giovedì 30 gennaio 2014

“Le bussole” Guanda e “I più grandi tra i Grandi Libri” Garzanti: piccoli prezzi, grandi edizioni




Due interessanti iniziative giungono in libreria e nei grandi store online.
La casa editrice Guanda crea un’iniziativa molto particolare, volta a sfidare il prezzo per natura più conveniente del libro digitale, attraverso la collana Le Bussole.
Guanda punta infatti a offrire "un libro più comodo, portatile e leggero di un reader. (…) Volumi a copertina rigida, di piccolo formato, con copertine disegnate da Guido Scarabottolo, per un’offerta di qualità sia nei contenuti che nella veste editoriale. Volumi maneggevoli, da mettere in tasca e leggere ovunque, per poi collocarli nelle nostre librerie" come dichiarato da Stefano Mauri, presidente del gruppo GeMS, ad Affariitaliani.it. Sono già usciti i primi sei titoli, che vedono la riedizione di alcuni testi chiave del catalogo della casa editrice, quali Alta Fedeltà di Nick Hornby, Ogni cosa è illuminata di Jonathan Safran Foer, Trilogia del ritorno di Fred Uhlman, Il vecchio che leggeva romanzi d’amore di Luis Sepúlveda, Se stasera siamo qui di Catherine Dunne, Una barca nel bosco di Paola Mastrocola. Il prezzo rimane pressoché invariato rispetto le prime edizioni dei suddetti volumi - dagli 11 euro delle edizioni in brossura, agli 8-10 euro per questa nuova versione in copertina rigida.
Tra i prossimi autori che saranno inseriti tra Le Bussole, si citano i nomi di Anne Tyler, Charles Bukowski, Virginia Woolf, William Trevor, Jean Giono, Nina Berberova, Yukio Mishima e Jun’ichirō Tanizaki.



Fino al 28 Febbraio, solo su ibs.it e nelle librerie che aderiscono all’iniziativa, Garzanti offre trenta classici della letteratura, quelli che definisce come “i più grandi tra i Grandi Libri” al prezzo di 4,90 euro, riducendo anche il prezzo dell’edizione digitale degli stessi titoli a 0,99 euro. Nuova veste grafica per questa collana, che si arricchisce di quattro nuovi testi: Come essere felici di Epicuro, Suite francese di Irène Némirovsky, Il profeta di Kalil Gibran e Lettera di una sconosciuta di Stefan Zweig. In promozione i testi di Oscar Wilde, Jane Austen, Alessandro Manzoni, Luigi Pirandello, William Shakespeare e tanti altri.

mercoledì 29 gennaio 2014

Recensione: Tenebre e Ghiaccio di Leigh Bardugo




Tenebre e ghiaccio, Leigh Bardugo
Piemme
283 pagine; 17,00 euro
Non sono una grande amante dei libri fantasy: quando leggo di trame con cavalieri, spade e sacri calici, principesse e draghi, tendo a girare alla larga, preferendo generi a me più congeniali. Tuttavia, quando ho letto sul sito di Affari Italiani, lo scorso novembre, dell'uscita per Piemme di Tenebre e Ghiaccio di Leigh Bardugo mi sono subito incuriosita e ho voluto saperne di più. “Perché?”, vi chiederete. Semplice, sono stata catturata dall'accattivante titolo dell'articolo: Leigh Bardugo, un fantasy ambientato nella Russia degli Zar... In questo caso l'ambientazione originale del romanzo ha decisamente superato la mia diffidenza. Ho fatto qualche ricerca in rete per sapere di più su questo libro e sulla sua autrice, e ho scoperto particolari interessanti. La Bardugo, di professione make-up artist, è nata a Gerusalemme, cresciuta a Los Angeles e laureata a Yale: un curriculum di tutto rispetto per questa giovane scrittrice, la cui trilogia di esordio, di cui Tenebre e Ghiaccio rappresenta il primo capitolo, ha ricevuto recensioni entusiastiche ovunque, comprese testate del calibro del New York Times.

Il romanzo è ambientato in un luogo e in un tempo che ricordano da vicino la Russia ottocentesca. La sua protagonista, Alina Starkov, in seguito a un attacco da parte dei mostruosi volcra, scopre di avere un potere enorme che le permetterà di essere arruolata in un' élite di potenti maghi (Grisha), che manovrano proprio lo Zar. La stessa Bardugo, in un'intervista pubblicata on-line, ha ammesso di essersi voluta discostare dal mondo tradizionale utilizzato di consueto nel genere fantasy, ossia il medioevo anglosassone, e sebbene abbia voluto mantenere un certo “criterio culturale” (cultural touchstone sono le sue parole), ha scelto la Russia zarista, epoca evocativa per molti lettori. Gran parte dei commenti che si leggono sui vari siti in lingua inglese sono molto positivi: si parla di trama ben strutturata, emozionanti in alcuni passaggi, e di un “comparto” magico ben descritto e credibile. Insomma, pare che la nostra truccatrice/scrittrice abbia fatto centro anche in una lettrice refrettaria al genere come me.
In effetti, la lettura di “Tenebre e Ghiaccio” si è rivelata molto piacevole: la caratterizzazione dei personaggi è efficace e i molteplici riferimenti alla cultura russa rendono l'atmosfera del romanzo accattivante, come si può notare subito dall'incipit: un prologo narrato in terza persona dove sono abilmente presentati, in poche parole, due dei personaggi principali della vicenda.

I domestici li chiamavano malenchki, piccoli fantasmi, perché erano i più piccoli e i più giovani e perché infestavano la casa del Duca proprio come fantasmi. […] Il bambino e la bambina erano arrivati a qualche settimana di distanza l'uno dall'altra, altri due orfani della guerra di frontiera […] Il bambino era basso e robusto, timido ma sempre sorridente. La bambina era diversa e sapeva di esserlo. (pag. 9)

Conosciamo così Alina Starkov e Malyen Oretsev (detto Mal).
Alina, oltre a essere protagonista, è anche narratrice in prima persona della storia: è attraverso il filtro dei suoi occhi e delle sue emozioni che si dipana la tormentata vicenda del regno di Ravka, diviso da conflitti e letteralmente tagliato in due dalla Distesa delle Tenebre, un deserto oscuro e impenetrabile, popolato da spaventosi e voracissimi mostri, vulnerabili però alla luce.

Alina è un'eroina atipica: il suo enorme potere di Convocatrice del Sole, che le permette di accedere al potente gruppo dei Grisha, viene scoperto per caso durante l'attraversamento della terribile Distesa, quando, per difendere Mal dall'aggressione di un volcra, riesce a sprigionare un'eccezionale quantità di luce tale da mettere in fuga il mostro. Alina è quindi una ragazza forte . - pur non essendo appieno consapevole della sua potenza - è insolente e tagliente ma nasconde una naturachiusa e piena di dubbi. È legata a Mal da un sentimento molto profondo: Mal, forte e pragmatico, capace di affascinare donne e ragazze, cercatore di piste di eccezionale abilità, ma privo di un potere particolare e quindi escluso irrevocabilmente dalla cerchia dei Grisha, con il suo ottimismo e la sua sicurezza è complementare alla personalità più introversa dell'amica.

Alina non è nemmeno immune al fascino misterioso dell'Oscuro, un personaggio di raro fascino: bellissimo (“occhi grigio chiaro che splendevano come quarzo” a pag. 39), implacabile eppure capace di gesti gentili, crudele, manipolatore estremamente seducente. L'Oscuro nutre una sconfinata sete di potere e dominio: è lui la vera potenza del Regno di Ravka, capace di influenzare anche il debole re, la personalità dominante decisa ad avere tutto e a schiacciare chiunque non riconosca la sua sconfinata autorità. L'Oscuro ha bisogno del potere di Alina per espandere e consolidare il proprio dominio, ed è pronto a usare l'arma della seduzione per incantare la ragazza e soggiogarla, così da avere sempre a propria disposizione la sua “arma” implacabile.

La vicenda corre veloce, tra intrighi di palazzo e figure enigmatiche come l'Apparat (descritto in modo molto evocativo come un membro del clero ortodosso, ma con qualcosa di indecifrabile: “[...] lunga barba nera. Portava abiti da sacerdote, ma esibiva sul petto lo stemma della doppia aquila d'oro” – pag. 89 – “[...]L'Apparat mi stava osservando e le sue pupille nere avevano una luce particolarmente intensa” – pag. 123), fino al momento cruciale della resa dei conti fra Alina, Mal e l'Oscuro: un finale interessante, anche se forse un po' scontato, ma con ampi spiragli aperti che lasciano immaginare un degno seguito. Ho apprezzato la scelta dell'autrice di chiudere questo primo capitolo della trilogia con un epilogo scritto in terza persona (dando una sorta di “circolarità” al romanzo) proprio come in terza persona era narrato il prologo, lasciando intravedere alcuni temi che probabilmente saranno sviluppati nel secondo volume: rimorso, paura e fascino del potere. Per me, comunque, la vera carta vincente di questo romanzo è data dai continui riferimenti alla cultura russa: dai toponimi scelti (Ravka, Kribirsk, Os Kervo, Keramzin) ai nomi dei personaggi (oltre Alina e Malyev, Genya, Zoya, Sergei, ecc); dall'ambientazione di palazzo, con il Palazzo Minore dove alloggiano i Grisha e il Gran Palazzo destinato alla nobiltà, ai rifermenti a cupole, icone e giardini. Lo confesso, avendo visitato non troppo tempo fa San Pietroburgo, non ho potuto impedire alla mia mente di immaginare i nostri protagonisti aggirarsi per i corridoi e le sale del meraviglioso palazzo dell'Hermitage. Promuovo quindi “Tenebre e Ghiaccio” e ne consiglio la lettura!



Voto: 



lunedì 27 gennaio 2014

Selfpublishing d'autore: Rita Charbonnier racconta



Domenica pomeriggio, giornata uggiosa e ventosa, degna del setting di un romanzo delle sorelle Brontë. Sono circa le 17.30 quando quel potente mezzo che è la tecnologia permette di azzerare la distanza geografica e rende possibile un insolito incontro, una buona ora in compagnia di Rita Charbonnier, con la quale è facile discorrere come sedute al tavolino di una sala da tè, tanto da spingermi ad abbandonare il mio tono formale da co-blogger per passare ad un registro ben più estemporaneo. Si parla di tanto, della situazione in cui versa l’editoria, di buoni/cattivi romanzi, della rivoluzione digitale e soprattutto de La strana giornata di Alexandre Dumas, romanzo pubblicato dalla scrittrice nel 2009 per Piemme, tornato disponibile per chiunque volesse leggerlo in una mise davvero particolare: un eBook distribuito sulle maggiori piattaforme a partire dal 10 dicembre, che non intende emulare la versione cartacea, bensì presentarsi come un vero e proprio nuovo prodotto. Il “volume” consta di una nuova veste grafica, più affine al formato, e di un capitolo delle Memorie di Alexandre Dumas padre, testo che ha ispirato la storia della Charbonnier e assolutamente inedito in Italia, ma ha anche un’altra particolarità: è assolutamente autopubblicato. Siamo abituati a considerare il self-publishing come uno strumento appannaggio di chi vuole diventare scrittore e non riesce a trovare spazio nell’editoria tradizionale, quindi sembra alquanto curiosa la scelta di questa scrittrice già affermata di fare il passaggio inverso. Lei la giustifica con la volontà di sperimentare qualcosa di nuovo, ricordandomi che in America il self-publishing ha contribuito alla diffusione dei testi di Guy Kawasaki, ad oggi uno dei più noti scrittori autopubblicatisi.
Il romanzo di Rita Charbonnier parla di un incontro molto particolare, quello tra Maria Stella Chiappini e lo scrittore francese Alexandre Dumas, giunto da quella che crede essere solo un’astrologa per farsi leggere il futuro, ma pronto ad ascoltare una storia che forse potrà raccontare nei suoi romanzi. Vi presento il testo attraverso la sinossi, seguita dall’intervista alla quale ho sottoposto l’autrice.

La strana giornata di Alexandre Dumas – Rita Charbonnier
Parigi, 1843. Alexandre Dumas è un famoso autore di teatro, ma non ancora il romanziere in grado di appassionare schiere di lettori alle avventure dei suoi Moschettieri. Ed è superstizioso: crede nel potere degli amuleti e degli astri. E decide di andare da un astrologo.
Incappa in un’anziana astrologa che tutto sembra tranne una veggente: è troppo raffinata, troppo eccentrica, troppo loquace, e soprattutto sembra conoscere Dumas fin troppo bene. Quella donna, Maria Stella, ha attratto a sé lo scrittore con l’inganno. Vuol raccontargli la storia della propria vita perché lui la eterni in un romanzo.
In effetti la biografia della vecchia signora contiene tutti gli ingredienti del feuilleton: scambi nella culla, nobili natali, falsi genitori… nei suoi racconti rivive il mondo dell’Opera, quello della grande nobiltà europea… e non mancano aspetti più profondi: un difficile rapporto tra madre e figlia, l’evoluzione spirituale di una donna che, da bambina abbandonata, in balia delle proprie paure, si è trasformata in una persona salda e consapevole.
Dumas, “sequestrato” da Maria Stella per un’intera giornata nel corso della quale ascolta i suoi discorsi, legge i suoi diari, mangia ottime pietanze alla sua tavola e beve il suo tè inglese, è affascinato dalla sua personalità, ma più volte prova il desiderio di andarsene e mandarla al diavolo.
Lo farà? Scriverà il romanzo sulla vita di quella strana donna?

Interview with…


Rita Charbonnier





Maria Stella Chiappini
Ciao Rita, benvenuta su Dusty Pages in Wonderland. I nostri lettori ti hanno già conosciuta con il racconto L’assemblea di Natale, appartenente alla raccolta della terza edizione del Christmas Tales, e attraverso un articolo sul tuo più recente romanzo, Le due vite di Elsa. Oggi parliamo di quello che è definito come il migliore dei tuoi scritti, ossia La strana giornata di Alexandre Dumas, uscito da poco in una nuova edizione autopubblicata e disponibile solo in formato digitale. Puoi parlarci di questo romanzo e di come è stato concepito?
RC. Questo romanzo dura lo spazio di un giorno, e nello stesso tempo dura una vita. Il giorno è quello in cui Dumas padre viene “sequestrato” da una vecchia signora che lo coccola, lo blandisce, lo mette alla prova; la vita è quella di lei, che gliela racconta nella speranza che lui ne tragga un romanzo. Anche la signora in questione, oltre ovviamente all’autore de I tre Moschettieri, è un personaggio realmente esistito: una certa Maria Stella Chiappini che ai primi dell’Ottocento intentò un’azione legale contro il re di Francia, sostenendo che lei e il re erano stati scambiati nella culla e che quindi sul trono doveva starci lei.
Maria Stella era una cantante d’opera: per questo “inciampai” nella sua storia, facendo ricerche per il mio primo romanzo La sorella di Mozart. La vicenda mi colpì e mi trovai a riflettere sulle ripercussioni che può avere, per l’individuo, il crescere in una famiglia che non gli appartiene, biologicamente o magari perché ha un’indole diversa. Poi scoprii che Dumas si era occupato di Maria Stella nei suoi scritti, e da lì mi è venuta l’idea di accostare queste prorompenti e diverse personalità.

Nei grandi store online, il romanzo viene presentato come un romanzo storico, ma sfogliando questa riedizione è forte la sensazione che si tratti di qualcosa di molto più complesso.
RC. Ti ringrazio di questa osservazione. Qualche tempo fa un’amica mi disse una cosa che non potrò mai dimenticare: “I tuoi libri, Rita, sembrano dei normali romanzi storici. Il lettore alla ricerca dell’intreccio, della ricostruzione di un’epoca, anche del divertimento, ce li trova. Ma poi, ben nascosta, c’è una materia più profonda, che riguarda l’evoluzione di un’anima: quella dei tuoi personaggi, quella di ognuno di noi”.

Da dove nasce l’idea dell’autopubblicazione del romanzo in un formato sicuramente più ricco di contenuti – appendice e illustrazioni – rispetto alla prima edizione?
RC. Diciamoci la verità: a me non sarebbe dispiaciuto che Piemme, l’editore del romanzo in cartaceo, avesse deciso di pubblicare questa edizione digitale; e non solo per il prestigio del marchio, ma perché autopubblicare l’eBook è stata una faticaccia! La casa editrice, però, non aveva la possibilità oggettiva di mettere in cantiere una vera e propria riedizione come quella che io desideravo fare; ad esempio, per la sezione aggiunta in appendice (lo scritto di Dumas padre, che ho tradotto dal francese) avrebbero dovuto assegnarmi un editor, quindi impiegare risorse in un’operazione che per loro non è molto remunerativa.
Riguardo all’iniziativa di aggiungere all’edizione digitale dei contenuti nuovi, mi sono ispirata all’industria discografica (che potrebbe fornire più ampi e illuminanti esempi al mondo dell’editoria digitale). Anni fa, quando ancora si usavano i CD (sto esagerando: si usano ancora, ma temo siano già supporti obsoleti), gli artisti facevano uscire le riedizioni degli album con una canzone in più, la cosiddetta “bonus track”. Ecco, qui il “bonus” è uno scritto di Dumas padre che in italiano non si trova da nessuna parte, che è strettamente collegato al romanzo e che è (ovviamente) molto gustoso. Inoltre ci sono le immagini: a me sembra che un eBook illustrato possa rappresentare per il lettore un’esperienza multimediale che compensa la mancanza dell’oggetto materico, in continuità con la grande ricchezza di immagini accessibili nella rete.

La copertina dell'ebook
Che tipo di differenze riscontri tra il formato cartaceo e quello digitale? Trovi che l’uno sia superiore all’altro o credi che siano due entità diverse che rispondono a diverse esigenze da parte del lettori?
RC. Personalmente leggo in entrambi i formati e non sono una feticista dell’oggetto materico; a meno che non si tratti di un libro di grande importanza, di un caposaldo della letteratura che è senz’altro più soddisfacente “possedere”. Oppure di un libro antico, di una prima edizione, di un testo che contiene annotazioni dell’autore a penna… casi rari, insomma. Per il resto, mi sembra che il digitale offra diversi vantaggi, non ultimo quello di affaticare meno la vista (se il supporto non è retroilluminato). Ma non parlerei di superiorità o inferiorità: solo di forme diverse che, probabilmente, nei prossimi tempi tenderanno a differenziarsi sempre più.

Per la pubblicazione ti sei affidata alla piattaforma Narcissus, prima in Italia per il self-publishing. Come funziona questo sito e quali sono i vantaggi che derivano dall’autopubblicazione?
RC. Narcissus funziona perfettamente e non posso che dirne ogni bene. Prima di tutto occorre crearsi un account, dopodiché si carica il file epub del libro e la copertina in jpeg, e il gioco è fatto. Se non si possiede il file epub, Narcissus offre un servizio di conversione dal file word a costi accettabili; ed è anche possibile crearlo da sé online, gratuitamente, sempre attraverso la piattaforma (certo, occorre una minima competenza informatica). Se non si possiede la copertina, Narcissus può creare anche quella, a costi veramente concorrenziali. L’unico costo di partenza che occorre sostenere in ogni caso è quello dell’attribuzione del codice Isbn (4 euro). Dopodiché, se si hanno problemi si può inserire un messaggio nel forum, oppure rivolgersi al servizio di assistenza, con il quale ho interagito per alcune piccole questioni e che ha sempre risposto in tempi brevi e con grande competenza.
L’autopubblicazione in sé comporta vantaggi e svantaggi. Prima di tutto, l’Autore ha il controllo di ogni dettaglio relativo al suo libro: il testo (contenuto e stile), la copertina, la quarta di copertina, il prezzo di vendita, fino al momento in cui l’opera va sul mercato ed eventualmente ne viene ritirata. Inoltre i suoi ricavi sono più alti. Se su un libro cartaceo un Autore prende di norma l’8% del prezzo di vendita, e su un eBook pubblicato da una casa editrice digitale o mista di norma il 25%, l’eBook autopubblicato può fruttargli anche il 60%. Sul piano negativo, tutto ciò comporta una totale solitudine e una maggiore responsabilità: ogni errore eventualmente commesso ricadrà esclusivamente sull’Autore, che non ha un editor al quale mandare le stesure del suo testo per avere un feedback, non ha un correttore di bozze e non ha neppure un ufficio stampa che promuova il suo libro una volta pubblicato.

Spesso si parla del prodotto autopubblicato come un oggetto di scarsa qualità, carente dal punto di vista contenutistico/sintattico e inferiore rispetto ai libri digitali creati dalle grandi case editrici. Sei d’accordo con tale affermazione?
RC. A quanto mi risulta, diverse persone che, come te, scrivono su blog letterari, hanno deciso a un certo punto di non recensire più testi autopubblicati, perché spesso erano degli… posso usare una parola forte? Degli obbrobri. Scarsi sul piano stilistico, per non parlare dei contenuti, di nessun interesse per un pubblico esteso, inutili o altrimenti “impubblicabili”. Il raggiungimento, in alcuni casi, di esiti scadenti è una conseguenza inevitabile della mancanza di un filtro tra l’Autore e il lettore. Ma arrivare a dire, da questo, che l’autopubblicazione è il male assoluto, mi sembra voler buttare l’acqua sporca con il bambino dentro.

Sappiamo che stai per avviare un’agenzia di servizi per l’autopubblicazione. Puoi parlarci di questo progetto e quale sarà il suo obiettivo?
RC. Molte grazie di questa domanda, che mi consente di parlare pubblicamente per la prima volta di questa iniziativa. L’agenzia si chiama “Scrittura a tutto tondo” (http://scritturaatuttotondo.it/); ho sviluppato l’idea d’impresa con il sostegno di un progetto finanziato dalla Provincia di Roma e dal Fondo Sociale Europeo, denominato “STAF – Sviluppo Territoriale Autoimprenditorialità Femminile”. Vogliamo offrire (non sono sola: il gruppo di lavoro è in via di definizione) un servizio di consulenza a tutto tondo, appunto, rivolto al mondo della scrittura e dell’editoria digitale.
L’idea nasce da una richiesta specifica, e reiterata nel tempo, che ho ricevuto: tramite il mio sito e a seguito dei corsi di scrittura che ho tenuto di quando in quando, a partire da alcuni anni a questa parte ho ricevuto email da diversi aspiranti scrittori che mi pregavano di rivedere i loro scritti. Ho sempre declinato le offerte, arrivando a chiarire sul mio sito che non leggevo inediti; ora invece ho deciso di dare ascolto a queste richieste. Ci occuperemo di revisione e valorizzazione di testi destinati alla pubblicazione, sia nel mercato di massa che all’interno di contesti più ristretti, e di realizzazione di libri elettronici di qualità. L’autopubblicazione del mio La strana giornata di Alexandre Dumas è stata una sorta di prova generale: ho voluto sperimentare su me stessa quel che intendo offrire agli altri.

In Italia è forte la polemica sul prezzo “giusto” del formato ebook rispetto alla copia cartacea. In funzione di questa tua esperienza con il digitale, quale deve essere, a tuo parere, il compromesso che può riportare a toni più distesi questa grande diatriba?
RC. Non so se sia possibile dare una risposta definitiva a questa domanda. Da un lato abbiamo i grandi editori, i quali giustamente sostengono che la pubblicazione di un eBook è solo una parte di un processo complesso e costoso, che quindi deve essere ripagato; dall’altra abbiamo i lettori, che altrettanto giustamente non sono disposti a pagare per un non-oggetto (l’eBook) un prezzo di poco inferiore a quello dell’oggetto (il libro cartaceo). E visto che “piratare” un libro elettronico non è molto difficile, se il prezzo dell’eBook è percepito come eccessivo quindi iniquo, allora l’utente se lo scarica gratis da qualche sitaccio e tanti saluti.
Forse si potrebbe dare un’occhiata a quel che è successo nel mondo della musica, visto che l’industria discografica è da anni alla ricerca di soluzioni al problema del download illegale dei brani musicali. Esperienze quali Spotify e Netflix hanno provocato un crollo della pirateria, dimostrando come, davanti a un’alternativa legale conveniente, gli utenti siano spinti a utilizzarla. Inoltre, ancora una volta, possiamo fare riferimento a Narcissus – o meglio, alla piattaforma di distribuzione degli eBook “Stealth”, utilizzata da Narcissus e che fa parte della stessa famiglia (Simplicissimus Book Farm). A maggio dello scorso anno si è tenuto un convegno di Stealth, nel corso del quale sono stati resi pubblici i dati relativi alle migliori performance per prezzo di vendita: ebbene, i prezzi ideali sembrano essere € 1,99 e € 4,99. In ogni caso sembra assolutamente sconsigliabile superare la soglia dei 6,99.

Il mondo digitale è spesso visto come un cancro dall’editoria tradizionale, tant’è vero che è tra le prime cause citate quando si disquisisce della crisi dell’editoria. Qual è il tuo pensiero al riguardo?
RC. Io penso che chi cerca di fermare il progresso sia destinato a fallire. Penso che si dovrebbe tentare di cavalcare le onde montanti, quando arrivano, anziché erigere muri che prima o poi saranno inghiottiti dall’acqua. In Italia si è cercato (lo affermo sulla scorta dei miei contratti di edizione) di “proteggere” il cartaceo con due azioni fondamentali: quando si pubblicava un nuovo libro, si metteva in commercio la versione elettronica alcuni mesi dopo quella stampata; e si imponeva per la versione elettronica un prezzo di vendita non troppo inferiore a quello del libro stampato. Queste scelte hanno inciso poco sull’espansione dell’editoria elettronica e hanno, piuttosto, favorito il prosperare della pirateria, come dicevo prima.
Se invece di cercare di “contenere il mare” si fossero investite risorse, che so, nella realizzazione di un eBook reader tutto italiano, non sarebbe stato meglio? E invece adesso ci ritroviamo a utilizzare dispositivi americani, canadesi, giapponesi e quant’altro, e stiamo qui a lagnarci che i libri di carta non li compra più nessuno.

Il self-publishing è spesso la scelta preferenziale per gli esordienti che sognano di diventare scrittori. Quali consigli vorresti dare a coloro che si cimentano nell’impresa dell’autopubblicazione?
RC. Prima di tutto, interrogatevi sulla vostra disponibilità ad affrontare la desolante solitudine che vi attende (poiché, come dicevo prima, l’Autore che si autopubblica è totalmente solo). E se questa solitudine vi inquieta, e avete qualche risorsa economica da investire, allora provate a farvi fare un preventivo da un’agenzia qualificata di servizi editoriali (preventivo gratuito, beninteso). Può essere utile avere un interlocutore con l’aiuto del quale analizzare la propria idea originaria e la propria motivazione – perché si vuole scrivere, e perché di quell’argomento? – nonché identificare l’interlocutore al quale ci si rivolge: per chi si vuole scrivere? Prevalentemente per gli uomini, per le donne, per un pubblico di livello culturale più o meno elevato, per una nicchia specifica con determinati interessi e competenze – o magari per un circolo ristretto di clienti, oppure di semplici conoscenti o familiari…?
La qualità di ogni esito creativo è interna al genere al quale l’esito stesso appartiene, e per raggiungere un obiettivo, quale che esso sia, è necessario averlo ben chiaro. Chi ritiene di non aver bisogno di un interlocutore per questa analisi preventiva, e per le successive fasi di sviluppo del proprio progetto – chi, in sostanza, non è spaventato dalla solitudine – non può che avere i miei complimenti, e il mio più caloroso in bocca al lupo!





giovedì 23 gennaio 2014

WILD CARDS, ovvero il lato positivo del marketing



Qualche tempo fa sul blog avevamo dedicato una serie di articoli a Geroge R.R. Martin e al suo A Song of Ice and FireIn uno di questi interventi ci eravamo soffermati, in particolare, su un progetto da lui curato, cioè Wild Cards

Riassumendo in poche parole, si tratta di una serie - che per ora consta di ventuno libri - di romanzi fantascientifici scritti a più mani, nata da un'idea di Martin e di altri autori e basata su un gioco di ruolo. La serie si è poi estesa fino a diventare un progetto vasto e in continua crescita, che coinvolge sempre più penne/tastiere e storie. L'universo delle antologie è condiviso: la Terra è stata invasa da un virus alieno, detto appunto Wild Cards, che risulta altamente letale per gli esseri umani. Fra le persone colpite dalla malattia ci sono due categorie molto particolari, gli Aces, ovvero gli Assi, che non solo sopravvivono al virus ma, grazie a esso, ottengono un superpotere, e i Jokers, che non traggono vantaggi dal Wild Cards e il cui aspetto diventa mostruoso. Per questo vengono ben presto isolati dalla società, andando a rimpinguare gli strati più loschi della popolazione. Dopo un iniziale sbandamento del genere umano la situazione torna parzialmente sotto controllo e Aces Jokers si ritrovano utilizzati/amati/odiati dalla popolazione terrestre. Partendo da questi presupposti ogni autore - e si sono cimentati davvero in tanti – crea una sua storia che si lega o meno a quella degli altri, ma comunque contestuale all'universo che va espandendosi racconto dopo racconto. Le possibilità sono molteplici, c'è chi riprende personaggi chiave di un'altra storia, chi quelli secondari, chi se ne inventa di propri: ogni idea è la benvenuta.

L' esperimento narrativo ha saputo dare ottimi risultati: se il primo libro della serie presenta qualche lacuna e manca a tratti di armonia, grazie alla levatura degli autori e alla varietà di stili l'opera nel suo complesso risulta comunque originale e degna di nota.

Perché ne riparliamo? Ebbene, nell'ambito della traduzione italiana, arenatasi ai primi due libri della serie (Wild Cards – L'origine Wild Cards – L'invasione, uscite in patria nel 1987 e portate in Italia da Rizzoli nel 2010), c'è una grossa novità: non solo i primi due volumi sono stati ripubblicati da Mondadori ma, cosa ancor più stupefacente, nonostante i ritardi a cui siamo ormai abituati e il timore che il progetto di pubblicazione in Italia fosse stato abbandonato, è uscito anche il terzo volume, Wild Cards – L'assalto.
Stranamente il progetto, ripartito a giugno 2013, è passato in sordina con pochi echi anche on-line, dove solitamente le novità rimbalzano fino a riempire completamente la rete.

Il motivo di un rinnovato interesse per la serie è comunque presto svelato: da un lato gioca un ruolo principe l'improvviso balzo di notorietà di George R. R. Martin, grazie anche ai telefilm dedicati a A Song of Ice and Fire, che hanno finito per coinvolgere e appassionare persino i non lettori o i refrattari del genere fantasy. Dall'altro, il fatto che la nuova notorietà di Martin ha catturato l'attenzione di Hollywood: l'occhio della Syfy Film e della Universal Picture si è focalizzato proprio su Wild Cards, di cui da tempo sono stati comprati i diritti per l'adattamento sul grande schermo (la notizia risale già al 2011). L'attesa potrebbe essere lunga, vista la necessità di sviscerare tutto il materiale disponibile per estrarne un' unica storia.

Mondadori deve aver quindi fiutato l'affare, rimettendo i primi due volumi sul mercato con una copertina tutta nuova, e pubblicando  il terzo. Da febbraio 2014, con un po' di fortuna, potrebbe approdare in libreria anche il quarto volume. Tutto dipende però dall'esito delle vendite dei primi libri: dopo l'entusiasmo iniziale, infatti, la casa editrice si è resa conto che la serie procede a gruppi di trilogie, nonostante la struttura non sia uguale in tutti e ventuno i volumi. Poiché il quarto volume rappresenta l'inizio della seconda trilogia, la casa editrice sta tentennando. La speranza resta quella che gli appassionati di Wild Cards possano godere della serie al completo, ma le complicate dinamiche editoriali e la corsa al guadagno  - che costringe spesso a interrompere le saghe - non giocano a favore del futuro italiano di questo meritevole progetto.





martedì 21 gennaio 2014

Recensione: Il colore del tè di Hannah Tunnicliffe



Il colore del tè, Hannah Tunnicliffe
Sonzogno
320 pagine, 18 euro
Come avevo già scritto in precedenza, in occasione della mia recensione de “La Grande Festa di John Saturnall”, il filone culinario va alla grande anche quando si parla di libri: tra cuochi cultori dello scalogno e manuali di ricette facili e veloci, non c'è che l'imbarazzo della scelta! Anche il mondo della pasticceria è oggi di gran moda: di cake design e decorazione dolci si parla e si scrive molto, e le cupcake (uso volutamente l'articolo femminile LE, anche se per il resto del mondo credo siano I cupcake) hanno ormai invaso le cucine di mezza Italia. Ovviamente, da golosa quale sono, l'argomento non mi lascia indifferente e quando mi si è presentata la possibilità di leggere e recensire “Il colore del tè” della neozelandese Hannah Tunnicliffe l'ho colta al volo: bevo litri di litri al giorno e non disdegno i macarons e la copertina del romanzo, con una deliziosa tazza da tè colma di pasticcini, era un allettante invito. A lettura terminata, però, di dolce ne ho avuto fin troppo e sono decisamente pronta a leggere e recensire opere dal gusto meno stucchevole.
“Il colore del tè” narra la vicenda di Grace, inglese sulla trentina che si è trasferita a Macao per seguire il marito, che viene trasferito nell'ex colonia portoghese per seguire un progetto edilizio. Fin da subito Grace viene presentata come una donna molto fragile, smarrita e depressa a causa dell'impossibilità di avere i figli che tanto desidera, sposata a un uomo di sufficiente buona volontà che però non riesce a comprendere appieno i suoi tormenti. I primi tempi a Macao sono duri per la protagonista, che non vive, ma si “lascia” vivere (addirittura si rivolge a una veggente locale per sapere che cosa le riserverà il futuro), disorientata dal dolore che le procura la consapevolezza che non sarà mai madre. L'occasione per dare una svolta le si presenta quasi per caso, quando, passeggiando per strada, nota un cartello “vendesi” affisso a una vetrina: il locale è in vendita e lei, con la passione culinaria ereditata da una madre fuori dagli schemi, decide di provarci, di aprire un caffè dove poter servire i propri dolci. A questo punto già incominciano a nascere in me le prime perplessità: una donna che sta attraversando un momento personale molto difficile e che non ha mai fatto l'imprenditrice, decide di mettersi in proprio in un angolo d'Asia e, pur non conoscendo la lingua e pur non avendo appoggi che possano aiutarla con la burocrazia, nel giro di poco tempo riesce ad aprire il suo Lillian's, chiamato così in onore della mamma scomparsa. Il marito, che ha sempre avuto in mano i cordoni della borsa, borbotta un po', ma le lascia investire una cospicua quantità di denaro (quella messa da parte per un tentativo di fecondazione in vitro)... del resto come non farsi convincere dall'affermazione di Grace: “Sono tanti soldi. Lo so. Ma apro un negozio. Sarà un investimento. Ne guadagnerò anche di soldi.” (pag. 71). Procedendo nella lettura, il clan femminile attorno al Lillian's si allarga: a Grace si affianca Rilla, giovane e briosa ragazza filippina, che grazie alla propria dedizione e affidabilità si rivelerà una collaboratrice preziosissima (a mio parere il personaggio meglio caratterizzato del romanzo), seguita da Gigi, una cinesina poco più che ventenne, selvatica, rude ma sotto sotto dal cuore d'oro, senza dimenticare l'anziana Yok Lan e Marjory, ex ballerina appariscente e dai modi spicci, anche lei di gran cuore. Il personaggio di Gigi è stato un altro aspetto del romanzo che non mi ha convinto: Gigi, di professione ex-croupier che entra poi a far parte della squadra del Lillian's (e fortunatamente per le tasche di Grace: una ragazza tosta che parla cantonese, capace di mettere in riga i fornitori truffaldini!), è la nipote dell'indovina che Grace aveva visitato nei primi giorni a Macao. Le due si erano quindi già incontrate, visto che Gigi si occupava della riscossione del denaro per le predizioni della zia.

“Grazie. Mi chiamo Gigi.” […]
“Piacere, Gigi. Io sono Grace.”
“Sei venuta a trovare mia zia.”, mi dice, scrutandomi a lungo in viso con espressione seria. Poi la ricordo in tuta da ginnastica intenta a masticare una gomma e a trafficare con il telefonino. (pag. 119)

Quando nel romanzo si parla di lei, spesso lo si fa utilizzando aggettivi come “cupa”, “annoiata”, “sbrigativa”, “arrabbiata”: insomma la nostra Gigi, sebbene ci venga lasciato intendere che abbia ricevuto diversi tiri mancini nel corso della sua breve vita, non è presentata come una persona amabile e tuttavia Grace la prende molto a cuore, anche se in diversi casi la ragazza la tratta con una certa irrispettosa freddezza. Solo a una cosa Gigi non sa resistere: anche lei infatti cade sotto l'incantesimo maliardo dei macarons, come descritto a pag. 122 del romanzo. L'unico momento in cui Gigi pare “deporre le armi” è proprio quando osserva i bramati macarons: “Sotto il trucco e la matita scura di solito si nasconde un'espressione cupa. A parte quando esamina i macarons nella loro vetrina, naturalmente. In quei casi si raddolcisce in viso, si scioglie in un modo tutto suo, come burro in padella”.  
Inoltre Gigi aspetta un figlio da un poco di buono che non ha alcuna intenzione di fare il padre: la ragazza sembra insofferente durante tutta la gravidanza e non pare mostrare molto affetto per il bambino in arrivo; fortunatamente le cose dopo il parto cambiano e Gigi scopre di volere molto bene alla sua bambina, anche se [ATTENZIONE SPOILER!] è anche pronta a darla in affido a Grace quando dovrà ritornare in Australia con il marito. In effetti la zia indovina aveva predetto: “Forse ci sarà un bambino.” (pag. 17).
Che la proprietaria del Lillian's prenda tanto a cuore la vicenda della ragazza forse dipende proprio dal fatto che quest'ultima è incinta, ed è quindi plausibile che Gigi dimostri infine un nuovo atteggiamento più affettuoso e grato, tuttavia mi è sembrato davvero troppo forzato il passaggio in cui la “neo-mamma” ammette alla “mai-mamma” di aver realizzato di amare molto la bimba, ma di nutrire dei dubbi sulla propria adeguatezza ad accudirla e a garantirle un futuro degno, facendo così intendere velatamente l'intenzione di separarsene affidandola a Grace, la quale non trova meglio da dire che..: “Ci prendiamo un tè e finiamo questi macarons?” (pag. 302)
In tutto questo non possiamo non menzionare la sbandata che la nostra protagonista ha per Léon, affascinante chef francese (ovviamente!) un po' “piacione” che ha occasione di incontrare durante un evento per expat. Grace avverte una certa stanchezza nel suo matrimonio e si lascia coinvolgere in romantiche (ma a tratti anche bollenti) fantasie, sostenute dal fatto che Léon è stato il primo a iniziarla all'arte del macaron.
Inoltre, essendo una traduttrice di formazione e avendo molto a cuore il tema, sono rimasta perplessa per alcune scelte di traduzione, come quella di utilizzare il verbo “fare” al posto di “dire” (fortunatamente non frequente):

“Accidenti” fa lei, con una punta tagliente di accento australiano, poi mi implora: “Non potrebbe aprire un po' prima oggi?” (pag. 97)

Oppure la scelta del termine “industria” per rendere quello che probabilmente in versione originale è industry:
Ah, tu hai un talento naturale per questa industria. Ce lo devi avere nel sangue.” (pag. 155)
Trattandosi di pasticceria, credo che industria non sia la parola più appropriata.
Ho invece parzialmente apprezzato il modo in cui Grace ha cercato di riconciliarsi con la figura della madre, scrivendole lettere accorate che non potrà più leggere, ma con cui cerca una sorta di catarsi. Solo verso la fine del romanzo capiamo i motivi per cui la protagonista ha scelto la comunicazione epistolare per venire a patti con il proprio passato.
Questa volta, comunque non mi sento proprio di dare a “Il colore del tè” la sufficienza: si lascia leggere - è vero - ma, per tornare in ambito culinario, è come una torta troppo ricca e decorata: può ingolosire, ma dopo qualche forchettata ne hai abbastanza da non riuscire a consigliarla al tuo vicino di tavolo.


Voto: 



venerdì 17 gennaio 2014

Recensione: Perdutamente di Flavio Pagano




Perdutamente, Flavio Pagano
Giunti
12.00 euro, 240 pagine
Tratto dalla drammatica esperienza che ha segnato l’autore Flavio Pagano, Perdutamente è la storia di una famiglia alle prese con la grave malattia neurodegenerativa che ha colpito un’anziana parente: il morbo di Alzheimer. Non a caso il romanzo è uscito alla vigilia della XX Giornata Mondiale dell’Alzheimer (21 settembre 2013) istituita dall’Oms per sensibilizzare le coscienze circa questo angoscioso male che oggigiorno affligge 36 milioni di persone nel mondo.
La vicenda si svolge in una Napoli degradata e fatiscente in cui regnano il caos e il disordine: crolli di cornicioni e palazzi sono diventati l’ordine del giorno, così come anche gli allagamenti, gli enti pubblici dell’ Inps e dell’Asl a causa della loro inefficienza sono pressoché inesistenti, sempre più rifiuti inondano le vie, la città della scienza viene incendiata… Esattamente come la protagonista, Napoli, essendo colpita dall’alzheimer, è una città smemorata, irascibile, enigmatica, ricca di contraddizioni.
Tutto ha inizio con la fuga dell’anziana signora che, per un caso fortuito, viene ritrovata alla stazione dei treni. Con sé porta una strana lettera attorno alla quale i familiari costruiscono una serie di fantasiose teorie. Una volta che la malattia viene diagnosticata, tutti i componenti della famiglia si raccolgono attorno all’anziana madre e nonna mobilitandosi per diventare caregivers estremi sempre pronti ad aiutarla e sostenerla in qualsiasi circostanza. Ed ecco che tra alti e bassi, pianti, scatti d’ira, aggressività e il continuo susseguirsi di momenti di completa irrazionalità e incoscienza, con qualche breve e raro attimo di lucidità, la casa padronale  presso cui vive questa famiglia sui generis, situata nel centro di Napoli, si trasforma quasi nel palcoscenico di un teatro dove gli attori/familiari si pongono l’obiettivo di assecondare i viaggi temporali dell’ottantenne e di addolcire il più possibile i suoi ultimi anni di vita.

Alla lunga l’alzheimer costituirà un’occasione di crescita e di apprendimento per le persone coinvolte. Ogni singolo membro della famiglia conoscerà meglio quella piccola, ma allo stesso tempo grande donna, che, con la sua semplicità, diviene fonte inesauribile presso cui attingere quotidianamente saggi insegnamenti.
<< Siamo il bagaglio di noi stessi>> mi disse un giorno <<tutto ciò che realmente possediamo ce lo portiamo dentro>>
E, quasi inconsapevolmente, impartisce la lezione più grande, quella sul vero e profondo significato dell’amore, basato sulla costanza, la fedeltà, il sacrificio e sul darsi, senza riserve e per sempre - come si evince dalle battute finali, quando, di fronte al presunto San Gennaro, invoca la grazie divina non per se stessa, ma per i suoi cari.

<<Nel momento culminante del suo lungo cammino, quando avrebbe dovuto diventare protagonista assoluta della scena, si fece da parte. Si fece così piccola da scomparire, per far posto a tutto l’amore che aveva per noi. Un amore che nessuna malattia del corpo e della mente avrebbe mai potuto né abbattere, né scalfire. Un amore che non era fatto di quantità, un amore che non era fatto di prendere, ma di dare.>>

Bastano poche righe di Perdutamente per comprendere quanto sia difficile la vita di chi ha l’alzheimer e di chi assiste un malato affetto da questo terribile male. Ci vuole pazienza, coraggio e una buona dose di ironia. E, nel raccontarci la sua esperienza di vita, è proprio quello che fa l’autore, Flavio Pagano, giornalista e scrittore napoletano molto versatile che si è accostato ai generi letterari più disparati. L’ironia diviene, insieme all’alzheimer, uno dei temi fondamentali dell’opera; è il rimedio, la cura con cui contrastare la malattia che divora il tempo. Alla stregua delle commedie di Eduardo De Filippo (perdonate il paragone forse un po’ azzardato), Perdutamente suscita spesso il riso nel lettore, rendendo assurdi fatti di vita reale, come solo i napoletani sanno fare, ma al contempo allontanandosi completamente dalla comicità offre spunti di riflessione quali la famiglia, l’importanza del ricordo, il rapporto genitori/figli, la vita, la morte. A questo si aggiunge una scrittura leggera e vivace che attribuisce al testo un ritmo veloce e incalzante.
Nulla da obiettare riguardo al titolo, un avverbio di estrema dolcezza, anche se amaro al tempo stesso. Si ama Perdutamente, ed è questo quello che accade alla protagonista di questa storia.


Voto:


A cura di Laura Giuntini.





Flavio Pagano

Flavio Pagano (Napoli, 1962), è un autore eclettico, che ha spaziato attraverso vari generi letterari. Alcuni suoi lavori sono diventati spettacoli teatrali, e ha scritto anche per la tv. Nel 2011 ha ricevuto il Premio speciale Elsa Morante-Isola di Arturo con il libro Ragazzi ubriachi. Per Giunti ha pubblicato nel 2012, con Alessandro Cecchi Paone, Il campione innamorato. Autodidatta per vocazione, suona il violoncello e il piano. Ha giocato a rugby, sua grande passione. Collabora con il Corriere del Mezzogiorno e il manifesto. Vive a Napoli.

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