, sembra essenziale, per poi risultare superfluo.

Ho deciso di non essere gentile. Ti rovinerò o finale, e non solo del libro, ma di questa parte specifica. Ho già anticipato due fatti, perché non mi piace fare misteri. Il mistero mi annoia. So già che cosa succederà, e ora lo sai anche tu; è il percorso che ci ha condotti qui che ci inquieta e ci affascina”.

I personaggi di questo libro sono vividi e pieni di colore, ognuno di loro assume dei contorni caratteriali ben definiti: Liesel è la ragazza tormentata, Hans il padre buono, Rosa la madre burbera e impenetrabile, Rudy l’eterno innamorato e Max l’eroe romantico. Il tutto viene arricchito da un linguaggio ben preciso che li contraddistingue e rende inconfondibili all’interno della narrazione.
La lingua, sia nel testo originale che nella sua traduzione, è molto particolare: il traduttore ha deciso di mantenere i termini tedeschi che imperniano il testo e che sono funzionali non solo a caratterizzare i protagonisti della storia come ho detto prima, ma anche a determinare in modo definito lo spazio storico nel quale i fatti accadono – non per nulla, ho trovato un po’ fastidioso che “saumensch”, dispregiativo che Rosa utilizza rivolgendosi a Liesel, venisse tradotto nel film con un più neutro “furfante”. Inoltre il layout della storia è del tutto particolare: spesso, in coincidenza con il flusso di pensieri della Morte-narratore, si aprono dei “sottoparagrafi” esplicativi che hanno una stesura diversa da quella del resto del testo, con margine molto grande, titolo in grassetto e testo in corsivo, sintomo che forma e sostanza per l’autore sono coincidenti.

È indubbio che Zusak abbia saputo costruire un romanzo di formazione geniale e carico di sperimentazione, ma anche un romanzo storico leggero e adatto a tutte le fasce d’età. Tra le critiche che ho ascoltato da amici che lo hanno letto e articoli sul web ce ne sono tante che penso siano dovute ad un erronea aspettativa prima della lettura: la trama può essere fuorviante, visto che non si tratta di una storia sulla Shoah o sul nazismo ma, come dicevo all’inizio di questa recensione, di un romanzo sul peso della lettura nella formazione umana e delle parole nei diversi contesti nei quali vengono utilizzate. L’ho trovato davvero incantevole. Lo consiglio vivamente a chi è innamorato della lettura.


Ora qualche parola sul film. L’ho visto al cinema quando avevo appena cominciato a leggere il libro, ma questo non mi ha impedito di notare le prime differenze sin dall’inizio della storia. Tuttavia non sono qui per parlare di questo, visto che, riguardo la scelta di cambiare alcuni elementi, la prima giustificazione che ho dato e che mi sento di dare adesso, dopo aver letto il volume, è quella della durata della pellicola troppo ridotta per raccontare tutto nei minimi dettagli. Ho letto in giro per il web numerose recensioni alquanto negative, ma il mio parere è divergente: l’ho trovato un film fortemente evocativo e istruttivo, un film per tutta la famiglia nonostante la drammaticità della storia. Sapevo già che ci sarebbero state amarezze sin dal principio (avevo già letto della morte del fratello di Liesel), ma ammetto che poter vedere insieme in un film Geoffrey Rush (Shine*, Shakespeare in love, Pirati dei Caraibi, Il discorso del re, La migliore offerta) ed Emily Watson (Le onde del destino,* Hilary e Jackie*, La sposa cadavere, Anna Karenina) mi ha definitivamente convinta ad andare al cinema. Brian Percival ha saputo costruire un film essenziale che, pur condensato e semplificato in alcuni casi, non perde la forte dipendenza da un romanzo particolare come quello di Zusak, offrendoci una pellicola molto interessante che ricorda le vecchie trasposizioni cinematografiche. L’interpretazione di Rush è impeccabile e trascinante, ma senza mai togliere l’occhio di bue dalla bellissima Sophie Nélisse, che ha saputo reggere molto bene il ruolo da protagonista pur essendo davvero giovane. Magnifiche poi la fotografia e le musiche, affidate al celebre John Williams, che riportano alla memoria lo splendore della colonna sonora di Schindler's List. Un film meraviglioso, dal sapore un po’ retrò, che ha saputo davvero conquistarmi.

Voto: 

2 commenti:

  1. Questa recensione del film mi risolleva un po' lo spirito: ho amato il libro, ed ero felice per la trasposizione cinematografica, ma le recensioni negativissime mi avevano ridimensionata nell'entusiasmo. Adesso sono più tranquilla :)

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    1. Io ho imparato a giudicare da me :) Troppe volte mi sono trovata nella situazione di pentirmi di non essere andata a vedere un film perché avevo letto recensioni negative. Seguire il proprio istinto cinefilo, alle volte paga. Lieta che ti sia nuovamente venuta voglia di andarlo a vedere, ne vale la pena!

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