lunedì 30 marzo 2015

Editori allo scoperto: successo confermato per il primo evento



Francesco Romeo e Dario Ricciardo
di Corrimano Edizioni
Si è concluso ieri il primo appuntamento di Editori allo scoperto, progetto collettivo nato a Palermo dalla sinergia di quattordici piccole case editrici; fare rete creando momenti di incontro con il pubblico, ma soprattutto dare vita a dibattiti culturali, reading e occasioni preziose per diffondere l'amore per la lettura sono gli intenti di questa nuova iniziativa che profuma, diciamolo, di speranza.
In un momento dove nessuno scommette sull'editoria, Glifo Edizioni, Corrimano Edizioni, Il Palindromo Edizioni, Edizioni Leima, Navarra Editore, Torri del Vento Edizioni, Urban Apnea Edizioni, Istituto Poligrafico Europeo, Mesogea, AAS Press, Spazio Cultura Edizioni, Edizioni Caracol, 21 Editore e Qanat Edizioni, ovvero la migliore rappresentanza dell'editoria palermitana, si uniscono per cercare di "spuntarla" e per rivoluzionare il concetto di editoria  chiusa in se stessa e tacciata di autoreferenzialità, promuovendo l'incontro diretto tra l'editore e il pubblico e incoraggiando quest'ultimo, anzi, a divenire parte attiva del processo editoriale.



Tutto questo, non mi stancherò mai di dirlo, è vitale in una città dove gli sforzi culturali (che però, forse, dovrebbero concentrarsi anche in periferia, e non solo nel centro) devono sopperire alla mancata educazione alla lettura  la quale, se esiste, ha dato risultati desolanti: in Sicilia, infatti, è il 71,8% della popolazione a non aver letto nemmeno un libro in un anno [Fonte: La Sicilia]. Si tratta però di rafforzare anche il bacino di lettori già esistente, indirizzandolo verso la realtà locale spesso misconosciuta, inglobandolo in un'esperienza artistica (Bobez Arte, in via Isidoro La Lumia, è stata la prima tappa di Editori allo Scoperto) e sensoriale. È infatti un clima di vivace dialogo, che ha avuto come colonna sonora le parole riecheggianti dei libri protagonisti durante i reading, quello nel quale ci si è immersi sabato 28 e domenica 29. Il piacere dell'incontro con chi i libri li fa, mettendo questa volta in gioco la propria presenza  non solo il proprio nome   è stato accresciuto dall'ambientazione suggestiva e dall'atmosfera informale, davvero lontana dall'aria di austerità ed elitarismo spesso associata agli eventi culturali.
Un'affluenza sorprendente è stata poi la conferma che "fare rete" a Palermo non è una cosa soltanto possibile, ma addirittura vincente. 

Bobez Arte è in via Isidoro La Lumia
22, Palermo
La novità più eclatante: portare libri anche nei contesti insoliti (all'interno di appartamenti ed esercizi commerciali, e non solo nei caffè letterari), rendendo il libro (non il marchio) veicolo di una rivoluzione culturale che parla ai cittadini.
Mentre i palermitani attendono la nuova edizione di Una marina di libri, fiera dell'editoria indipendente, Editori allo scoperto mette radici nel suolo sassoso della vita culturale della città. Per cercare di rompere l'humus della diffidenza, per coinvolgere una città che, nei libri, vuole credere come in questi anni non aveva mai fatto. 







domenica 29 marzo 2015

Recensione: L’uomo di Schrödinger di Giovanni Marchese





9788889122792
L’uomo di Schrödinger, Giovanni Marchese
Verbavolant edizioni
200 pagine, 13,.00 euro
L’uomo di Schrödinger è un libro che non passa inosservato. La sua lettura, che può risultare a tratti difficoltosa, genera un senso di sofferenza e l'accumulo di un'alta dose di tensione che sfocia in un finale emblematico.
Un uomo si risveglia e non ricorda chi è, ha una profonda ferita in testa che gli fa spesso perdere conoscenza, indossa degli abiti che non sono i suoi e ha nel portafoglio i documenti di un asiatico che evidentemente non gli appartengono. Dal momento del risveglio il suo unico obiettivo è capire cosa gli sia successo e soprattutto quale sia la sua storia.
Tutto ciò porta ad un viaggio allucinato ai confini di una realtà disturbante fatta di misteriose sette segrete, sanguinosi delitti, complotti e produttori di film porno: la rappresentazione del ventre oscuro e perverso di un’Italia paradossale, cattiva e demente, collocata in un ipotetico futuro non troppo lontano.
L’odissea di un uomo che ha perso la memoria, ma capace di sognare e di ricordare brevi frammenti della sua vita, in un paese scosso dalla crisi economica e dall’imminente, inspiegabile, arrivo degli extraterrestri.
Il titolo ricorda il famoso paradosso del gatto di Schrödinger, che vede la teorica coesistenza di due stati (gatto vivo e gatto morto) fino a quando non si osserverà dentro la scatola; allo stesso modo il protagonista del romanzo è e non è, contemporaneamente. Almeno fino al drammatico finale.
Il disperato tentativo del protagonista di ritrovare il suo passato e se stesso viene reso dall’autore per mezzo di periodi brevi, con una punteggiatura abbondante, frasi secche e un ritmo incalzante che, pur essendo a volte impattante, riesce a coinvolgere il lettore, contribuendo a creare il clima di tensione e angoscia che caratterizza tutto il romanzo.
Molti riferimenti, almeno a una prima lettura, risultano poco chiari e difficilmente comprensibili. Il romanzo è ricco infatti di citazioni letterarie e cinematografiche, alcune solamente accennate, utilizzate come sfondo alla trama principale. Non è semplice dipanare un'intricata matassa che racchiude attori di cinema porno, sette religiose, fantasmi, rettiliani, bambini tutti uguali con gli occhi azzurri e i capelli biondi e flashback di un efferato omicidio.
Ne L’uomo di Schrödinger la realtà e l’incubo si rincorrono, raramente si riesce a comprendere se quello che sta succedendo sia reale oppure se si tratti dell’immaginazione scombussolata e allucinata del protagonista. Tutto ciò porta, in un climax di tensione, a una fine per certi versi drammatica, non certo scontata.
In conclusione, si tratta di un libro non certo rilassante, ma sicuramente intelligente e consapevolmente disturbante, che accompagna il lettore in un viaggio onirico ai confini della realtà. Per tutti gli amanti della suspence e delle letture poco convenzionali, che non disdegnano un tocco di noir, si rivelerà una lettura senza dubbio piacevole.

Voto: 




Giovanni Marchese
è nato a Catania nel 1976. Alcuni suoi racconti sono apparsi sulle riviste Nuova Prosa, Alibi, DoppioZero, Verde, L’Inquieto, MareNero e in antologie quali Storytellers e La Semana Negra di Gijon.
Autore del saggio Leggere Hugo Pratt (2006), ha anche scritto soggetto e sceneggiatura dei graphic novel Ti sto cercando (2008), Nessun ricordo (2009) e Invito al massacro (2012), pubblicati da Tunué, e di alcuni fumetti brevi apparsi su varie raccolte.
Dal 2010 cura Nerdelite, blog dedicato al fumetto e alla letteratura:
http://nerd-elite.blogspot.it/




sabato 28 marzo 2015

Bruciare libri è come bruciare persone: sul rogo di piazza Oberdan



Succede che si creda fermamente e utopisticamente nel fatto che i libri possano cambiare le persone, le epoche, i modi di pensare; che i libri contribuiscano a creare un mondo migliore, che la cultura possa opporsi a barbarie, ignoranza, ristrettezza mentale.
Succede che si apra una casa editrice. E che si riversino in essa queste speranze.
Forse, però, non aveva torto Tucidide quando affermava che la storia è un eterno ritorno. È possibile che l'umanità non possa essere educata, e che malgrado le conquiste civili rimanga solo un coacervo di rozzezza e vergognosa stupidità.
Non si spiega altrimenti perché, dopo nemmeno un secolo dai roghi nazisti, un gruppo di omuncoli accomunati dal mononeurone abbia pensato di organizzare, sotto i vessilli di Forza Nuova, un rogo di libri.


Reperti storici in diretta da Piazza Oberdan
No, non siete tornati indietro e non siamo di nuovo piombati nel Medioevo (in teoria, almeno): siamo ancora nel 2015, e nel 2015 il gruppo di individui sopra citati ha la facoltà di prendere i libri de Lostampatello, casa editrice specializzata in libri per l'infanzia sull'omogenitorialità, e dargli fuoco. Chi ama i libri non può restare indifferente (io, personalmente, credo piangerei calde lacrime davanti a una scena del genere), ma il punto, purtroppo, non sono soltanto i libri: questa violenza attacca la democrazia, la libertà di stampa e di parola, la possibilità di un futuro diverso da questo presente scialbo e deprimente. A ogni voce contraria, si alzerà un fuoco che la metterà a tacere. Quando vedremo una nuova notte dei cristalli? 

La causa omosessuale e la libertà di educare contro la discriminazione di genere sono da tempo contestati in modo ferale. Ha raccontato Loredana Lipperini che, in una scuola, sono state istituite commissioni di genitori e preti che approvassero o bloccassero, in via precauzionale, i progetti scolastici. Forse però nessuna azione è nauseante quanto questa: bruciare libri equivale a bruciare idee, speranze e persone. Non stanno bruciando fogli di carta, stanno bruciando le persone che hanno scritto, curato, amato, vissuto e sperato nel fatto che quei fascicoli potessero veicolare l'amore per il prossimo, con delicatezza e senza pregiudizi. 
Uno dei "pericolosissimi" libri de Lo
stempatello


Se censurare i libri di Costanza Miriano (è stato fatto in Spagna) viola la libertà di espressione, per quanto quella espressione voglia negare proprio il futuro migliore per cui si combatte, bruciare libri in piazza dovrebbe essere considerato un atto di violenza, penalmente punibile, verso i principi costituzionali e democratici dello Stato italiano e verso i suoi cittadini. 

Lo scempio di quello che accadrà oggi pomeriggio in piazza Oberdan (Milano) spero verrà ricordato come il fallimento  di un paese ancora largamente fascista, omofobo, regredito, privo di intelletto e animalesco. Bruciare libri è un atto di odio. Ma che l'odio, se necessario, sia coltivato privatamente e non nuoccia a chi spera ancora di cambiare, con i libri, un mondo che forse dovrebbe bruciare prima di tutto se stesso.



mercoledì 25 marzo 2015

W...w...w... Wednesday! (69)

www...wednesdays è stato creato da MizB di ShouldBeReading


What are you currently reading? (Cosa stai leggendo?)
What did you recently finish reading? (Quale libro hai finito di recente?)
What do you think you’ll read next? (Quale libro pensi sarà la tua prossima lettura?)




La settimana è passata davvero in fretta, e io sono riuscita a leggere un libro e mezzo. Ma questo sembra il mese dei mattoncini, e così dopo la lunga lettura de Il maledetto (QUI la recensione) sono ora passata a Il trono di spade (sì, quello che da tanto tempo dico di dover leggere, ma adesso inizia la quinta stagione della serie, ergo dovevo farlo. Anche se ovviamente non riuscirò a terminare la saga entro il 12 aprile). Essendo lungo 800 pagine credo occuperà il mio tempo almeno fino a domenica o lunedì, dopo il quale spero di finire in massimo due giorni Cold Spring Harbor di Yates (non vedo l'ora *-*) o, in alternativa, Refusi. Diario di un editore incorreggibile di Marco Cassini, che dovrebbe servirmi per la tesi.
Il libro per intero letto questa settimana è stato, invece, Franny e Zooey di Salinger, che credo rileggerò - perché Salinger, insomma, non può essere letto solo una volta. Devi assimilarlo, lasciare che ogni parola ti entri dentro per osmosi; devi arrenderti ai personaggi e accettare il fatto che ti tormenteranno per giorni e poi venire a patti con te stesso e chiederti: "quanto di me c'è in questo libro?", E digerire, come un boccone amaro, la risposta. 
Suite francese è ancora a meno di metà - lo leggo nei ritagli di tempo - mentre Middlesex dovrà aspettare ancora una settimana. Vorrei concludere marzo con 21 libri finiti nel 2015, ma il tempo stringe, le letture sono troppo lunghe e io ho sempre tante cose da fare (ad esempio laurearmi!)


What are you currently reading?



What did you recently finish reading?



What do you think you’ll read next?



martedì 24 marzo 2015

Recensione: Gli anni al contrario di Nadia Terranova



Gli anni al contrario, Nadia Terranova
Einaudi (Stile Libero)
144 pagine, 16.00 euro
Se siamo abituati a pensare agli anni '70 come ad anni favolosi, patinati, scatenati e disinibiti (almeno in una parte dell'Italia, o del mondo), la versione che Nadia Terranova offre non potrà che sconvolgere le nostre aspettative. Così non sembra essere infatti a Messina, in Sicilia, dove si svolge la storia di Aurora e Giovanni. La ragazza è la piccola di casa Silini, succube di un padre conservatore (nella storia è definito il "fascistissimo") che non vede l'ora di liberarsene dandola in moglie. Aurora scopre un mondo nuovo quando comincia a frequentare l'università e decide di dare ripetizioni a uno studente svogliato, con lo sguardo malizioso e spavaldo che riesce poco dopo a conquistarla. È Giovanni Santatorre, figlio di un noto avvocato, che ha deciso di abbandonare la strada già tracciata dalla professione del padre per dedicarsi all'impegno politico. I due si lasciano infiammare dai movimenti studenteschi e insieme attraversano l'Italia per protestare ma, dopo una vacanza, sono costretti a sposarsi prematuramente perché Aurora aspetta un figlio.


La casetta in miniatura diventa il loro nido, ma Giovanni ha la testa altrove mentre Aurora si impegna per cercare di costruirsi un futuro. Il ragazzo non riesce a trovare il suo posto, è convinto che il mondo si possa cambiare solo con la violenza e la partecipazione attiva agli scontri. Nonostante questo spirito d'azione, Giovanni si lascia annichilire cominciando a far uso di droghe. Dapprima si tratta solo di alcune canne fumate tra amici, poi si passa velocemente all'eroina. Aurora nel frattempo si ritrova sempre più sola e costretta a mandare avanti la sua famiglia finché non decide, convinta dalle continue ricadute e promesse non mantenute dal marito, di separarsi da lui.
Nel frattempo la loro bambina, Mara, cresce vivendo il disagio di una situazione che non capisce, ma che alla fine non le impedisce di vivere un'infanzia spensierata, senza dimenticare l'importanza delle due persone che l'hanno messa al mondo.

Se dovessi raccontare in poche parole la trama di questo bellissimo romanzo, la mia sintesi sarebbe questa: storia di due solitudini, anzi tre. Nadia Terranova è riuscita a contenere in un libro brevissimo tantissimi spunti di riflessione, che abbracciano tematiche portanti della vita di coppia, della genitorialità e della malattia, ma anche profondamente attinte dalla Storia. Gli attentati della Raf, l'uccisione di Aldo Moro e di Peppino Impastato, ma anche il mito del muro di Berlino e della lotta armata si scontrano con l'inizio della diffusione dell'eroina e del virus dell'Aids.

Mi ha impressionato la scioltezza con la quale l'autrice è riuscita a incastrare le vite dei protagonisti, soprattutto nella parte iniziale, nella quale si racconta della loro infanzia; ma anche la semplicità con cui ha saputo dar voce a quei silenzi che si respirano tra Aurora e Giovanni, ancor più significativi delle loro parole. Gli anni al contrario è una ininterrotta narrazione dove le voci fanno da contorno alle vite, turbate dal vizio tipicamente siciliano di nascondere a se stessi il dolore e la solitudine, di tacere per non mostrare la disfatta.

"Si illusero che stavolta sarebbe stato diverso. E forse sarebbe stato vero perché entrambi erano stanchi di fare e disfare le valigie, di non chiudere mai un occhio quando invece era facile viversi accanto senza dover vedere proprio tutto, senza che Giovanni rinunciasse alle sue notti fuori casa. Bastava renderle meno pubbliche, meno evidenti. Bastava che i pianti improvvisi di Aurora si diradassero, che Giovanni imparasse a nascondere meglio le sue dipendenze. In fondo, bastava far finta di niente. Si specializzarono in silenzi opportuni, divennero complici e conniventi".

Un romanzo che va letto e interiorizzato, semplice eppure così profondo da lasciare un groppo alla gola una volta concluso.


Voto: 





Nadia Terranova (1978)
è nata a Messina e vive a Roma. Tra i suoi libri, Bruno. Il bambino che imparò a volare (Orecchio Acerbo 2012, illustrazioni di Ofra Amit) che ha vinto il Premio Napoli e il Premio Laura Orvieto ed è stato tradotto in Spagna. Collabora con «IL Magazine» e «pagina99». Gli anni al contrario (Einaudi Stile Libero 2015) è il suo primo romanzo.

lunedì 23 marzo 2015

Recensione: Il maledetto di Joyce Carol Oates



Il maledetto, Joyce Carol Oates
Mondadori
627 pagine, 25.00 euro
Della pressoché sterminata produzione di Joyce Carol Oates è stata tradotta, in Italia, una parte infinitesimale. Il quinto libro della cosiddetta Gothic Saga, ad esempio, è stato pubblicato senza che vedessimo traccia dei precedenti quattro: Bellefleur (1980), A Bloodsmoor Romance (1982), Mysteries of Winterthurn (1984) e My Heart Laid Bare (1998). Il danno non è ingente, dato che si tratta di romanzi autoconclusivi, ma dà prova della parzialità delle informazioni letterarie che abbiamo su questa autrice – fatta eccezione, ovviamente, per chi la legge in Lingua. 

Il maledetto non dispone, quindi, di pietre di paragone con altri romanzi dello stesso genere scritti dalla Oates – non nella mia esperienza di lettura, almeno, ma sono quasi sicura che non siano stati pubblicati in Italia altri suoi libri simili a questo. E quindi ci avviamo dentro a un campo quasi del tutto sconosciuto: Joyce Carol Oates che indaga il soprannaturale, in verità, non l'avevamo mai vista. Il risultato è un romanzo che conserva moltissime delle caratteristiche tipiche di questa scrittrice: già la finzione narrativa parte da una presunta verità storica e il libro è disseminato di personaggi realmente esistiti, alcuni dei quali svolgono la funzione di protagonisti.

Imponente il lavoro di ricerca che si nota alle spalle di questo tomo di 600 pagine, e che riesce a rendere in maniera fedele le atmosfere e il modo di vivere di una cittadina americana del primo Novecento. L'azione è svolta a Princeton – dove l'autrice vive e insegna – e racconta di una Maledizione che sembra essersi scagliata contro la comunità: ragazze di buona famiglia che fuggono con misteriori sconosciuti, apparizioni di fantasmi, omicidi senza spiegazione. 

I punti di vista adottati sono molteplici ma tutti accattivanti, il libro scorre con pochi momenti di noia, caratterizzato dall' alternarsi di eventi realistici e fantastici – questi ultimi dotati di una grande potenza espressiva e da richiami ai maestri del genere. Memorabile il capitolo con la descrizione di un decadente castello orrorifico, dove trionfano personaggi grotteschi e spaventosi – nonostante si ricavi l'impressione che, di questi, non si parli abbastanza approfonditamente. Ma il motivo è semplice: il lato sovrannaturale, che resta sempre immerso in un clima onirico e che ha confini sfumati, viene affidato a una narrazione riportata da terzi. E il richiamo alla razionalità è presente nelle parole di chi collaziona queste vicende, uno storico che, ottant'anni dopo, ricostruisce minuziosamente gli eventi susseguitesi nei quattordici mesi tra il 1905 e il 1906. I suoi interventi all'interno del romanzo tendono spesso a chiarire verità ambivalenti, di cui i personaggi – voci narranti – non sono a conoscenza; ma anche a contestualizzare e a ribattere alle probabili critiche che i “colleghi storiografi” potrebbero muovergli. Già da subito il racconto è infatti presentato come una cronaca, e l'intenzione principale di chi la racconta è quella di riportare, nei minimi dettagli, fatti che erano stati da altri taciuti perché considerati frutto di farneticazioni. Diari personali, epistolari, confessioni scritte concorrono a formare il quadro documentario del lavoro di ricerca, e tingono di mistero e brivido le pagine del romanzo. Mai, in realtà, il lettore prova paura o terrore: la narrazione della Oates è quella sospesa tipica del primo genere fantastico – “Lo Strano caso del Dr Jeckyll e del Signor Hyde” – e le situazioni che vengono a costruirsi rimandano all'horror puro. Vari e differenziati i personaggi, tormentati, razionali, pusillanimi o temerari, forse troppi per il complesso di pagine e alcuni dei quali un po' abbandonati a se stessi – avrei preferito, ad esempio, una maggiore caratterizzazione di Wilhelmina, che rivela un potenziale inespresso. 

Decisamente piacevole questo ultimo lavoro di Joyce Carol Oates, sebbene mi fossi aspettata qualcosa di diverso e sebbene si noti una certa differenza con gli altri romanzi dell'autrice – dove è innegabile ci sia maggiore pregnanza e incisività. Tuttavia la penna risulta essere l'autentica manifestazione del talento di Joyce Carol Oates: con una scrittura che oserei definire maschile, che non cede alle digressioni sentimentali ma che riporta analiticamente gli eventi in modo asciutto e oggettivo, la scrittrice americana riconferma il suo talento indiscutibile di narratrice.


Voto: 

domenica 22 marzo 2015

Il tempio degli Otaku #104: "Confession" di Nobuyuki Fukumoto e Kaiji Kawaguchi








Salve a tutti, e benvenuti ad una nuova puntata de "Il Tempio degli Otaku"! Protagonista di questa settimana una collaborazione, purtroppo sconosciuta ai più, di due mangaka che in Italia non hanno avuto molta fortuna: Nobuyuki Fukumoto e Kaiji Kawaguchi, che si occupano rispettivamente della storia e dei disegni. Da notare, comunque, che del primo avevamo già recensito un'opera nel 2012, Buraiden Gai, che avevamo promosso nonostante alcune ingenuità per la potenza dei suoi messaggi di fondo. Vi era dunque la curiosità di leggere un altro suo lavoro: e questo Confession, volume unico pubblicato da Planet Manga nel 1999, non ha deluso le aspettative. Buona lettura!

Intrappolati in una tormenta, per due alpinisti, Asai e Ishikura, la situazione è preoccupante; sopratutto per quest'ultimo, che ha una gamba rotta. Nonostante Asai cerchi di confortarlo, egli crede che la sua ora sia giunta; e non desidera portarsi nella morte un rimorso che da anni lo attanaglia. Confessa quindi ad Asai che, durante una scalata, ha ucciso una ragazza.
Mentre Ishikura parla, le condizioni atmosferiche sembrano migliorare: vicino a loro vi è un rifugio, dove possono trovare riparo in attesa dei soccorsi. Nonostante non rischi più la vita, Asai è inquieto: la confessione di Ishikura nasce da una circostanza estrema, che non avrebbe dovuto avere un seguito. Ora che la salvezza è vicina per entrambi, non deciderà forse di mettere a tacere l'unico a conoscenza del suo segreto?

Confession si inserisce saldamente nel filone dei thriller che scelgono come ambientazione un luogo isolato, in cui l'assassino e la potenziale vittima sono a stretto contatto. Un genere che, più che sulla violenza fine a se stessa, si basa sulla tensione psicologica. Ognuna delle parti in causa è consapevole della presenza dell'altro: prevederne le mosse è di vitale importanza. Il lettore partecipa al gioco, ponderando le varie ipotesi e non escludendo in toto un colpo di scena che metterà in dubbio quanto appreso fino a quel momento. Se l'autore non sarà in grado di mantenere alta la tensione, o creerà un intreccio fin troppo lineare, l'opera - ovviamente - ne risentirà.
Non è il caso di questo manga: il suo essere costituito da solo un volume impedisce alla storia di cadere nel ripetitivo, nonostante l'ossessività dei ragionamenti di Asai, consapevole del pericolo che corre. Se il lettore può intuire in anticipo i retroscena sui due protagonisti che verranno svelati nella seconda metà dell'opera, lo stesso non si può dire per gli elementi esterni che influenzeranno la lotta dei personaggi, dalle condizioni atmosferiche al mal di montagna, capace di debilitare seriamente l'alpinista che ne è affetto. Come già accennato nell'introduzione, inoltre, chi ha già letto Fukumoto noterà un netto miglioramento nella gestione della storia: se Buraiden Gai si prendeva fin troppe licenze, prediligendo la violenza al realismo qui, a parte alcune trascurabili leggerezze, troviamo una sceneggiatura plausibile e curata.
Altrettanto curata è l'introspezione psicologica, in particolare di Ishikura. Il suo comportamento è ambiguo ed imprevedibile: all'uomo che piange dal rimorso si accompagna un freddo calcolatore, che rende i sospetti di Asai una certezza. Anche il suo atteggiamento nei confronti di quest'ultimo alterna senza soluzione di continuità gratitudine - nel club a cui sono iscritti Asai è l'unico ad essere bendisposto nei confronti del "fallito" Ishikura - e odio: la gentilezza non è altro che una facciata per apparire migliori agli occhi degli altri. Quale di questi due Ishikura sia quello sincero la sceneggiatura non lo chiarisce mai, lasciando al lettore libertà di interpretazione. Senza dubbio, però, l'imprevedibilità del personaggio è uno dei fattori che rendono Confession un'opera matura ed avvincente.
Lo stesso, in chiave minore, vale per Asai - che è anche la voce narrante. Per metà dell'opera sembra un personaggio monolitico: il classico buono degli shonen, sempre pronto ad aiutare gli altri e a dare la sua fiducia a tutti, specialmente a coloro che non se la meritano. Alcuni piccoli elementi, però, ci portano sempre più a dubitare. In primis, la rapidità con cui accetta l'ipotesi di dover uccidere per salvarsi la vita; nonostante più di una volta sia propenso a rivedere le sue posizioni su Ishikura, è comunque pronto a lottare. E non si dimostrerà meno calcolatore del suo nemico. Infine, naturalmente, le parole dello stesso Ishikura: quanto sono tipici deliri di un uomo con un forte complesso di inferiorità e quanto sono veritiere?

Il tratto di Kaiji Kawaguchi è piuttosto diverso da quello sporco e spigoloso di Fujimoto: il suo è uno stile morbido, che in alcuni frangenti ricorda quello di Osamu Tezuka - in particolare nelle fattezze di Ishikura. Le tavole e le inquadrature non presentano inutili virtuosismi; il mangaka dà il meglio di sé in alcuni dettagli, come le scene ambientate all'esterno o le espressioni dei personaggi. Sarebbe stato interessante vedere narrata la stessa storia con uno stile più ruvido, ma questo tratto riesce comunque ad adattarsi alla vicenda.
Titolo dimenticato, e con ogni probabilità difficile da reperire, Confession vale più della sua fama: potrebbe essere un titolo adatto a coloro che cercano un'opera che li intrattenga ma che non sia totalmente vuota di contenuti.

...E per oggi è tutto, cari amici. Arrivederci alla prossima puntata de "Il Tempio degli Otaku"!

venerdì 20 marzo 2015

Recensione: Atti osceni in luogo privato di Marco Missiroli


Atti osceni in luogo privato, Marco Missiroli
Feltrinelli
256 pagine, 16.00 euro
La foto di Erwin Blumenfeld troneggia sulla copertina, il titolo strizza l'occhio al lettore e il complesso è così esteticamente bello, intrigante e ben architettato che oserei dire sia l'unica cosa riuscita di Atti osceni in luogo privato. O, almeno, una delle poche.
Di storie di formazione siamo pieni fino al collo. Di sesso, pure. Unire i due elementi non risulta particolarmente originale; se poi vogliamo inserire, nel mezzo, anche una contrapposizione piuttosto ridondante tra purezza e oscenità, con tappe banali che scandiscono la fine della prima e l'inizio della seconda – e vogliamo anche mettere la retorica su quanto l'oscenità sia, in realtà, “un tumulto privato che i liberi vivono”, tanto per non essere costretti a mostrarla davvero in questo libro? – comprendiamo forse quanto il “già visto” e la mancanza assoluta, nell'ordine, di: genialità, quid creativo, profondità, abbia cominciato a stancare. A stancare me.

La storia vuole ricostruire la formazione sessuale dell'italo-francese Libero Marsell, dall'età puberale fino a quella adulta. Poche le figure maschili di riferimento – direi solo una, il padre –, moltissime invece quelle femminili da cui il protagonista è ugualmente attratto indipendentemente che si tratti della madre, dell'amica più grande o della ragazza di turno. La sua "educazione" è caratterizzata dal susseguirsi di queste donne e da un'ascesa verso l'oscenità che farebbe ridere a crepapelle Henry Miller. Ma cosa credete, sciocchi, sappiamo tutti che la vera oscenità è quella del cuore. Libero – che impiega tutta la vita a “meritarsi il suo nome” – gode, tronfio, della propria “meravigliosa indecenza”: aver spinto la propria ragazza a una palpatina con uno sconosciuto e averle detto “zitta, negra” durante un rapporto. È così che Libero, reo di fantasie che comprendono il tradimento – della sua ragazza – perde la purezza e si inoltra in un mondo torbido solo a parole.

In questo percorso è accompagnato, poi, da una serie di libri e film di alto spessore, per lo più accennati in un gioco intellettuale che non fa che rendere il protagonista irritante: quel declamato candore – maschera della presunta perversione – non può che essere costituito da cultura, libri, letteratura, Federico Fellini, addirittura dalla professione di educatore; e latente, sotto, si trova però il pensiero “impuro”. Tutto questo è raccontato in maniera così poco viva e graffiante che Libero sembra la caricatura di se stesso, un personaggiucolo senza verve che piacerà a tanti perché mai eccessivo, mai davvero trasgressivo, anzi così comune che a un pubblico “perbene” sembrerà di scorgere il riflesso di se stesso. L'impressione, in effetti, è proprio questa: che Libero sia costruito sull'italiano medio per rispettare il buon gusto di tutti, per non fare storcere il naso a nessuno, per accarezzare l'argomento della perversione accompagnandola però – ci mancherebbe altro – all'educazione sentimentale. L'esito è terribilmente buonista. Ma scrivere un libro carino – e in fondo Atti osceni in luogo privato lo è – non è difficile; scrivere un libro sconvolgente, intelligente, colto, raffinato e perturbante è cosa che appartiene solo al genio.
Potrei aggiungere, con un velo di cattiveria, che se la letteratura ha il potere di svelarci qualcosa di noi stessi – questa, per fortuna, non lo è – Missiroli dà poche speranze all'umanità: probabilmente è ridicola quanto il suo protagonista.

Ad aggravare la trama già scontata arriva poi l'inevitabile struttura ciclica che vede Libero padre dopo la dipartita dei genitori e il lieto fine dato dall'adultità e dal ricambio generazionale, momento in cui comincia a sentire di essere libero, per fortuna non necessariamente con la monogamia.
Nulla è raccontato con vera partecipazione, ma la prima parte risulta migliore rispetto alla seconda – quando il complesso comincia davvero a scadere nella banalità e i personaggi si rivelano delle macchiette che trapelano soltanto dalle azioni del protagonista, che è anche io narrante. Fatte le dovute eccezioni, non mi è dispiaciuta la ricercatezza stilistica: penso che l'autocompiacimento dell'autore, più che in questa, si palesi nella costruzione finto-trasgressiva di Libero, e lo sforzo – perché di sforzo si tratta, non certo di un'esternazione naturale e neanche molto attentamente studiata, piuttosto di un'ispirazione grossolana ma non disprezzabile – non dà esiti spesso tanto brutti. Credo anzi che lo stile renda più interessante una vicenda che, se fosse stata raccontata altrimenti, avrei subito abbandonato.


Voto: 





Marco Missiroli 
è nato a Rimini nel 1981. Con il suo romanzo d’esordio, Senza coda (Fanucci, 2005), ha vinto nel 2006 il premio Campiello Opera prima. Per Guanda ha pubblicato Il buio addosso (2007), Bianco (2009; premio Comisso e premio Tondelli) e Il senso dell’elefante (2012; premio Selezione Campiello 2012, premio Vigevano e premio Bergamo). Per Feltrineli, Atti osceni in luogo privato (2015). È tradotto in Europa e negli Stati Uniti. Scrive per il “Corriere della Sera”.

giovedì 19 marzo 2015

Recensione: Revival di Stephen King


Revival, Stephen King
Sperling & Kupfer
469 pagine, 19.90 euro
Stephen King ritorna a scrivere horror e lo fa col botto. Ma non si ferma qui. Decide di confrontarsi con quelli che sono i grandi pilastri della letteratura di genere, uno su tutti Howard P. Lovecraft, citarli e dare poi la propria personale interpretazione. Il re del brivido riaffila le sue qualità di grande narratore e con innata maestria ci trasporta in un universo alternativo dove le emozioni dei personaggi si fondono con quelle di chi legge. È un King ispirato quello che scrive, lontano dallo standard delle ultime prestazioni e che, se vogliamo, sfiora almeno in parte l'Olimpo delle sue opere più belle. Revival è caratterizzato da una struttura a scatole cinesi perfettamente incastrate l'una nell'altra. È romanzo di formazione quando segue la vita del protagonista fin dall'infanzia, ci introduce ai cambiamenti e commenta i passaggi chiave. Si trasforma poi in romanzo storico nella precisa ricostruzione degli anni '60 e del loro rock and roll, uno dei periodi più intensi, carichi di significato e meglio resi di tutto il volume. Assume per poco tempo le sembianze del poliziesco, o comunque ci va molto vicino, e realizza infine la sua pulsione horror nel finale angosciante e allucinato. Qui l'autore strizza l'occhio a tutto un genere con la creatività e il profondo rispetto del fan, passando dal gioco alla citazione illustre senza darci tregua. Su tutta la narrazione aleggia un'atmosfera di profonda inquietudine che fin dall'inizio segna il lettore: questa sensazione sfuma, si attenua, ritorna a farsi palpabile ma ci accompagna per tutto il viaggio. Siamo costantemente in attesa di qualcosa di sinistro che serpeggia a livello inconscio ma che sta comunque per accadere.

La trama di Revival ruota intorno a Jamie Morton e segue la sua crescita da bambino speranzoso a giovane chitarrista ritmico, fino a raccontarci realisticamente la disperazione del tossico e la successiva guarigione. La vita del protagonista è intrecciata fin dall'inizio alla figura del pastore metodista Charles Jacobs che trascina il giovane più di una volta verso la distruzione e rappresenta in un certo senso il suo diavolo tentatore: la perdita della fede di quest'ultimo porta infatti anche il ragazzo a cambiare la sua percezione del mondo. Nel corso di più di quarant'anni di storia americana i due continuano ad incrociarsi e ad influenzarsi l'un l'altro, fino ad essere complici in un gioco forse troppo grande e ardito che ricorda il sogno di Icaro di volare.

I personaggi creati da King sono complessi e credibili, ma in larga parte solo spettatori del rapporto che si realizza tra il protagonista e quella che potrebbe essere la sua controparte negativa. Jamie è fin dalle prime pagine un ragazzo e poi un adulto piuttosto normale, coinvolto suo malgrado in una grande avventura. King ricostruisce in modo convincente la vita del musicista turnista e la scena dell'epoca, con poche pennellate veloci ma ben assestate.  Nonostante il crollo fisico e psicologico dovuto alla droga, il giovane tende quasi sempre al bene e mantiene un comportamento rispettoso nei confronti degli altri. La sua curiosità lo spinge però inconsciamente verso Charles e non gli permette di chiudere per sempre il legame che lo lega all'ex pastore, dal canto suo quasi un novello Victor Frankenstein nel percorrere il sottile limite tra la vita e la morte. Nonostante il carattere in parte mefistofelico di Jacobs, il lettore non riesce comunque a condannarlo: proprio come Jamie riusciamo a comprendere le sue sofferenze fin da subito, percepiamo il cambiamento nell'uomo e lo accettiamo. Punto di rottura definitivo per questo personaggio è sicuramente il sermone che pronuncia dal pulpito poco dopo l'incidente: fermo, incalzante, perfettamente argomentato, quasi violento, cambia per sempre la sua vita ma anche quella di Jamie e dei fratelli. Un plauso va inoltre a King per non aver inserito nel romanzo il solito rapporto stucchevole e obbligato per far felice il grande pubblico ma una storia d'amore che, seppur acerba, è utile alla trama: Jamie resta un personaggio valido e interessante che riesce a sorreggere e portare avanti la struttura del romanzo a prescindere dal suo modo di amare.

Le tematiche di Revival sono molteplici: si va dalla critica al potere consolatorio ma anche fuorviante che viene spesso dato alla religione, all'analisi delle nostre effettive possibilità di conoscenza, fino ad arrivare al raggiungimento di quelli che sono o dovrebbero essere i limiti del sapere e dell'agire umano. Ci si chiede anche quanto sia giusto comprendere e quanto a volte sia forse meglio ignorare una realtà troppo grande e dura da accettare. Seguiamo tramite le parole di Jamie la crisi del pastore Charles Jacobs che mette in dubbio la sua fede in seguito a un lutto e inizia un periodo di profonda ricerca che lo porta a toccare con mano le Colonne d'Ercole. In Revival troviamo anche il declino della religione moderna, non sempre in grado di dare risposte convincenti, e la favola dei guaritori e dei vari sedicenti santoni che popolano l'America, finti o veri che siano. Entra in vigore quello che è il regno della scienza, nel caso di Revival il potere dell'elettricità, come risposta e aiuto definitivo per raggiungere diversamente quella consolazione che altre divinità non sono riuscite a darci. Alla fine nonostante il passare dei secoli le domande dell'uomo restano sempre le stesse: riguardano in particolare la vita e soprattutto quello che ci aspetta dopo; a seconda della filosofia che seguiamo la risposta è diversa, ma il desiderio di dare un'occhiata dietro ai portoni dell'Eden è sempre alto. Sul finale troviamo anche la versione di King, una soluzione in linea con il sapore orrorifico del libro, sicuramente in disaccordo con altre tendenze ma non meno strana di quello che alcuni culti propongono.

I riferimenti letterari in Revival sono molteplici: abbiamo principalmente Lovecraft, già citato nell'epigrafe con una delle sue frasi forse più famose, gli Antichi e il ciclo di Cthulhu, a cui King cerca di dare un'interpretazione più "contemporanea". Seguono Ray Bradbury e il classico Something Wicked This Way Comes (in Italia noto come Il popolo dell'autunno e base del film Disney anni '80 Qualcosa di sinistro sta per accadere) per l'atmosfera inquietante ma soprattutto per la presenza in città di un luna park e il riferimento costante al potere dei fulmini. Non mancano infine citazioni a volumi maledetti e di dubbia esistenza dove la magia si fonde con la scienza e l'alchimia, tra cui il De Vermis Mysteriis, presentato da King come possibile base del leggendario Necronomicon. Infine viene citato The Monkey's Paw (La zampa di scimmia), breve racconto horror di William W. Jacobs.

Rispetto ad altri titoli dell'autore, Revival è un romanzo che si sviluppa soprattutto su quanto viene e non viene detto: i silenzi, le omissioni e le allusioni diventano in questo caso fondamentali. I dialoghi sono verosimili e contribuiscono a definire ulteriormente la psicologia dei personaggi. Le riflessioni del protagonista sono profonde, nostalgiche quando riguardano il passato, sempre e comunque dense di significato.
Il ritmo passa dal blando al serrato in poche pagine: circa a metà del volume la storia comincia a decollare e il seme del dubbio piantato nei primi capitoli non tarda a dare i suoi frutti. Le accelerazioni si susseguono, ci scappano di mano e di punto in bianco ci ritroviamo spesso in situazioni ancora inesplorate.

Al contempo King si dimostra perfettamente capace di descrizioni realistiche ed emotive di alto livello: le situazioni e i luoghi possono diventare poetici o raccapriccianti nella loro crudezza, ma in entrambi i casi non mancano mai di forza espressiva. Ogni immagine è estremamente visibile e chiara: il lettore vede scorrere davanti ai suoi occhi un film fatto di parole e corredato di fotogrammi indelebili. Da cinema è sicuramente la scena iniziale con il primo incontro tra Jamie Morton e il pastore Charles Jacobs sullo sfondo della campagna americana: lenti a focale lunga in stile Gangster Story di Arthur Penn, orizzonte schiacciato, sole accecante e a picco e l'ombra del predicatore che ricopre il piccolo protagonista, magnetica e inquietante al contempo, quasi a voler rappresentare il legame che il destino ha già tracciato. Questo è sicuramente uno degli incipit di King più belli di sempre.



In conclusione Revival è un ottimo titolo che piacerà ai fan dell'autore, soprattutto a quelli che preferiscono la sua verve più horror, ma anche ai lettori occasionali che ricerchino storie complesse, ben strutturate e fortemente visive. Il prezzo da pagare potrebbe essere la lentezza che a volte si impadronisce della narrazione o il finale, che ai lettori a digiuno di atmosfere fantastiche potrebbe risultare alquanto inverosimile. Nonostante queste lievi critiche, i frequenti cambi di ritmo mantengono il livello di attenzione alto e la trama scorre fluida e senza problemi. Revival resta quindi un romanzo ben scritto ed estremamente piacevole da leggere. Tutte le citazioni alla letteratura horror e fantastica sono infine acqua fresca per gli amanti del genere che, dopo aver compreso i riferimenti ai propri mostri sacri, rimarranno incollati fino all'ultima pagina.


Voto: 



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