Qualche settimana fa, dal
parrucchiere, intenta a sfogliare riviste e desiderosa di ingannare
l'attesa, mi sono imbattuta in un interessante articolo in cui la
giornalista, riportando i dati di un sondaggio comparso sul
quotidiano britannico The Guardian, scriveva di quanto sia ancora
preponderante la componente (e considerazione) maschile rispetto a
quella femminile nella letteratura, lanciando nel contempo una
provocazione (E se per un anno leggessimo solo libri scritti da
donne?) e suggerendo una lista di libri per lei imperdibili, di
“classici al femminile”, con autrici del calibro di Jane Austen,
Virginia Woolf e l'italianissima Grazia Deledda.
Ho subito pensato
che l'argomento meritasse una riflessione: gli scrittori hanno più
peso delle scrittrici? La voce degli uomini viene considerata ancora
culturalmente più solida e autorevole? Le donne che si occupano di
narrativa “producono” necessariamente romanzetti sentimentali,
con derive chick-lit oppure porno-soft come tanto va di moda oggi?
Nel 2013 il premio Nobel è andato ad Alice Munro, dotatissima
signora dei racconti, una vittoria acclamata da tante lettrici, ma
che ha fatto storcere tanti nasi (spesso di lettori!), che
considerano le sue opere storielle da poco; sempre il 2013 ha visto
trionfare al Man Booker Prize (prestigioso premio per gli scritti in
lingua inglese) la neozelandese Eleanor Catton con il suo “The
Luminaries”, che senza mezze parole, ha dichiarato che esserescrittrice significa anche ricevere un trattamento diverso da quellodi uno scrittore (già a partire dalla interviste, sempre incentrate
su sentimenti e sensazioni quando c'è di mezzo una signora). È da
pochissimo inoltre che è stata annunciata la vittoria de “Il
cardellino” di Donna Tartt al Pulitzer.
Che cosa deve fare una
donna per scrivere un Libro con la L maiuscola, un Libro destinato a
entrare nel clan dei classici? E soprattutto che cosa è un classico?
Negli anni degli studi
avevo letto alcuni estratti di un saggio degli anni '40 di T.S. Eliot
proprio sull'argomento e, se la memoria non mi inganna, ricordo che
Eliot credeva che un classico fosse un lavoro universale, che
riflettesse i valori eterni della civiltà dell'antica Roma. Trent'
anni più tardi, negli Stati Uniti, voci diverse hanno iniziato a
levarsi e il passato a cui ci si doveva rivolgere costituiva quello del
Nuovo Mondo, un passato senza certezze ereditate ma in grado, virtualmente, di porre un'infinita serie di
domande. In questo dibattito si è inserito anche lo scrittore
sudafricano J.M. Coetzee: per lui un classico è qualcosa
che sopravvive ai tempi, non una semplice meraviglia estetica, ma
un prodotto di influenze invisibili. Con un balzo nel mondo della
musica, per Coetzee quella di Bach è un classico che ancora oggi in
tanti suonano e apprezzano, definita in un ben determinato contesto
storico (anche se per i coevi di Bach non lo apprezzavano, anzi lo
consideravano vecchio, medievale).
Quindi, potremmo
dire che gli ingredienti per un grande libro siano proprio gli
elementi mutevoli, “dell'incertezza”, così squisitamente umani
(nostalgia, invidia, disperazione, orgoglio, ecc.) uniti a un
determinato contesto storico. Alla luce di ciò, è lecito affermare
con una ragionevole certezza che sì, di classici al femminile ce ne
sono eccome, ma serve (e di fatto è servito) un serio lavoro di
scoperta o riscoperta. Nel 1973 l'americana Carmen Calil
diede vita alle edizioni Virago Press,
una realtà che si proponeva di “ricreare il canone” e di
pubblicare le opere di importanti autrici trascurate se non
addirittura dimenticate. Virago diede una nuova possibilità a molte,
tra cui George Sand, Daphne du Maurier, Mae West. Negli anni sono
state diverse le realtà editoriali a seguire le orme di Virago
Press, “togliendo dalla naftalina” titoli e scrittrici, anche in
seguito al maggior peso della componente femminile nell'opinione
pubblica e nel mondo della cultura. Il rischio (favorito
anche dal politicamente corretto) però è quello di non voler
riconoscere i libri “indegni”,
per la sola ragione che sono stati scritti da donne, oppure di voler
attribuire un significato o una connotazione illegittima a
un'autrice. È
questo, per esempio, il caso di Elizabeth Bishop, da molti
considerata la migliore poetessa americana del 20° secolo, donna
riservata che ha sempre tenuto la propria vita e sessualità fuori
dall'arte. Quando però la poetessa lesbica Adrienne Rich ne campionò
qualche verso, allora Bishop venne conosciuta anche lei come
“poetessa lesbica”, un'incoerenza per un'artista che non ha
mischiato vita personale & letteratura.
Per
la letteratura femminile è stato fondamentale il XIX secolo, periodo
in cui ha avuto inizio la produzione letteraria di “massa” e che
ha visto le donne affacciarsi più numerose al mondo della letteratura:
la produzione di massa ha permesso di aumentare la circolazione di
libri a prezzi più contenuti, mentre l'accesso delle donne
all'istruzione ha fatto sì che aumentasse il numero di lettori. Non
è un caso infatti che, accanto alle grandi scrittrici del 1800 (cito
forse le più note al grande pubblico: Jane Austene e le sorelle
Brontë),
anche
importanti autori, come Flaubert con la sua Madame Bovary e Henry
James con Isabel Archer, abbiano scritto grandi libri con donne
come protagoniste, quasi un “riconoscimento” della nuova
affermazione femminile nel mondo letterario, per quanto ancora
perdurasse il pregiudizio della donna come individuo di limitate
capacità intellettuali, frivola e sentimentale. Il romanzo del 1800
è stato influenzato non solo da questa nuova e consistente ondata di
lettrici, ma anche delle esperienze della relazione uomo-donna:
corteggiamento, matrimonio e persino adulterio. Quindi, partendo da
questo presupposto, possiamo affermare che i romanzi di Jane Austen,
Emily Brontë,
Ellen Wood siano diventati “classici” perché focalizzati su temi
importanti per le donne? Non è una domanda a cui è facile
rispondere... Forse un libro può diventare un “classico” per
diversi meriti: alcuni per meriti “formali”, come l'uso
straordinario della lingua, alcuni per meriti di “contenuto”,
altri per entrambi i meriti.
Non
bisogna inoltre trascurare il ruolo fondamentale delle case editrici
nel decidere chi e cosa debba diventare un “classico”. Tutti gli
editori sono alla ricerca del romanzo sensazionale: dato che non ne
escono poi così tanti, assistiamo a ripubblicazioni di romanzi del
passato, con nuove accattivanti copertine e prefazioni di accademici
di grido... un modo comunque di assicurarsi vendite da una parte di
pubblico. Non va trascurato nemmeno il fattore “moda”, nel caso
in cui certi scrittori (e scrittrici) vengano riscoperti nel momento
in cui torna in auge anche un determinato tema o stile di scrittura e
quindi, con il tempo, si avviano a diventare classici.
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