mercoledì 16 aprile 2014

Classici al femminile


Qualche settimana fa, dal parrucchiere, intenta a sfogliare riviste e desiderosa di ingannare l'attesa, mi sono imbattuta in un interessante articolo in cui la giornalista, riportando i dati di un sondaggio comparso sul quotidiano britannico The Guardian, scriveva di quanto sia ancora preponderante la componente (e considerazione) maschile rispetto a quella femminile nella letteratura, lanciando nel contempo una provocazione (E se per un anno leggessimo solo libri scritti da donne?) e suggerendo una lista di libri per lei imperdibili, di “classici al femminile”, con autrici del calibro di Jane Austen, Virginia Woolf e l'italianissima Grazia Deledda. 

Ho subito pensato che l'argomento meritasse una riflessione: gli scrittori hanno più peso delle scrittrici? La voce degli uomini viene considerata ancora culturalmente più solida e autorevole? Le donne che si occupano di narrativa “producono” necessariamente romanzetti sentimentali, con derive chick-lit oppure porno-soft come tanto va di moda oggi? Nel 2013 il premio Nobel è andato ad Alice Munro, dotatissima signora dei racconti, una vittoria acclamata da tante lettrici, ma che ha fatto storcere tanti nasi (spesso di lettori!), che considerano le sue opere storielle da poco; sempre il 2013 ha visto trionfare al Man Booker Prize (prestigioso premio per gli scritti in lingua inglese) la neozelandese Eleanor Catton con il suo “The Luminaries”, che senza mezze parole, ha dichiarato che esserescrittrice significa anche ricevere un trattamento diverso da quellodi uno scrittore (già a partire dalla interviste, sempre incentrate su sentimenti e sensazioni quando c'è di mezzo una signora). È da pochissimo inoltre che è stata annunciata la vittoria de “Il cardellino” di Donna Tartt al Pulitzer. 
Che cosa deve fare una donna per scrivere un Libro con la L maiuscola, un Libro destinato a entrare nel clan dei classici? E soprattutto che cosa è un classico?
Negli anni degli studi avevo letto alcuni estratti di un saggio degli anni '40 di T.S. Eliot proprio sull'argomento e, se la memoria non mi inganna, ricordo che Eliot credeva che un classico fosse un lavoro universale, che riflettesse i valori eterni della civiltà dell'antica Roma. Trent' anni più tardi, negli Stati Uniti, voci diverse hanno iniziato a levarsi e il passato a cui ci si doveva rivolgere costituiva quello del Nuovo Mondo, un passato senza certezze ereditate ma in grado, virtualmente, di porre un'infinita serie di domande. In questo dibattito si è inserito anche lo scrittore sudafricano J.M. Coetzee: per lui un classico è qualcosa che sopravvive ai tempi, non una semplice meraviglia estetica, ma un prodotto di influenze invisibili. Con un balzo nel mondo della musica, per Coetzee quella di Bach è un classico che ancora oggi in tanti suonano e apprezzano, definita in un ben determinato contesto storico (anche se per i coevi di Bach non lo apprezzavano, anzi lo consideravano vecchio, medievale).

Quindi, potremmo dire che gli ingredienti per un grande libro siano proprio gli elementi mutevoli, “dell'incertezza”, così squisitamente umani (nostalgia, invidia, disperazione, orgoglio, ecc.) uniti a un determinato contesto storico. Alla luce di ciò, è lecito affermare con una ragionevole certezza che sì, di classici al femminile ce ne sono eccome, ma serve (e di fatto è servito) un serio lavoro di scoperta o riscoperta. Nel 1973 l'americana Carmen Calil diede vita alle edizioni Virago Press, una realtà che si proponeva di “ricreare il canone” e di pubblicare le opere di importanti autrici trascurate se non addirittura dimenticate. Virago diede una nuova possibilità a molte, tra cui George Sand, Daphne du Maurier, Mae West. Negli anni sono state diverse le realtà editoriali a seguire le orme di Virago Press, “togliendo dalla naftalina” titoli e scrittrici, anche in seguito al maggior peso della componente femminile nell'opinione pubblica e nel mondo della cultura. Il rischio (favorito anche dal politicamente corretto) però è quello di non voler riconoscere i libri “indegni”, per la sola ragione che sono stati scritti da donne, oppure di voler attribuire un significato o una connotazione illegittima a un'autrice. È questo, per esempio, il caso di Elizabeth Bishop, da molti considerata la migliore poetessa americana del 20° secolo, donna riservata che ha sempre tenuto la propria vita e sessualità fuori dall'arte. Quando però la poetessa lesbica Adrienne Rich ne campionò qualche verso, allora Bishop venne conosciuta anche lei come “poetessa lesbica”, un'incoerenza per un'artista che non ha mischiato vita personale & letteratura.

Per la letteratura femminile è stato fondamentale il XIX secolo, periodo in cui ha avuto inizio la produzione letteraria di “massa” e che ha visto le donne affacciarsi più numerose al mondo della letteratura: la produzione di massa ha permesso di aumentare la circolazione di libri a prezzi più contenuti, mentre l'accesso delle donne all'istruzione ha fatto sì che aumentasse il numero di lettori. Non è un caso infatti che, accanto alle grandi scrittrici del 1800 (cito forse le più note al grande pubblico: Jane Austene e le sorelle Brontë), anche importanti autori, come Flaubert con la sua Madame Bovary e Henry James con Isabel Archer, abbiano scritto grandi libri con donne come protagoniste, quasi un “riconoscimento” della nuova affermazione femminile nel mondo letterario, per quanto ancora perdurasse il pregiudizio della donna come individuo di limitate capacità intellettuali, frivola e sentimentale. Il romanzo del 1800 è stato influenzato non solo da questa nuova e consistente ondata di lettrici, ma anche delle esperienze della relazione uomo-donna: corteggiamento, matrimonio e persino adulterio. Quindi, partendo da questo presupposto, possiamo affermare che i romanzi di Jane Austen, Emily Brontë, Ellen Wood siano diventati “classici” perché focalizzati su temi importanti per le donne? Non è una domanda a cui è facile rispondere... Forse un libro può diventare un “classico” per diversi meriti: alcuni per meriti “formali”, come l'uso straordinario della lingua, alcuni per meriti di “contenuto”, altri per entrambi i meriti.

Non bisogna inoltre trascurare il ruolo fondamentale delle case editrici nel decidere chi e cosa debba diventare un “classico”. Tutti gli editori sono alla ricerca del romanzo sensazionale: dato che non ne escono poi così tanti, assistiamo a ripubblicazioni di romanzi del passato, con nuove accattivanti copertine e prefazioni di accademici di grido... un modo comunque di assicurarsi vendite da una parte di pubblico. Non va trascurato nemmeno il fattore “moda”, nel caso in cui certi scrittori (e scrittrici) vengano riscoperti nel momento in cui torna in auge anche un determinato tema o stile di scrittura e quindi, con il tempo, si avviano a diventare classici.

Il concetto di classico non è quindi così canonico come si potrebbe pensare, e “classico non si nasce”, si diventa... a noi non resta che scoprire/riscoprire il piacere di leggere libri che hanno fatto la storia della letteratura.




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