A cura di Elli.
Speciale Tolkien, parte 1
Il Silmarillion
Grazie alla famosa trasposizione cinematografica della sua opera più conosciuta, il nome di J.R.R. Tolkien da un decennio gode di una fama che si estende ben al di là della cerchia degli appassionati di letteratura fantastica. In parallelo e in parte a causa del revival tolkieniano, il genere fantasy tout court ha conosciuto una nuova e persistente fase di gloria (con tutti i pro e i contro tipici di un fenomeno di massa). A quasi sessant'anni dalla comparsa de La Compagnia dell'Anello, il professore di Oxford è da molti additato come il padre della cosiddetta fantasy epica o classica (opinione da molti altri contrastata, ma qui andremmo fuori strada, addentrandoci in una disputa che - almeno per il momento - non ci riguarda). Quel che è certo è che il suo contributo, proprio per il singolare percorso che condusse alla creazione del suo personale universo fantastico, ha rappresentato una tappa fondamentale nello sviluppo di questo genere letterario così come lo conosciamo oggi.
In tutto questo, curiosamente, i romanzi che diedero fama immortale a questo autore, Il Signore degli Anelli e il suo “prequel”, Lo Hobbit, furono quasi degli strani incidenti di percorso, perché in realtà l'opera a cui Tolkien lavorò per tutta la vita e a cui teneva più di ogni altra - al punto da continuare a perfezionarla all'infinito, come testimonia l'immensa History of Middle-Earth - era un'altra: Il Silmarillion, l'ultimo dei maggiori testi tolkieniani a giungere alla pubblicazione, ma in realtà il primo a venire concepito.
Tutto, com'è ben noto agli appassionati, nacque dal singolare hobby di creare lingue artificiali, un passatempo che il nostro coltivava fin dall'infanzia. L'elaborazione delle lingue elfiche, prima il Quenya e in seguito il Sindarin, iniziò nel 1910 e proseguì negli anni successivi partendo dal presupposto che entrambe si fossero sviluppate da un'origine comune. Quando la necessità di fornire una sorta di retroterra storico a queste due lingue - espediente secondo Tolkien necessario a dare verosimiglianza al tutto - si unì alla passione del professore per il mito, ecco che nacquero i primi racconti del cosiddetto Book of Lost Tales, il Libro dei Racconti Perduti.
Tolkien era sempre stato affascinato dai miti e dalle fiabe, e il fatto che il suo paese non possedesse storie veramente proprie era per lui motivo di grande rammarico. Per “racconti davvero propri” il professore intendeva storie che fossero un tutt'uno con la lingua e il territorio di un determinato paese. Non a caso Tolkien aveva sempre guardato con grande ammirazione e una certa invidia ai miti celtici, germanici, scandinavi e greci, qualcosa che al suo amato paese mancava del tutto. Nella sua mente nacque quindi l'idea di supplire a tale carenza, elaborando lui stesso una mitologia ad hoc, “un corpo di leggende più o meno interconnesse tra loro, che spaziassero dalla vastità della cosmogonia alla fiaba romantica”.
Il primo racconto di questo corpus, The Fall of Gondolin, venne scritto nel 1917. Nei progetti di Tolkien vi sarebbero state alcune narrazioni maggiori del tutto compiute, mentre altre sarebbero rimaste semplicemente abbozzate e inserite nello schema generale. I diversi cicli sarebbero stati quindi collegati fra loro in un insieme grandioso, costruito però appositamente affinché altre menti potessero aggiungervi del proprio. Alcuni racconti sfuggirono a questa trama sempre più ramificata, risultando in ultima analisi scollegati da essa; altri, come Lo Hobbit, pur essendo stati concepiti come indipendenti finirono per confluire al suo interno.
Nella forma oggi universalmente conosciuta, Il Silmarillion è il risultato del paziente lavoro di ricostruzione operato dal figlio Christopher sui numerosissimi appunti del padre; quest'ultimo non aveva mai smesso infatti di rivedere e ampliare il suo ciclo di leggende che non assunse mai, lui vivente, una forma definitiva.
Il testo venne pubblicato postumo nel 1977, a quattro anni dalla morte del suo autore. In esso, secondo la volontà dello stesso Tolkien, sono compresi cinque racconti più o meno lunghi: l'Ainulindalë (La Musica degli Ainur), il Valaquenta (Il Novero dei Valar), il Quenta Silmarillion (La storia dei Silmaril), l'Akallabêth(La Caduta di Númenor) e infine una sezione intitolata Degli Anelli del Potere e della Terza Era.
I racconti partono dalla creazione dell'Universo Materiale a opera di Ilúvatar (Dio) e degli Ainur, esseri che Tolkien definisce Potenze Angeliche e dietro cui si celano gli dèi della tradizione pagana; Tolkien, infatti, persuaso com'era che ogni mito contenesse in sé una parte di verità, intendeva “dare vita a esseri dotati delle medesime bellezza, potenza e maestà degli dèi della mitologia più nobile, che però potessero essere accettati […] da chi crede nella Santissima Trinità”. In un secondo momento i Valar discendono in Arda (la Terra), dimorando inizialmente nella Terra di Mezzo; ma quando quest'ultima viene assalita e devastata dalle schiere dell'Ainur ribelle Melkor (né più né meno che il nostro Lucifero), essi si rifugiano nella più occidentale delle terre di Arda, Valinor, conosciuta anche come Aman, Paese Beato o Terre Immortali.
A questo punto entrano in scena i Priminati, i primogeniti Figli di Ilúvatar: gli Elfi, esseri immortali destinati a durare fin quando fosse durato il mondo stesso. Con la comparsa degli Elfi inizia la narrazione della storia dei Silmaril, un lungo racconto ambientato nei Tempi Remoti che si conclude con la sconfitta di Melkor (poi ribattezzato Morgoth, ovvero l'Oscuro nemico del mondo) e la fine della Prima Era. Il Quenta Silmarillion prende avvio quando i Valar invitano gli Elfi della Terra di Mezzo a dimorare nel Paese Beato. I Priminati che vi giunsero (altri al contrario non varcarono mai il Grande Mare) erano divisi in tre stirpi: i Vanyar, i Noldor e i Teleri. I Silmaril del titolo sono tre gioielli creati dal più grande artigiano elfico di Valinor: Fëanor della stirpe dei Noldor. In questi gioielli egli aveva racchiuso la luce dei due Alberi Sacri, l'Albero d'Argento e l'Albero d'Oro, che illuminavano il Paese Beato prima che il sole e la luna si levassero. I due alberi vennero uccisi da Melkor con la collaborazione del ragno Ungoliant; non contento, Melkor rubò i Silmaril e lasciò per sempre Valinor, non senza prima aver seminato sospetti e inimicizie fra gli Elfi e i Valar. Fu allora che Fëanor e i suoi figli pronunciarono un terribile giuramento: inseguire Melkor/Morgoth fino ai confini del mondo, recuperare i Silmaril rubati e perseguitare qualsiasi creatura, grande o piccola, buona o malvagia, che avesse osato trattenere uno dei gioielli di loro proprietà. A causa però del genocidio commesso ai danni degli Elfi Teleri durante la fuga da Valinor, i Noldor vennero maledetti: Mandos, dio dei morti, apparve loro e li avvertì che il loro stesso giuramento li avrebbe condotti alla rovina, che essi sarebbero stati costretti a tenervi fede fino alla fine dei loro giorni fra grandi dolori e sofferenze, ma che mai avrebbero ottenuto alcun risultato. Seguono i vari episodi della lunga lotta sostenuta da Fëanor e dai suoi discendenti nel tentativo di recuperare i tre gioielli.
Alle vicende degli Elfi, da un certo punto in poi, si intrecceranno quelle dei Secondogeniti, gli Uomini, e in particolare di quegli Uomini appartenenti alle cosiddette Tre Case: Bëor, Hador e Halet. Troviamo in questa sezione alcune delle storie più affascinanti e di ampio respiro create da Tolkien, come il tormentato amore del mortale Beren per la principessa elfica Lúthien (antenati, sia in senso figurato che reale, di Aragorn e Arwen), la tragica storia dei figli di Húrin e la caduta della più grande roccaforte elfica, la meravigliosa città nascosta di Gondolin. Alla fine del Quenta Silmarillion i Valar, accogliendo la richiesta di perdono e di aiuto perpetrata dal mezzelfo Eärendil (padre di Elrond di Gran Burrone) scenderanno direttamente in guerra contro Morgoth.
Il Silmarillion vero e proprio termina qui, ma la storia prosegue con altri due racconti. Il primo l'Akallabêth, narra della nascita e della caduta di Númenor e si ispira apertamente al mito di Atlantide. L'ultima sezione invece, aggiunta soltanto dopo la stesura de Il Signore degli Anelli, narra gli antefatti diretti del romanzo fino all'ultima alleanza fra Uomini ed Elfi e alla temporanea sconfitta di Sauron, antico luogotenente di Morgoth e suo degno erede.
Sicuramente Il Silmarillion è un testo unico nel suo genere. Non si tratta infatti di un romanzo né di una serie di racconti, quanto piuttosto di una raccolta di cronache dei tempi antichi narrate con uno stile particolarissimo che Tolkien definiva “distaccato e limpido”. Questa sua peculiarità di certo non ne facilitò la pubblicazione; se già infatti gli editori avevano dei dubbi sull'accoglienza di un'opera come Il Signore degli Anelli, immaginiamoci quante speranze poteva avere questo immenso, elaborato e del tutto inusuale legendarium. A un certo punto della sua vita, nonostante l'amore da sempre nutrito per l'opera che occupò gran parte della sua esistenza, Tolkien espresse perfino dei dubbi sulla opportunità di renderla nota al grande pubblico; egli riteneva infatti che uno degli elementi di maggiore fascino della sua trilogia fosse appunto quella storia più vasta di cui il lettore percepiva appena la presenza attraverso i costanti (ma mai del tutto esplicativi) riferimenti sparsi nei tre romanzi. Svelare questi retroscena avrebbe significato secondo lui distruggere parte della magia. Oggi possiamo al contrario essere più che grati a chi ci ha permesso di addentrarci così in profondità nel Mondo Secondario di Tolkien; nel Silmarillion ritroviamo infatti tutte le tematiche tolkieniane espresse al massimo della loro chiarezza e nel linguaggio più caro e congeniale al loro creatore: quello, potentissimo, del mito.
Personalmente ho apprezzato moltissimo quest'opera, e concordo con Tolkien nel ritenerla la sua maggiore, probabilmente quella che più si confà al suo modo di narrare. Se infatti un paio di appunti si possono senz'altro fare al Tolkien romanziere, più difficilmente si può cogliere in fallo il Tolkien creatore e cantore di miti. Storie che davvero appaiono senza tempo, dal respiro immenso ed epico. La più riuscita a mio parere, quella che già da sola varrebbe tutto il libro, è la sezione che tratta di Túrin Turambar (la si può leggere in versione ampliata e leggermente alternativa anche nella recente pubblicazione I Figli di Húrin, sempre a cura dell'instancabile e un tantino onnipresente Christopher Tolkien), forse proprio perché si tratta di un caso isolato all'interno del corpus dell'autore, quasi un'anomalia, sia per i temi trattati sia per il tono cupo e angosciante che le conferisce un fascino oscuro del tutto assente dal resto dell'opera tolkieniana.
Nella sua interezza Il Silmarillion è un testo a cui avvicinarsi con cautela, consci della sua natura e della sua complessità (tanto per dirne una, durante la lettura è indispensabile tenere sempre d'occhio i vari alberi genealogici, altrimenti si rischia di perdere completamente il filo), ma imprescindibile per chiunque voglia davvero conoscere l'universo tolkieniano e il significato ultimo della sua opera. Dopo averlo letto, infatti, ci si renderà conto che il senso de Il Signore degli Anelli difficilmente può essere compreso senza conoscere tutti i gli antefatti di quella singola storia, e che il vero messaggio di Tolkien, che altro non voleva se non parlare della “Caduta, della Mortalità e della Macchina” e dei rapporti di tutto ciò con la creazione artistica, si può recuperare solo conoscendo l'evoluzione del suo mondo fin dall'inizio dei tempi.
Consiglio a tutti, se avete qualche soldino in più da spendere, la splendida edizione a copertina rigida illustrata da Ted Nasmith (quando l'ho acquistata, nel 2005, si trattava anche della traduzione più aggiornata). Per quanto, fra gli illustratori tolkieniani, apprezzi particolarmente il tratto morbido e i colori tenui di Alan Lee, anche le immagini vivide e i volti spigolosi di Nasmith hanno un loro fascino. E poi fa un figurone in libreria! J
Tolkien è sempre bello ed io questo libro non lo ho letto - anche se sapevo della sua esistenza ...
RispondiElimina@Arwen: se ti piace Tolkien allora non puoi proprio perdertelo! ;) Vedrai che dopo anche "Il Signore degli Anelli" ti apparirà sotto una luce diversa. Poi dipende dai gusti. Molti lo trovano noioso, io invece l'ho trovato stupendo e per nulla pesante. :P
RispondiEliminaIo l'ho letto, amandolo profondamente, anche se (soprattutto i primi capitoli) con fatica. E' un'opera immensa e, come hai scritto tu, una vera e propria epopea epica. Insomma, l'ho proprio adorato :)
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