Il signore della neve e delle ombre, Sarah Ash Gargoyle Books 600 pagine, 19.90 euro |
Edito dalla Gagoyle Books, il “Signore della Neve e delle Ombre” è il primo dei tre romanzi di Sarah Ash che comporranno il ciclo de “Le lacrime di Artamon”.
Il romanzo racconta delle avventure di Gavril, un giovane pittore che scopre di essere il figlio del Drakhaon e dunque erede al trono di una regione fredda e desolata, l’Azhkendir. Qui è costretto a recarsi subito dopo la morte del padre, dovendo adeguarsi controvoglia ai costumi di un popolo barbaro e trovandosi per altro catapultato in intrighi volti a privarlo del potere per assicurarlo al Tielen. Quest’ultimo è un regno vicino, che punta alla supremazia sull’Azhkendir e sul Muscobar, patria della bella Astasia, duchessina di cui Gavril è innamorato. Insieme all’Azhkendir, Gavril eredita dal padre tremendi poteri legati alla possessione del suo corpo di un demone drago, il Drakhaoul. Sono poteri che potrebbero aiutarlo salvare la sua gente, ma che al contempo possono dannare la sua anima e renderlo un mostro senza scrupoli e assetato di sangue. Con l’aiuto di Kiukiu - una ragazzina che scopre di avere innati poteri magici legati alla musica - e di un improbabile alleato, Gavril affronta gli ostacoli che gli si parano innanzi, lottando contro coloro che minacciano il suo regno e allo stesso tempo contro il demone che vive in lui.
A prima vista la trama promette bene, tuttavia il modo in cui la Ash ha rappresentato e sviluppato il tutto è a dir poco deludente.
Pensando al romanzo nel complesso, non posso che associargli un calderone ribollente dentro cui sono stati gettati alla rinfusa elementi tra loro disomogenei e a volte persino stridenti.
Innanzitutto scarsa o addirittura inesistente è la descrizione che la Ash ci dà di Rossiya, il continente in cui sorgono Azhkendir, Muscobar e Tielen. A parte la cartina inserita a inizio volume e qualche descrizione riguardante la conformazione territoriale o climatica delle aree del continente, poco o nulla sappiamo delle genti che lo popolano, eccezion fatta per il popolo dell’Azhkendir, di cui abbiamo qualche notizia in più. La gente dell’Azhkendir crede infatti negli spiriti dei morti, ma si può notare quasi subito la presenza di una congregazione di monaci al servizio di un Dio di cui non ci si dice assolutamente nulla. In cosa credano i protagonisti, spesso distanti dalle tradizioni dell’Azhkendir, non è dato sapere e ancor meno sappiamo di coloro che provengono dal Tielen o del Muscobar.
Stessa cosa si può dire della storia dei tre regni: dalla lettura si evince che il continente era riunito sotto l’Imperatore Artamon e che alla sua morte le diverse casate si contesero il potere, senza riuscir mai a prendere il sopravvento l’una sull’altra. Troviamo di fatto diversi regnanti, ma questi hanno diversi titoli: Principe, Granduca e Drakhaon. Anche qui, non v’è uno straccio di spiegazione sull’organizzazione politica di tali realtà, a parte forse l’indiscutibile assolutismo.
Si nota anche una convivenza della Scienza - avanzata non si sa fino a che punto - con una non meglio precisata arte alchemica/stregonesca. La cosa, per come la Ash la mette in gioco, non può che far storcere il naso: accanto a gas venefici, strani aggeggi che permettono la comunicazione a distanza, macchine volanti e pietre che brillano in corrispondenza dell’energia vitale dell’uomo a cui sono collegate, compaiono infatti le pistole. Sì, pistole, normali e atte a lanciare gas lacrimogeni, insieme ovviamente ad asce, spade e lance. Un quadro che stride come unghie sulla lavagna.
Non mancano poi nelle descrizioni termini come “giardini all’italiana”, “illuminato come un luna park”, risposte come “Pronto?” - quest’ultima data da Gavril a un aggeggio simile a un telefono mai visto prima in vita sua - e riferimenti a Santi del culto dei quali non ci si dice nulla. Sono elementi, questi, che mandano in mille pezzi l’atmosfera fantasy, scagionando la traduzione italiana di cui si arriva inizialmente a dubitare.
Un mondo che non ha nessun elemento di continuità rispetto al mondo reale aveva sicuramente bisogno di una storia meglio delineata e soprattutto di culture, di lingue, di tecnologie a sé stanti.
Quanto ai personaggi si può dire che il carattere di ognuno è stato abbozzato ma non sviluppato fino in fondo, eccezion fatta forse per Kiukiu. Nonostante tutti vivano una sorta di dramma interiore, l’intensità delle loro reazioni emotive è tiepida, troppo in confronto alle azioni che ne derivano, le quali assumono così tinte da melodramma. Banali si rivelano anche quelli che dovrebbero essere colpi di scena o drammatiche coincidenze, piuttosto prevedibili e scontate, echi lontanissimi e mal riusciti delle tragedie shakespeariane.
Di questo primo capitolo della trilogia, insomma, non si può dire un granché bene. Ottima l’idea di base, ma forse, in previsione del secondo romanzo, sarebbe meglio per la Ash approfondire meglio le parti che lo meritano e concentrare di più l’azione, evitando i troppi periodi di stasi in cui gli eventi si susseguono, inconcludenti.
Voto:
Che peccato, ci speravo tanto in questo libro, e questa non è la prima recensione negativa che leggo... mi sa che stavolta ne salto la lettura.
RispondiEliminaSe non si sta attenti a certi particolari può risultare piacevole, ma di certo non è questo gran che. Insomma, se la salti non ti perdi nulla!
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