Il padre infedele, Antonio Scurati
Bompiani
188 pagine
17,00 euro
|
Leggere
un libro candidato al Premio Strega non sempre risulta una buona idea. Anzi,
spesso, diventa l’incipit di un’ indagine a più ampio spettro sulle direzioni
che sta prendendo la narrativa italiana.
Il
padre infedele è un romanzo scritto in forma diaristica, nel quale il
protagonista tenta di raccontare gli aspetti positivi e negativi della vita alla figlia. Volendo riassumere a partire dal prologo, direi che è la storia di un
uomo che ha capito, in seguito alle lacrime della moglie, che la sua vita
coniugale è finita, per poi propinarci il racconto letterariamente arzigogolato
di come è arrivato a tal punto. Fine. A condire il tutto ci sono la
pubblicità della famiglia felice della Barilla, una visione piuttosto
animalesca e misogina del sesso, una prosa altisonante e spesso complicata. Con
ciò non voglio dire di non aver apprezzato l’elogio della lingua che solo un
docente del calibro di Scurati avrebbe potuto regalare, ma in molti casi si
verifica un effetto rebound, per cui
il consistente utilizzo di subordinate rende la lettura faticosa, restituendo la
sensazione di dover tradurre ciò che si sta leggendo come in presenza di
una versione tratta dai testi di Cicerone. Certo, a narrarci la storia è
Glauco, un laureato in filosofia che poi diviene chef, ma essendo un memoir rivolto alla figlia credo che
avrebbe dovuto avere un altro registro, sicuramente meno alto-borghese e
proustiano.
Non
siamo in presenza di un cattivo libro, attenzione, ma credo che le mie
aspettative fossero ben più alte rispetto a ciò che ho ritrovato tra le pagine.
Se voleva essere uno spaccato generazionale della realtà genitoriale, Scurati è
riuscito in poche occasioni a lasciar trapelare una sottile critica nei
confronti di chi decide sempre più tardi di diventare madre/padre. A rendere il
tutto ancora più antipatico è inoltre l’atteggiamento egoistico del
protagonista, un edonista moderno al quale è interessano solo i propri sentimenti e non si accorge di ciò che subiscono gli altri (tanto da non rendersi conto della depressione post-partum della moglie).
In
sintesi, lo stile di Scurati non accompagna bene il quadro ironico di una
caricatura umana che sembra essere l’input dal quale è nata questa storia.
Spero che gli altri libri di questo autore non seguano la stessa corrente,
altrimenti mi sarebbe ancora una volta palese il motivo per cui preferisco la narrativa
anglosassone a quella italiana.
Voto:
Antonio Scurati
(Napoli 1969) è ricercatore alla IULM di Milano e coordina il Centro studi sui
linguaggi della guerra e della violenza. Editorialista della “Stampa”, ha
scritto i saggi Guerra. Narrazioni e
culture nella tradizione occidentale (2003, finalista al Premio Viareggio)
e Televisioni di guerra (2003).
Bompiani ha pubblicato, in versione aggiornata, il suo romanzo d’esordio Il rumore sordo della battaglia (2006),
i saggi La letteratura dell’inesperienza
(2006), Gli anni che non stiamo vivendo
(2010) e i romanzi Il sopravvissuto,
con cui l’autore ha vinto la XLIII edizione del Premio Campiello, Una storia romantica (2007, Premio
SuperMondello), Il Bambino che sognava la
fine del mondo, finalista al Premio Strega 2009. Del 2011 il romanzo,
uscito sempre per Bompiani, La seconda
mezzanotte.
Nessun commento:
Posta un commento
Grazie per aver condiviso la tua opinione!