lunedì 7 aprile 2014

Il principe, ovvero come Machiavelli sondò l'animo umano

A cura di Tonino Mangano


Fra tutti gli anniversari che sono ricorsi nel periodo tra il 2013 e il 2014, uno dei più importanti ed emblematici è senza dubbio il cinquecentenario della pubblicazione de Il Principe di Machiavelli.
L’opera, dedicata a Lorenzo de’ Medici, Magnifico Signore di Firenze (si sottolinea che Lorenzo era il nipote del più famoso e decantato Lorenzo il Magnifico), è forse il primo vero, grande esempio di analisi disincantata della politica italiana e delle relazioni che crea il potere con tutti gli attori che a esso sono legati più o meno direttamente.
Il Principe risale al 1513, un periodo in cui il brillante Machiavelli, dopo aver ricoperto importanti cariche pubbliche nella Segreteria diplomatica della Repubblica fiorentina, viene costretto all’esilio a causa dell’intervento degli spagnoli sul territorio fiorentino, volto a ripristinare il governo mediceo che era stato scacciato dalle sollevazioni risalenti alla discesa in Italia di Carlo VIII di Francia.
Fin dall’occupazione della sua prima carica (Segretario della Seconda Cancelleria), ottenuta non solo in virtù della sua acutezza, ma anche per la sua natura anti-medicea e soprattutto anti-savonaroliana, Machiavelli poté avvalersi di una visione privilegiata del contesto politico nel quale si muoveva la neonata Repubblica fiorentina. I successi professionali gli diedero l’opportunità di fare mostra delle sue indubbie qualità di oratore e pensatore all’interno dell’arena dello scontro demagogico.
Ma ciò che è rilevante nel ricordare Machiavelli è la sua visione disincantata della politica come specchio delle qualità e delle bassezze dell’essere umano, terreno di scontro di virtù e nefandezze.

Leitmotiv di tutta l’opera è la domanda «come mantenere il potere e il controllo su un Principato?». L’autore giunge alla risposta per mezzo di un metodo analitico disgiuntivo, scindendo i temi centrali in sottoinsiemi, e trovando nelle due ultime parole-chiave gli strumenti fondamentali di un buon politico.

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Come dallo schema mostrato, dopo aver basato il proprio discorso sullo Stato – termine usato in senso moderno per la prima volta in un’opera del XVI secolo –, Machiavelli offre una descrizione delle due forme di governo – Repubblica e Principato –, per poi concentrarsi sulla seconda.
Le metodologie di acquisizione del potere e lo studio dei rapporti interni alla società e al mondo politico vengono infine ricondotti ai due concetti fondanti di Fortuna – ovvero la sorte – e Virtù – da considerare anche come la capacità di prevedere le mosse degli avversari –, che sono alla base del programma politico machiavellico.
L’autore de Il Principe si presenta dunque come una sorta di patriota ante litteram, che confidava nell’avvento di un leader che, coniugando in sé Fortuna e Virtù, sarebbe riuscito a dar vita a una potente e unita Nazione Italiana. Fu la figura di Cesare Borgia a incarnare al meglio il pensiero machiavellico. Non a caso assunse le capacità di affrontare la Fortuna e le sue avversità e di “vedere discosto”, di saper prevedere i propri nemici e tutelarsi con relative precauzioni, di atteggiarsi a golpe e leone.
Per quanto concerne la figura di Cesare Borgia, e il pensiero di Machiavelli in genere, è credenza comune che sia stato lui l’ispiratore dell’espressione “il fine giustifica i mezzi”. Oltre a non averla mai citata, Machiavelli non aveva mai preso in considerazione la trasmissione di un’idea simile: deplorava i mezzi
estremi, poiché rimanevano sostanzialmente negativi, anche in vista di un fine supremo e volto al bene, sebbene li ritenesse comportamenti necessari. In poche parole, il male doveva essere fatto velocemente e subito; il bene doveva essere dilazionato nel tempo.
Una visione tanto cruda dell’essere umano, in cui la malvagità viene sublimata a necessità politica, e in cui la Virtù del “vedere discosto” si collega a una visione negativa dell’uomo, basata sul sospetto e la ritrosia nei confronti del prossimo, non può passare inosservata. Machiavelli è riuscito a tracciare uno disegno veritiero della stessa natura umana, variegata di bene e male - elementi che convivono in un equilibrio precario, un labile confine di cui è difficile individuare una distinzione netta.
Non è esagerato riconoscere l’originalità che Machiavelli ha saputo dimostrare rispetto a molti autori a lui contemporanei e che si sono distinti per la pubblicazione di stampo utopistico. Basti pensare all’Utopia di Thomas Moore, che narra dell’isola omonima, un bel luogo, ma anche un non-luogo, in cui è la Cultura il motore che muove le azioni di ogni individuo e che si vota al raggiungimento del sommo fine, incarnato dalla Felicità di tutti.
Machiavelli opera un taglio netto con la produzione precedente, abbandonando ogni intenzione di creare un sistema utopistico da usare come modello su cui plasmare la realtà circostante, ma costruisce un pensiero basato sui mezzi di cui effettivamente si può disporre, senza discostarsi dalla concretezza.
Sono proprio i motivi per cui quest'opera, lunga poco più di cento pagine, ha rivestito un'importanza focale nella nostra cultura, tanto da essere ricordata in vari festeggiamenti promossi da diversi enti locali.
Un esempio sono i seminari e le iniziative che hanno preso vita nei comuni toscani.
Interessanti sono anche le pubblicazioni editoriali: nel 2013 è uscito nelle librerie il testo con la critica di Giorgio Inglese, edito Einaudi. Ma per gli appassionati, gli studiosi o i semplici curiosi, è prevista, per il 2015, la pubblicazione di una vera e propria Enciclopedia Machiavelliana, composta da due volumi e contenente la raccolta dei commenti e degli studi sul pensiero politico di Machiavelli a livello italiano e internazionale, che mostra le interpretazioni sulla sua opera.


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