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La penultima città, Piero Calò Las Vegas edizioni 330 pagine, 15 euro |
Uscito il 27 novembre scorso, questo libro è il secondo romanzo di Piero Calò, autore caratterizzato da un lessico molto elaborato e creativo.
“La
penultima città” è una distopia ambientata in un futuro prossimo
con una piacevole vena di humour nero, in cui le nazioni più
avanzate dell’Occidente si sono fuse nella Giolla Unita. In questa
sorta di entità sovranazionale il lavoro non esiste (almeno come
attività produttiva) e il denaro è andato in pensione, sostituito
da una Tessera-punti che viene ricaricata mensilmente e in modo
egualitario a ogni cittadino, con cui è possibile acquistare i beni
essenziali e soddisfare i propri vizi. Non che tutto sia permesso: le
possibili distrazioni si limitano alla palestra, fondamentale per
sfogare le energie e scolpire corpi tutti uguali, e l’Hotel
Gramsci, ovvero il bordello, dove è possibile realizzare tutte le
più perverse fantasie sessuali.
L’unica
cosa che non è possibile acquistare con la Tessera sono i viaggi
nelle altre città della Giolla Unita (dette Oasi Felici), visibili
solo attraverso gli enormi maxi schermi posti in tutte le vie di
Torello: ogni persona deve vivere là dove si trova, senza potersi
muovere per tutta la vita, a meno che non accumuli una certa quantità
di oro, che viene virtualmente consegnato al fortunato cittadino
dalla Beni, Vizi e Servizi (un ente che ha preso il posto delle
vecchie amministrazioni pubbliche) in cambio di lavori
particolarmente prestigiosi o di atti di eroismo. Leggendo il libro
scopriremo che arrivare alla quantità d’oro necessaria è
pressoché impossibile.
Ma
quali sono questi atti di eroismo? Il tutto si risolve
nell’organizzare i soccorsi per le vittime della bomba quotidiana
che scoppia nella città, anche se nessuno ricorda perché ogni
giorno debba esplodere una bomba: ormai tutti sembrano aver accettato
la deflagrazione quotidiana senza farsi domande. Allo stesso modo
nessuno ricorda cosa sia la religione, a parte fugaci reminescenze di
un grande edificio ormai abbandonato, la gionta, e di una strana
entità, conosciuta come “Questo, Codesto e Tale”.
All’interno
di questo mondo si muove un gruppo di personaggi pittoreschi, molto
diversi tra loro, che incarnano le differenti tipologie di cittadini
residenti nell’Oasi Felice di Torello. La bellissima Michela Gang
Bang, badassa (prostituta) all’Hotel Gramsci, deve convivere con un
trauma e una cicatrice che l’hanno marchiata nel profondo; Nino
Flora, che condivide con lei un appartamento, a differenza degli
altri abitanti della città sta disperatamente cercando un lavoro per
dare un senso alla sua esistenza e sembra non apprezzare gli svaghi
offerti (imposti) dalla Beni, Vizi e Servizi. Giona Paraponzi si
comporta invece come un cittadino modello: non lavora, si preoccupa
di accumulare grammi d’oro, frequenta palestra e bordello; un
pensiero improvviso però cambierà il suo modo di vedere la realtà.
Questo impulso di autocoscienza, assieme all’arrivo a Torello di un
misterioso personaggio che pare manipolare dall’ombra l’intera
città, sconvolgerà l’apparente immobilità dell’Oasi Felice,
fino a catapultare i personaggi verso un finale dai toni
apocalittici, inaspettato, che senza porre termine alla storia con
una conclusione ben definita mette il lettore di fronte a diverse
possibilità, assegnandogli il compito di interpretare l’epilogo
secondo la sua sensibilità.
Il
tono del libro è malinconico e irriverente, pervaso da un’ironia
allo stesso tempo volgare e raffinata. I personaggi vengono descritti
da un narratore onnisciente con dovizia di particolari sia dal punto
di vista fisico che psicologico, ma proprio quando crederemo di
conoscerli bene riusciranno a sorprenderci con rivelazioni sul loro
passato o prese di coscienza e azioni inconsulte.
All’interno
della trama principale, quella del mondo distopico della Giolla
Unita, si inseriscono diversi temi secondari che focalizzano
l’attenzione del lettore su alcune tematiche che caratterizzano il
declino della società, quali la crisi dell’identità personale, la
crisi della memoria collettiva, l’uso di stupefacenti, le
perversioni legate ad un uso consumistico della genetica (un
macellaio di Torello, Tiziano, crea la “caramolla”, una nuova
razza bovina composta solamente di filetto), lo sfruttamento degli
svaghi e della paura per la creazione del consenso nei governi
totalitari, il radicalismo religioso come soluzione ai problemi della
società.
Una
delle caratteristiche peculiari del romanzo è sicuramente il
linguaggio: l’autore riesce in un esperimento linguistico frutto
dell’accostamento di termini provenienti da ambienti semantici
differenti (talora anche da lingue diverse, come l’improbabile
italo-francese parlato dalla vedova Gnutti Bella e dai due nipoti Le
Mec e Le Truc), con vocaboli talora sboccati, spesso inventati, che
vogliono rappresentare la peculiarità della lingua parlata da
Torello. Essa infatti è frutto di un impoverimento del linguaggio
dovuto all’immobilismo dell’Oasi Felice, priva di contatti col
mondo esterno e con un lessico chiuso e in fase regressiva. Una
lingua che sta morendo, dove a molti termini ormai non è più
associato un significato e che sta venendo lentamente dimenticata,
proprio come tutto ciò che precede la creazione della Giolla Unita.
“La
penultima città” è un romanzo distopico ben costruito, dove forma
e contenuto concorrono nel rendere l’idea di una società in
declino, ipotetica e ambientata nel futuro ma non per questo meno
credibile, anzi potenzialmente molto vicina alla nostra civiltà
occidentale.
Voto: 









Piero
Calò
è
nato a Taranto nel 1969 e vive a Torino dal 1992. Nel 1999 ha
pubblicato il saggio “Gola profonda – la pornografia prima e dopo
Linda Lovelace” (Lindau), un’analisi del cinema underground e
della rivoluzione sessuale in Italia.
Nel
2010 è uscito il suo romanzo d’esordio “L’occhio di porco”
(Instar Libri), nel 2011 ha partecipato alla raccolta di racconti
“Sangu – racconti noir di Puglia” (Manni). Gestisce una
cartolibreria molto colorata, Emoticom (www.emoticom.it).
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