Fra
tutti gli anniversari che sono ricorsi nel periodo tra il 2013 e il
2014, uno dei più importanti ed emblematici è senza dubbio il
cinquecentenario della pubblicazione de Il Principe di
Machiavelli.
L’opera,
dedicata a Lorenzo de’ Medici, Magnifico Signore di Firenze (si
sottolinea che Lorenzo era il nipote del più famoso e decantato
Lorenzo il Magnifico), è forse il primo vero, grande esempio di
analisi disincantata della politica italiana e delle relazioni che
crea il potere con tutti gli attori che a esso sono legati più o
meno direttamente.
Il
Principe risale al 1513, un periodo in cui il brillante
Machiavelli, dopo aver ricoperto importanti cariche pubbliche nella
Segreteria diplomatica della Repubblica fiorentina, viene costretto
all’esilio a causa dell’intervento degli spagnoli sul territorio
fiorentino, volto a ripristinare il governo mediceo che era stato
scacciato dalle sollevazioni risalenti alla discesa in Italia di
Carlo VIII di Francia.
Fin
dall’occupazione della sua prima carica (Segretario della Seconda
Cancelleria), ottenuta non solo in virtù della sua acutezza, ma
anche per la sua natura anti-medicea e soprattutto
anti-savonaroliana, Machiavelli poté avvalersi di una visione
privilegiata del contesto politico nel quale si muoveva la neonata
Repubblica fiorentina. I successi professionali gli diedero
l’opportunità di fare mostra delle sue indubbie qualità di
oratore e pensatore all’interno dell’arena dello scontro
demagogico.
Ma
ciò che è rilevante nel ricordare Machiavelli è la sua visione
disincantata della politica come specchio delle qualità e delle
bassezze dell’essere umano, terreno di scontro di virtù e
nefandezze.
Leitmotiv
di tutta l’opera è la domanda «come mantenere il potere e il
controllo su un Principato?». L’autore giunge alla risposta per
mezzo di un metodo analitico disgiuntivo, scindendo i temi centrali
in sottoinsiemi, e trovando nelle due ultime parole-chiave gli
strumenti fondamentali di un buon politico.
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Come
dallo schema mostrato, dopo aver basato il proprio discorso sullo
Stato – termine usato in senso moderno per la prima volta in
un’opera del XVI secolo –, Machiavelli offre una descrizione
delle due forme di governo – Repubblica e Principato –, per poi
concentrarsi sulla seconda.
Le
metodologie di acquisizione del potere e lo studio dei rapporti
interni alla società e al mondo politico vengono infine ricondotti
ai due concetti fondanti di Fortuna – ovvero la sorte – e Virtù
– da considerare anche come la capacità di prevedere le mosse
degli avversari –, che sono alla base del programma politico
machiavellico.
L’autore
de Il Principe si presenta dunque come una sorta di patriota
ante litteram, che confidava nell’avvento di un leader che,
coniugando in sé Fortuna e Virtù, sarebbe riuscito a dar vita a una
potente e unita Nazione Italiana. Fu la figura di Cesare Borgia a
incarnare al meglio il pensiero machiavellico. Non a caso assunse le
capacità di affrontare la Fortuna e le sue avversità e di “vedere
discosto”, di saper prevedere i propri nemici e tutelarsi con
relative precauzioni, di atteggiarsi a golpe e leone.
Per
quanto concerne la figura di Cesare Borgia, e il pensiero di
Machiavelli in genere, è credenza comune che sia stato lui
l’ispiratore dell’espressione “il fine giustifica i mezzi”.
Oltre a non averla mai citata, Machiavelli non aveva mai preso in
considerazione la trasmissione di un’idea simile: deplorava i mezzi
estremi,
poiché rimanevano sostanzialmente negativi, anche in vista di un
fine supremo e volto al bene, sebbene li ritenesse comportamenti
necessari. In poche parole, il male doveva essere fatto velocemente e
subito; il bene doveva essere dilazionato nel tempo.
Una
visione tanto cruda dell’essere umano, in cui la malvagità viene
sublimata a necessità politica, e in cui la Virtù del “vedere
discosto” si collega a una visione negativa dell’uomo, basata sul
sospetto e la ritrosia nei confronti del prossimo, non può passare
inosservata. Machiavelli è riuscito a tracciare uno disegno
veritiero della stessa natura umana, variegata di bene e male -
elementi che convivono in un equilibrio precario, un labile confine
di cui è difficile individuare una distinzione netta.
Non
è esagerato riconoscere l’originalità che Machiavelli ha saputo
dimostrare rispetto a molti autori a lui contemporanei e che si sono
distinti per la pubblicazione di stampo utopistico. Basti pensare
all’Utopia di Thomas Moore, che narra dell’isola omonima,
un bel luogo, ma anche un non-luogo, in cui è la Cultura il motore
che muove le azioni di ogni individuo e che si vota al raggiungimento
del sommo fine, incarnato dalla Felicità di tutti.
Machiavelli
opera un taglio netto con la produzione precedente, abbandonando ogni
intenzione di creare un sistema utopistico da usare come modello su
cui plasmare la realtà circostante, ma costruisce un pensiero basato
sui mezzi di cui effettivamente si può disporre, senza discostarsi
dalla concretezza.
Sono
proprio i motivi per cui quest'opera, lunga poco più di cento
pagine, ha rivestito un'importanza focale nella nostra cultura, tanto
da essere ricordata in vari festeggiamenti promossi da diversi enti
locali.
Un
esempio sono i seminari e le iniziative che hanno preso vita nei
comuni toscani.
Interessanti
sono anche le pubblicazioni editoriali: nel 2013 è uscito nelle
librerie il testo con la critica di Giorgio Inglese, edito Einaudi.
Ma per gli appassionati, gli studiosi o i semplici curiosi, è
prevista, per il 2015, la pubblicazione di una vera e propria
Enciclopedia Machiavelliana, composta da due volumi e contenente la
raccolta dei commenti e degli studi sul pensiero politico di
Machiavelli a livello italiano e internazionale, che mostra le
interpretazioni sulla sua opera.
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