giovedì 6 marzo 2014

6 mini-recensioni: The Elite, Dieci dicembre, La grande notte, Resistere non serve a niente, È così che la perdi, Il club delle cattive ragazze



Come succede quando mi trovo davanti una pila di libri da recensire, magari risalenti a un po' di tempo fa e/o su cui non potrei scrivere nulla di dettagliato, ho deciso di riassumere in un unico post tutto quello che avrei da dire su ultime letture, lontane e vicine. Alcune risalgono addirittura all'anno scorso - sì, è tanto che questo post attende di essere scritto -, mentre altre come Dieci dicembre o The Elite le ho appena terminate. Non sono recensioni altamente professionali, più che altro un sunto del mio pensiero che mi portavo addosso da un po' troppo tempo.



È così che la perdi è lo spin off di un libro che ho molto amato, La breve favolosa vita di Oscar Wao, vincitore del premio Pulitzer nel 2009. Junot Diaz, l'autore, è un dominicano naturalizzato statunitense: nei suoi libri lo stile irriverente, colorito, talvolta persino aggressivo si confà alla trasposizione forse un po' caricaturale del suo mondo d'origine, Santo Domingo, dove machismo, senso dell' onore, povertà e donne sensuali concorrono a disegnare un quadro dalle tinte forti. Il linguaggio, come sottolineato, è peculiare, mescola spagnolo e inglese, introduce neologismi a dir poco originali (non dimenticherò mai aficasia, in cui l'alfa privativo rende lampante di cosa è sprovvisto chi ne soffre...). La breve favolosa vita di Oscar Wao era una storia familiare fatta di donne, fortissima e splendida, che raccontava la dittatura di Trujillo e, contemporaneamente, la storia di un ragazzo nerd con parecchi chili di troppo e l'unico desiderio di attrarre le attenzioni di una ragazza. In È così che la perdi, nettamente più breve, i ruoli sono ribaltati e il protagonista è Yunior, che, come ogni buon domenicano - è per questo che poco fa ho parlato di caricatura, sembra che Diaz giochi molto con i luoghi comuni - non si contenta di una sola ragazza (il libro esordisce: "Non sono un cattivo ragazzo. So che dicendolo sembro un po’ paraculo, però è vero. Sono uguale agli altri: debole, pieno di magagne, ma tutto sommato buono. Eppure Magdalena non è d’accordo. Mi considera un tipico uomo dominicano: un sucio, uno stronzo. Vedete, molti mesi fa, quando Magda era ancora la mia ragazza, quando ancora non dovevo stare attento praticamente a tutto, le ho messo le corna con questa tipa che aveva una gran testa di capelli anni Ottanta. A Magda non l’ho detto. Sapete com’è.") I temi si susseguono: lo spettro della morte, presente sotto forma di malattia, le donne ancora una volta, lo sradicamento dalla propria terra, il punto di vista femminile, il maschilismo. Nulla che non avessimo già visto nel primo libro, di cui È così che la perdi rappresenta una debole appendice, per quanto Diaz riesca a renderla nuovamente colorata. Non lo consiglio a chi non ha letto il primo libro, perché potrebbe scartare a priori un autore che vale molto più di questo.
Voto: 


La Grande notte è un piccolo capolavoro in puro stile shakespeariano, che ritrova e rinnova le atmosfere di Sogno di una notte di mezza estate in un complesso urbano e contemporaneamente fiabesco, con uno stile onirico o concreto - in base alla situazione - talvolta confusionario ma assolutamente poetico. Chris Adrian scrive da Dio e il suo è un libro complesso, a tratti psicologico, una miscela originalissima di esperienze umane e fatate cui i protagonisti si trovano, loro malgrado, a far fronte. Al loro passato infelice si unisce un presente altrettanto traumatizzante: la notte del Solstizio d'estate Molly, Will ed Henry, appesantiti dai propri fantasmi personali, si trovano rinchiusi nel Buena Vista Park di San Francisco. La regina delle fate, Titania, in un impeto di dolore e di disperazione per la morte del figlioletto e l'abbandono del marito, ha liberato la Bestia, che assume agli occhi dei ragazzi i tratti dei loro peggiori incubi. La corte regale, composta da folletti, fate, ed elfi, sa che quella che doveva essere una notte di festa, la Grande notte, sarà anche l'ultima. Il libro si snoda così tra passato e presente, un passato doloroso e concreto, come già detto, è un presente letale dominato da incubi altrettanto reali. Sarebbe stato perfetto se il lettore non cercasse, per metà della narrazione, di capire cosa stia succedendo: il caos della commedia di Shakespeare è reso in maniera così magistrale che si termina il libro con l'interrogativo, direi non indifferente, su cosa mai sia successo e per quale motivo si giunga quel finale. La Grande notte va, insomma, letto con molta attenzione, ma lo stile - di cui vi copio un estratto qua giù - ripaga dell'impegno che deve essere impiegato.
"Sulla sommità della collina, appena al di là della soglia dei normali sensi umani, una porta si apriva nella terra lasciando trapelare una luce brillante e tenue come il sole d'autunno. Riversandosi giù per il pendio la luce sembrava acquietare tutto quello che lambiva: i rami smettevano di fremere nonostante il vento e le bestioline cessavano di annusare, quasi che foglie e sorci aspettassero di sentire il suono che di lì a poco prese a salire pian piano dall'apertura del terreno. Era un suono di campanelle, dapprima debolissimo e poi poco più forte ma come più chiaro, forse perché, sebbene fosse sommesso e le singole note fossero alquanto gradevoli, era punteggiato di sporadiche armonie e tonalità inquietanti per l'orecchio animale. Nella luce apparvero delle ombre che si allungarono giù per la collina seguite da una grande varietà di figure".
Voto: 


Resistere non serve a niente è il primo libro di Walter Siti che leggo, ma non mi ha incoraggiato a proseguire la conoscenza di quello che è comunque un autore di grande spessore nel panorama letterario italiano. Il vincitore dell'ultima edizione del Premio Strega intende descrivere gli ambienti torbidi dell'alta finanza, raccontando la storia di uno dei suoi rappresentanti, figlio di un delinquente e arrivato all'apice della carriera tra investimenti furbi, corruzione e criminalità. A questo si unisce la storia personale del protagonista, che sembra non raggiungere mai la maturità e di cui mi ha colpito, soprattutto, il rapporto che lo lega alle donne. Dalla madre, una donna debole e volgare, alle sue amanti: una modella indipendente e fredda e il suo opposto, un'insegnante scialba che crede nei valori e nella letteratura. L'incapacità di confrontarsi con entrambe culminerà nella soluzione più aberrante, che ben ricorda certi tristi episodi di pedofilia della recente storia politica. Siti utilizza un linguaggio tecnicistico per descrivere le dinamiche economiche, che mirano a intrecciare la psicologia di Tommaso alla realtà concreta della speculazione. Il libro si barcamena tra questi due aspetti, ma la denuncia, forse a causa dello stile - o a causa dell'assuefazioni a certi fatti di cronaca - non arriva particolarmente forte. Non è un romanzo da bocciare, ma mi ha ricordato La grande bellezza: vorrebbe dire molto, ma non lo fa nel modo esatto e non riesce a sfuggire a contenuti scontati e ostentatamente intellettuali.
Voto: 


Su The Elite ho solo tre parole da dire: esilarante, ridicolo, superficiale. Che era più o meno anche lo stesso parere che avevo su The Selection (QUI la recensione), ma questo secondo episodio è riuscito addirittura a superarlo. America è proprio una profumiera: passa dal Principe Maxon al suo ex fidanzato, Aspen, come un'ape che va di fiore in fiore. Se prima è sicura di non poter fare a meno di Aspen, l'unica cosa certa della sua vita, ecco che al capitolo immediatamente successivo dichiara di "non aver ancora rinunciato a Maxon", che nel frattempo le promette il castello, i banchetti, i balli e lei - mica scema - non gli dice certo di no. Ma ecco che, subito dopo aver giurato di voler sposare il Principe, si ingelosisce per le attenzioni che qualcuno rivolge ad Aspen. E Aspen, ora che ci pensiamo, le ha sempre dato tutto quello che aveva, per quanto fosse poco... mentre per Maxon è facile prometterle il mondo ed esaudire ogni suo desiderio: è ricco! D'altro canto, nonostante Maxon dia prova di non essere un santarellino come sembrava di primo acchito, e di comportarsi nel modo abominevole a cui il suo rango lo costringe, è pur sempre un uomo, anzi un ragazzo, e ha sulle spalle una quantità indicibile di responsabilità (e di ormoni impazziti)... Certo, Aspen è tutta un'altra storia. Quando le cose con Maxon sembrano ormai perdute, e, per esclusione, sembra che il destino di America sia legato a quello di Aspen, ecco che succede qualcosa di "inaspettato"... inaspettato un corno, direi, è tutto così scontato che posso azzardare un pronostico su come finirà questa storia: America sceglierà Maxon, non può certo accontentarsi di un semplice cadetto, ormai stra-ricco, quando ha l'occasione di diventare la futura regina...
Voto: 



Ho molte perplessità su Dieci dicembre, da cui mi aspettavo decisamente di più. Saunders utilizza una tecnica molto particolare e diversificata, eppure in questo disperato sperimentalismo non troviamo nulla di nuovo - e anche l'analisi della società americana risulta superficialotta, mai veramente incisiva o sconvolgente. Sono tante le tematiche e le critiche che Saunders avrebbe potuto vagliare, e in parte lo fa, ma è troppo preso dalla forma per curare i contenuti. Ogni racconto è diverso dall'altro, non ce n'è uno scritto con lo stesso stile del precedente ma, al di là di questo, non riusciamo a godere il racconto - alcuni sono molto banali - che scivola addosso senza lasciare alcun segno. L'autore spazia dal racconto surreale a quello realistico, fino al fantascientifico. A pochi darei la sufficienza, pochissimi mi sono rimasti impressi. Ho considerato veramente geniale soltanto Fiasco cavalleresco, dove il protagonista, dopo aver assunto una particolare pillola, provoca il proprio licenziamento con azioni sconsiderate e un linguaggio che è stato tramutato in quello di un novello Don Chisciotte. Mi spiace per il giudizio severo, ma spero comunque di potermi ricredere su questo autore.
Voto: 


Mi ero approcciata a questo libro con la convinzione si trattasse di una chiave ironica sul fenomeno editoriale dei porno-erotici, scoppiato con Cinquanta sfumature di grigio. L'ironia ne Il club delle cattive ragazze certo non manca, soprattutto in alcune scene, ma il libro non fa che reiterare luoghi comuni, confermando anzi che le donne a cui piacciono questo tipo di letture sono delle sessualmente frustrate che trovano grazie a esse i loro sfoghi. Un'accozzaglia di stereotipi è quella che si riunisce attorno al caffè letterario: la femminista incallita e un po' bigotta, la donna in carriera che va in pensione e ora vuole godersi la vita a dispetto di un marito pigro, la divorziata dedita esclusivamente a figlio e lavoro, la sposina che ha già visto spegnersi la passione con il marito. Nulla sfugge a situazioni noiosissime, già viste e prevedibili, che peggiorano quando l'ironia cessa totalmente e, un capitolo dopo l'altro, ci ritroviamo ad assistere alle avventure sessuali delle protagoniste, che ti danno l'impressione di avere la testa piena di fuffa e ti spingono a ricercare uno spiraglio di trama. Ma la trama non c'è. Ormai c'è solo sesso, e nemmeno di quello eccezionale. Gli incontri letterari hanno lo spessore di una discussione in classe alle scuole medie, i dialoghi sono banali, i risvolti scontati... Insomma, il libro ha pochissimi pregi, è scialbo e scorre via senza lasciare nulla.
Voto: 



2 commenti:

  1. "confermando anzi che le donne a cui piacciono questo tipo di letture sono delle sessualmente frustrate che trovano grazie a esse i loro sfoghi. " TI ADORO.

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  2. Non sono io a dirlo, ma il libro <.< invece di sfatare i luoghi comuni ci mangia su!

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