venerdì 10 gennaio 2014

Recensione film: Lo Hobbit – La desolazione di Smaug



Ci sono voluti nove anni e alterne vicende produttive affinché i fan della saga letteraria e cinematografica potessero far ritorno nella Terra di Mezzo, abbandonata nel lontano 2004 a bordo di una nave diretta a Valinor.
Se nel 2013 avevamo assistito al formarsi di una nuova compagnia composta da tredici Nani, uno stregone e uno Hobbit, e determinata a liberare un antico regno nascosto sotto le pendici della Montagna Solitaria dalla scomoda presenza di un enorme drago, con Lo Hobbit – La desolazione di Smaug entriamo nel vivo dell’avventura.
Ancora una volta, Peter Jackson dimostra un indiscutibile talento visionario, servendosi degli ultimi ritrovati tecnologici per creare degli effetti speciali mozzafiato. I lupi mannari su cui cavalcano gli Orchi costituiscono un perfetto esempio del livello di realismo raggiunto dalla Weta Digital; le scene di combattimento che vedono coinvolti i Nani della compagnia di Thorin Scudodiquercia e gli Elfi retti dal governo di Thranduil, padre di Legolas, sono un piccolo capolavoro di fluidità; mentre le trasformazioni, gli incantesimi e le lotte magiche lasciano incantati per la loro spettacolarità e accuratezza.
Ma gli effetti speciali non bastano a rendere grandioso un film. La Nuova Zelanda, con i suoi paesaggi di straordinaria bellezza, è la perfetta cornice per le città sotterranee e i villaggi sospesi sulle acque ricreati in digitalmente e in studio. Magistrale anche la fotografia, giocata su un continuo contrasto tra luci e ombre: le luminose sale del regno elfico cedono il passo alle oscure gallerie della Montagna Solitaria, dove, annidata nelle tenebre, si nasconde Smaug, creatura di sinuosa e fiammeggiante bellezza.

Decisivo anche l’apporto degli attori, primo tra tutti Martin Freeman, che si è calato con estrema naturalezza nei panni del giovane Bilbo, senza far rimpiangere il suo amato predecessore, Ian Holm. Al suo fianco, il tormentato Thorin di Richard Armitage e il gradito ritorno di Orlando Bloom e del suo Legolas. Aggiunta discussa ma efficace, l’elfa Thauriel interpretata da Evangeline Lilly, unica donna in un cast maschile. Un plauso speciale va poi a Benedict Cumberbatch, che presta voce e – grazie al motion capture – gestualità ai due cattivi della saga, Smaug e Sauron.

Buona, ma non eccellente, la prova di Howard Shore, che ci regala un accompagnamento musicale godibile, cui manca però l’afflato epico della colonna sonora de Lo Hobbit – Un viaggio inaspettato, che trovava il suo culmine nella canzone Misty Mountains.
In questo secondo capitolo della saga, Peter Jackson conferma il suo indiscusso talento da direttore d’orchestra, capace di tenere le fila di una pellicola dalla durata forse eccessiva (160’), ma dietro la volontà di rendere omaggio a un’opera letteraria e a un genere, il fantasy, che vanta innumerevoli estimatori, è impossibile non ravvisare le logiche dell’odierna industria cinematografica. La spettacolarizzazione finisce così col prendere il sopravvento non solo sull’aderenza al testo di partenza, ma anche sulla coerenza narrativa.
Se i fan delle opere del professore inglese, probabilmente non rimarranno sconvolti per l’inserimento di qualche sequenza d’azione o per l’integrazione dei contenuti delle Appendici Il Signore degli Anelli all’interno della fabula de Lo Hobbit, altrettanto non potrà dirsi per alcune scelte di sceneggiatura che alterano bruscamente l’universo tolkieniano. Sul grande schermo vediamo sfilare personaggi che al tempo de Lo Hobbit non sarebbero neppure dovuti esistere – come L’Orco Azog, che dovrebbe essere stato ucciso durante il flashback della battaglia girata ne Lo Hobbit – Un viaggio inaspettato –, e altri creati ex novo dal regista – l’elfa Tauriel, amica di Legolas. Senza contare l’inserimento di eventi (la divisione del gruppo dei Nani, ferite che non dovrebbero essere mai state inferte, inseguimenti che non avrebbero ragione di essere), che oltre ad appesantire e rallentare il ritmo della pellicola, non rendono giustizia alle intenzioni dell’autore. C’è, infatti, una notevole differenza tra l’apportare lievi modifiche a una storia – com’era accaduto per Il Signore degli Anelli, che nonostante tutto aderiva ai parametri dettati da Tolkien – e lo stravolgerla per assecondare esigenze squisitamente commerciali.

In conclusione, nonostante la qualità del prodotto finito sia senza dubbio superiore rispetto a molti altri film del genere, lo spettatore resta combattuto tra il desiderio di tributare al regista il giusto merito e la delusione per il talvolta grossolano stravolgimento subito dall’opera.
Non ci resta tuttavia che attendere il capitolo conclusivo di questa saga che, nonostante tutto, rimane un appuntamento imprescindibile per tutti gli appassionati.


A cura di Tonino Mangano

3 commenti:

  1. Il problema principale secondo me è stato il fatto che hanno voluto renderlo molto, molto più epico. Cosa di cui non c'era affatto bisogno visto che questa parte del libro è anche più "movimentata" della precedente per dire. La cosa è stata un po' fastidiosa, ma come hai detto tu, alla fine è stato molto molto bello ugualmente.
    Smaug è qualcosa di spettacolare, effetti speciali del genere sono davvero rari a vedersi (e Cumberbatch, vabbè, è Cumberbatch).

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  2. A me la colonna sonora è piaciuta parecchio. Concordo sulla minore epicità del suono, ma il tema principale, I see fire, mi ricorda tantissimo Thorin sia nella musica che nel testo, quindi direi che è più che riuscita!
    Concordo tristemente sulle scene inserite per motivi commerciali. Sconvolgente, ad esempio, la pseudo storia d'amore tra Thauriel e Kili.
    Nel complesso, manovre di marketing a parte, non si può dire non sia un bel film, Smaug è fantastico!

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  3. Sì, è indubbia la bravura di Shore, anche se le sue musiche non mi sono sembrate all'altezza di tutte le altre produzioni precedenti.
    Adesso non resta che aspettare il prossimo appuntamento, sperando che PJ rientri sui binari tracciati da Tolkien e non ne combini un'altra delle sue. Anche se credo che, una volta iniziata, non potrà lasciare la storia di Tauriel e Fili in sospeso né potrà tralasciare gli sviluppi della personalità di Bard l'Arciere (anche quello un personaggio abbastanza ingigantito e stravolto).

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