domenica 14 novembre 2010

Diario di un antropologo - Lucio Schina

Una settimana fa sono stata contattata da un garbato autore che, lette le mie recensioni, mi ha chiesto di dare un parere oggettivo sul suo primo libro, Diario di un antropologo, il viaggio del disincanto, uscito nel 2007 ed edito da Progetto Cultura. 
Ho letto il libro con molto piacere tutto in una notte e trovo soltanto ora cinque minuti per scrivere la recensione...

L'antropologo Davide Chisan parte per un periodo di lavoro in Libia, in pieno deserto, dove lo attende un periodo di studi sulle pitture rupestri preistoriche della zona...
Alla spedizione si aggiunge per la prima volta una dottoressa del luogo, Janir Assad, ricercatrice all'università di Tripoli, che ha fama di studiosa dedita e rigorosa. Giunti sul sito designato la troupe organizza il lavoro, e tutto sembra svolgersi normalmente. Ma il secondo giorno, durante una perlustrazione in un riparo sotto roccia, Chisan scopre la pittura di una mummia, che desta scalpore in rapporto all'antichità del reperto. Come è possibile rinvenire le tracce di una pratica cosi omplessa quale la mummificazione all'interno di gruppi umani ancora cosi poco progrediti? Il giorno successivo, eccitato dall'incredibile scoperta, Chisan ne parla con la dottoressa Assad, la quale si mostra immediatamente scettica, ma nel momento di mostrarle la pittura scopre che questa incredibilmente è scomparsa. Da quel omento inizia una ricerca incessante che porterà Chisan su sentieri inesplorati del suo stesso ego, alla ricerca di quelle risposte che pian piano gli permetteranno di dare un senso agli accadimenti che inspiegabili si susseguiranno per l'intero periodo di soggiorno nel deserto. Passo dopo passo quel viaggio di studio si trasformerà in un affascinante esperienza introspettiva, attraverso il dispiegamento delle sue più intime emozioni. Contemporaneamente il protagonista sentirà nascere dentro di se un interesse verso la dottoressa Assad, inquietudine che acquisterà i contorni ell'amore, attraverso un incontro scontro che li vedrà convivere tutte le incredibili esperienze sul campo. Ed in più il deserto, straordinario paesaggio che farà da suggestivo sfondo alle vicende narrate.




Recensione.
E' un po' difficile trovare le parole per scrivere un incipit, sia esso quello di un racconto, di un pensiero o di una recensione. Ci sono molte parole che mi vengono in mente pensando a questo libro, ma ci sono soprattutto immagini. 
Ecco, Diario di un antropologo è un libro che lascia immagini. Brevi scorci di posti mai visti, profumi mai sentiti, personaggi inesistenti. E' un sovraffollamento di visioni del deserto, di sere fresche illuminate da un caldo falò, di un mercato affollato di colori forti e contrastanti. 
La storia, l'avrete letto sulla trama, racconta dell'esperienza incredibile di un archeologo che, dopo l'ennesima spedizione in Libia, entra a contatto con la natura del luogo in un'esperienza totalizzante... tanto che gli sconvolgerà la vita. 
Il libro comincia con l'incontro tra Davide Chisan e il committente della spedizione, Zawi, libico ricco e influente, amico dell'archeologo. Devo dire che la caratterizzazione dei personaggi -più di quelli secondari che dei protagonisti, in realtà- è magistrale. Ci sono tante piccole comparse che nella loro piccolezza raccontano molto più di quanto sia loro dato spazio. La narrazione è divisa tra i punti di vista di Davide e Janir, ma soprattutto del primo. Le personalità di questo  sembra opposta a quella della dottoressa Assad, donna forte e apparentemente dura ma dal cuore tenero. Sebbene però parte del racconto partecipi dei suoi pensieri, della giovane Janir percepiamo molto poco. Si intuisce di un amore finito male che l'ha portata a chiudersi in se stessa... ma poi? Cosa la spinge ad innamorarsi di Davide, oltre ad una spontanea ed istantanea simpatia? Perché è un'archeologa? Sappiamo anche che scrive poesie, ma fino a che punto questa vena di romanticismo influisce sulla sua personalità? Non vede traccia di spiritualismo nei reperti che studia, è anzi una donna metodica e precisa. Non escludo che un'estrema razionalità possa convivere nella stessa persona con un aspetto anche un po' sognatore... Ma ciò non risulta leggermente incoerente? 
E' infatti un po' di approfondimento psicologico che manca nel romanzo, ed alcuni passaggi fondamentali un po' troppo veloci. Non vediamo, per esempio, le fasi dell'innamoramento di Janir, ma lo ritroviamo nero su bianco in una frase esatta del racconto: 


E da qualche tempo, sentivo di nutrire verso di lui una sorta di predilezione particolare che andava sempre più aumentando, e a volte l’essere trattata come un semplice membro del gruppo, suscitava in me una sgradevole sensazione, forse perché avrei preferito che lui mi recasse un’attenzione diversa.


Non ci sono piccoli passi che portano a questo evento, ma questo viene più che altro assecondato dall'autore come un fatto scontato o una tappa obbligata. Allo stesso modo, avevamo assistito ad un interessamento di Davide nei confronti della ragazza, ma ad un certo punto questo viene troncato: 


La decisione di mantenere il nostro rapporto entro i limiti di una collaborazione scientifica rappresentava una barriera difensiva che avevo deciso di mantenere, al di là di ciò che provavo nello starle accanto e al di là di ciò che sentivo nel vederla. 


Ammesso che la motivazione sia plausibile, perché non cercare di approfondire il loro rapporto dopo la spedizione? Non viene indicata una ragione per cui siano costretti a non stare insieme e Janir, seppure avvertita da una misteriosa donna al mercato che le legge la mano, non coglie l'opportunità dell'amore, lasciando che il loro sogno sfumi senza concretezza ancora prima di cominciare. 
Ultimo appunto -poi parliamo dei pregi del romanzo, promesso :D - viene rivolto alla trama. Schina cerca di conferire alla spedizione un'aura di mistero, impregnandola di misticità e simbolismo. Ma cos'è che gli succede, esattamente? In che modo Davide riesce a travalicare i suoi limiti? E questi limiti - che consistono, presumo nell'  "aprire il cuore alla vera conoscenza, accettare che le energie vitali dei luoghi assolati del deserto libico entrino in lui, liberare l'anima dagli influssi negativi" - non erano già stati superati, essendo Chisan un uomo molto aperto allo spiritualismo e ai poteri/capacità cognitive delle popolazioni autoctone? 
Il finale, seppur aperto -mi ha ricordato l'epilogo de "il gioco dell'angelo", anche se Zafòn si era dimostrato decisamente più irritante- avrebbe potuto essere un po' più chiaro ed esplicativo. 
Avendo doverosamente puntualizzato questi aspetti, posso finalmente passare ad una caratteristica che mi ha colpito molto favorevolmente: lo stile.
Sono una persona che ama "bere" le parole quando sono sinuosamente incastrate tra loro. Lo stile conta per me anche più della trama, perché è davvero questo che ci parla dell'anima dello scrittore, del modo in cui vede il mondo e di quanto  sappia esprimere un'emozione con una serie di lettere e suoni.
Lo stile di Schina è davvero piacevole, evocativo, mai pesante e scontato. Il romanzo scivola pagina dopo pagina senza difficoltà, trascinato da una corrente di latte e miele. E, come dicevo all'inizio, di immagini. Ci vuole molto talento per descrivere ed io, casualmente, ho anche un debole per le descrizioni. Sono gli odori, i colori, i brividi che corrono lungo la schiena, a fare di Diario di un antropologo un racconto vivo ed esplosivo, ma anche silenzioso e vibrante. Con una penna elegante e ricca, un linguaggio avvolgente e carismatico, ma al contempo raffinato e levigato. 


La potenza delle immagini ospita in sé un insieme di suggestioni visive in grado di sbalordire per la perfezione che suggeriscono, quella stessa che fu necessaria agli artisti per sintetizzare nei loro tratti caratteristici l’essenza degli uomini che furono. Archi di roccia disegnati pazientemente dagli elementi naturali, pareti dalle tonalità più radiose, smerigliate e maestose, insenature che sembrano piccoli corsi d’acqua che trasportano emozioni, forme geometriche che si alternano a indecifrabili bizzarrie senza senso, tutto si tramuta in un infinito ricettacolo di sensazioni, che come un mare calmo fluttua in me producendo i più sublimi stati d’animo, quegli stessi che sono alla base del mio stesso essere.


Diario di un antropologo rappresenta forse il viaggio catartico dell'autore nei meandri di una ricerca. E' il prodotto di uno scrittore sicuramente di talento, ma che deve ancora maturare e meditare un po' per raggiungere la perfezione -e con questo mi riferisco agli elementi che vanno approfonditi o ai piccoli difetti della trama-. E' anche una "prima opera", un primo romanzo, ed è dunque comprensibile. Non dubito affatto che con l'esperienza questa lacune andranno colmate e che Schina potrà realizzare grandi storie, arricchite con quel suo meraviglioso linguaggio e una tempra più incisiva. Al "Diario" do quindi un voto di 7 decimi e all'autore un augurio per il suo nuovo romanzo. 


Voto:  (7/10)


Lucio Schina.
Sono nato più di 30 anni fa in provincia di Roma.Ho avuto un'infanzia, un'adolescenza, una giovinezza
(nella quale, forse in modo presuntuoso, ritengo di appartenere tutt'oggi) serena e tranquilla.
Laureato in antropologia ed archeologia preistorica,
mi sono occupato durante il periodo di formazione universitaria in particolare dello studio del simbolismo e dei linguaggi preistorici, attraverso lo studio e la comprensione dell'imponente, e per certi versi misterioso,  fenomeno delle produzioni rupestri, meglio note al grande pubblico come "Arte rupestre preistorica". 

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