Bella mia, Donatella Di Pietrantonio
Elliot (Collana Scatti)
192 pagine
17,50 euro
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Caterina è un’artista, una donna dalla spiccata sensibilità che ricaccia qualsiasi legame relazionale se non con la propria famiglia. Non mangia quanto dovrebbe, non lavora più come una volta, il suo animo piegato e mutato dal 6 Aprile 2009, quando la sua L’Aquila è caduta vittima del terremoto, così come Olivia, sua sorella gemella, morta nel sisma. Caterina, con la madre anziana e il figlio di Olivia, Marco, vive da quattro anni negli stabili delle C.A.S.E. (Complessi Antisismici Sostenibili ed Ecocompatibili), in attesa di una ricostruzione che non arriva. Le loro abitazioni, come il laboratorio della protagonista, si trovano nella zona rossa, ossia dove non è possibile entrare per pericolo di crolli improvvisi. Ma sia Caterina sia Marco evadono le pattuglie dell’esercito che sorvegliano il perimetro per rivedere quei luoghi dove regna il silenzio, dove i lucchetti che serrano i portoni dovrebbero tener lontani gli sciacalli. La vita nelle C.A.S.E., come nei M.A.P. (Moduli Abitativi Provvisori), procede lenta e immutabile, senza prospettiva di cambiamento, per una popolazione che negli occhi ha ancora il terrore della forte scossa delle 3.32. Caterina ha trovato modo di continuare la sua attività, nel frattempo dovendo fare da madre allo scapestrato nipote, il cui padre musicista (separatosi da Olivia prima del sisma) vive a Roma, quasi come un estraneo.
La madre della protagonista scandisce le sue giornate tra la cucina e il cimitero, dove va insieme a Lorenza, che ha perso la figlia di sei anni nel terremoto. Caterina non vede futuro per una città ormai dimenticata, come anche per lei stessa, e quasi non ci crede quando inaspettatamente scopre di potersi ancora emozionare.
La storia di Donatella Di Pietrantonio sembra essere un urlo potente che vuole richiamare l’attenzione su un evento che ha smosso le coscienze, ma che è stato abbondantemente dimenticato. Abbiamo visto una forte attenzione mediatica sul territorio in seguito alla scossa più devastante, una propaganda politica forte fondata sulla ricostruzione e sui progetti abitativi temporanei, un summit del G8 a pochi metri dalla devastazione. Il narratore racconta tutto con gli occhi di chi l’orrore l’ha vissuto, non risparmiando commenti sarcastici sul modo in cui queste catastrofi vengono gestite in Italia. Eppure, il tatto e la leggerezza, seppur accompagnata di contro da una forte pesantezza d’animo, con cui Caterina racconta con sporadici flashback ciò che ha vissuto – e vive ancora, visto che la notte sogna spesso quella sera del 6 Aprile – colpiscono al cuore e lasciano da pensare. Bella mia è un romanzo che parla di ricostruzione, se non di quella delle case della zona rossa, quella dell’anima, ferita a morte anche se risparmiata, non più capace di provare altro che dolore, almeno in apparenza. Più che la storia in sé, direi che la forza del romanzo è quella di comunicare, informare, denunciare senza essere un testo d’inchiesta. Il centro focale è sull’incapacità di relazionarsi con gli altri – tra gemelli, tra madre e figlia/padre e figlio, tra giovani e vecchi, tra donne e uomini – e la volontà di trovare il modo di imparare a vivere, o rivivere.
Ho apprezzato tantissimo lo stile della Di Pietrantonio, semplice eppure incisivo, arguto e pregno di emozione, ma mi rammarico che non sia finito nella cinquina dei finalisti del Premio Strega 2014, perché assolve ad una delle più importanti missioni della letteratura: quella di registrare e raccontare il presente affinché non venga dimenticato.
Voto:
Donatella Di Pietrantonio è nata e ha trascorso l’infanzia ad Arsita, in provincia di Teramo.
Ha esordito nel 2011 con il romanzo Mia madre è un fiume, vincitore di numerosi premi e tradotto in Germania.
Vive con il compagno e il figlio a Penne, in provincia di Pescara, dove esercita la professione di dentista pediatrico.
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